Attenzione ai diritti trans? Macché, terrore delle azioni legali

Il caso del transgender che ha fatto causa a un centro Yoga di Manhattan per 5 milioni di dollari (terza causa per "discriminazione" in 13 mesi) e delle imprese preoccupate di rivivere la stagione dei contenziosi innescati dall'Americans with Disabilities Act

È in arrivo uno tsunami di cause intentate dai transgender contro le piccole imprese americane? L’ultimo “pollo” di Dylan Miles è un centro Yoga di Manhattan, citato in giudizio per 5 milioni di dollari. “Pollo” a richiedere di questi tempi a un uomo che si dice donna di usare uno spogliatoio maschile. L’Hot Yoga Chelsea è infatti la terza struttura accusata di discriminazione di identità genere in soli 13 mesi dal transgender dell’Arizona che si dice «in procinto di diventare donna».

Cosa relativamente importante per le donne che se lo sono viste entrare nello spogliatoio femminile, abbassare i pantaloncini e restare così come mamma lo ha fatto appostandosi, accovacciato, di fronte alle docce. «Ci sono altre persone transgender qui, diverse donne trans, uomini trans e non c’è mai stato un solo problema», «è stata la prima volta che abbiamo dovuto prendere provvedimenti», cercano di giustificarsi dalla struttura definendo «inquietante» il comportamento di Miles.

Un transgender, tre cause in 13 mesi

Si era presentato all’Hot Yoga Chelsea il 4 maggio in calzoncini maschili e un aspetto maschile in tutto e per tutto, senza nemmeno coprire con un top un accenno di seno dovuto alle terapie ormonali: la direzione gli aveva chiesto di non usare gli spazi femminili ma per tutta risposta Miles, che si identifica come Amy, aveva fatto spallucce e alle clienti turbate dai suoi genitali a vista aveva risposto sciorinando la legge che gli consente di usare bagni e spogliatoi del genere in cui si identifica, «non so se fosse venuto qui per cercare di creare un problema o altro», ha raccontato una delle presenti.

Era accaduto pochi mesi prima anche al Planet Fitness del Bronx: alla fine Miles era stato scortato fuori dallo spogliatoio delle donne e aveva fatto causa alla palestra. E ancora al rifugio per i senzatetto del quartiere: Miles ha aveva citato in giudizio una aggressiva guardia di sicurezza. Dopo di che si era presentato all’Hot Yoga Chelsea, dove le lezioni costano 1.900 dollari all’anno, stesso copione, cinque milioni la cifra richiesta per risarcirlo dal trauma della discriminazione.

Quando nella spa il trans era nudo

Le reazioni delle donne che hanno inguaiato l’Hot Yoga Chelsea, ricordano i fattacci della lussuosa Wi Spa di Los Angeles (Tempi ne aveva parlato qui), dove la veemente protesta di una donna per la presenza di un uomo nudo “a pene libero” nell’area femminile, frequentata anche da minorenni, aveva scatenato un putiferio: manifestazioni in difesa dell’uomo che si identificava come una donna e in base alle leggi della California aveva il diritto di accedere agli spazi femminili, cortei di sostenitori dei diritti dei trans contro quelli dei diritti della donna. Un Far West con tanto di polizia in tenuta antisommossa, Proud Boys e stampa liberal che difendeva i diritto di una donna con «i genitali apparentemente maschili» (il virgolettato è dell’editorial board del Los Angeles Times). Si scoprì poi che il povero signore a pene libero era noto alla polizia come molestatore sessuale dal 2006 e aveva una lunga storia di accuse di atti osceni. Non è chiaramente il caso di Miles, ma il problema di fondo resta.

La legge dice che ogni luogo pubblico deve premettere alle persone di usare i bagni confacenti alla loro identità di genere, o deve attrezzarsi per offrire servizi dedicati a «tutti i sessi». Questo ha gettato Manhattan nel panico: per evitare grane e cause legali, spiega al New York Post Anthony Mignano, che gestisce grandi patrimoni immobiliari e commerciali nel cuore Grande Mela, «i nostri avvocati ci hanno detto di cambiare tutto» e dotare ogni edificio innanzitutto di bagni gender neutral. Attenzione ai diritti dei transgender? Macché, terrore delle azioni legali.

Discriminazioni e contenziosi milionari

Come quelle moltiplicate con lo storico Americans with Disabilities Act. Tutti a Manhattan ricordano il caso dell’avvocato che “sfruttava i ciechi” per incassare milioni di dollari trascinando in cause legali chiunque fosse proprietario di un sito o portale incompatibile con i software per i non vedenti (23 milionarie azioni legali). O dei cinque newyorkesi in carrozzina, responsabili di quasi 400 azioni legali intentate contro piccole imprese per mancanza di accesso per disabili. O delle sette aziende trascinate in tribunale da una donna perché era stato impedito l’accesso al suo cane da assistenza. Da Zoltan Hirsch, che fatto causa a 195 aziende che vanno da un negozio di occhiali di Soho alle bodegas di Brooklyn a un ristorante Hell’s Kitchen a Luigi Girotto (70 cause), Pedro Fontanes (55), Jerry Cankat (52) fino a Nauqone Taylor (23) o Fontanes, 69 anni, del Queens, che ha intentato 13 cause contro aziende lungo la Fifth Avenue.

Battaglie sacrosante in cui è riuscito a infiltrasi e cercato di fare profitto sulla discriminazione un nutrito gruppo di impostori. Ma il consenso, la disponibilità, ad affrontare o sopportare i costi per trovare un accordo privatamente prima di arrivare in tribunale e abbattere le barriere architettoniche era una totale e unanime», racconta Mignano. «Non sono sicuro che ci sia altrettanto consenso sull’autodichiarazione di genere». Consenso o meno, secondo gli esperti le piccole imprese americane dovranno presto fare i conti col moltiplicarsi delle cause intentate dalle categorie protette. E saranno conti salati per chi, come a Los Angeles, in un uomo con un pene non riesca a vedere una donna con «i genitali apparentemente maschili».

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