Sognando Kennedy

Il vento della novità può gonfiare le vele liberal. A patto che il timoniere intercetti la speranza di un elettorato che pensa a Jfk

New York

Per poter valutare realisticamente i risultati delle primarie in Iowa e New Hampshire è importante ricordare che il processo che determinerà la scelta dei candidati democratici e repubblicani alla presidenza è solo all’inizio. Tutti gli osservatori, i commentatori e i notisti politici continuano a ripetere questa tesi, così si sentono liberi di costruire e demolire scenari di ogni genere, che dovrebbero aiutarci a capire chi sta vincendo la sfida. Perciò anch’io ora vorrei fare lo stesso. A mio parere i risultati delle primarie in Iowa e New Hampshire – le vittorie prima di Obama e Huckabee, poi di Hillary Clinton e McCain – possono essere considerate come un inatteso, improvviso revival di quella che potremmo chiamare la “speranza di Camelot”. Camelot era infatti il titolo del musical di Broadway sulla mitica città inglese dove re Artù cercò di stabilire un regno fondato sulla giustizia, la pace e il coraggio. Dopo l’assassinio del presidente Kennedy nel 1963, la moglie Jacqueline disse che lui amava ascoltare le canzoni del musical dedicato alla speranza del re di costruire un tale luogo. Da allora gli anni di Kennedy sono ricordati come gli “anni di Camelot”.
Oggi il punto di partenza è il desiderio di un cambiamento. Un fatto che potrebbe avvantaggiare i Democratici, lontani dal potere da otto lunghi anni. Tutto sta però nel vedere di che tipo di cambiamento il partito dell’asinello vorrà farsi portatore e se questo coinciderà con ciò che la gente desidera. In termini pratici significa che i Democratici devono decidere cosa fare rispetto a Hillary Clinton, che da sempre si propone come la candidata in grado di incarnare la linea del partito e in possesso della forza economica e del sostegno per dimostrarlo. Oggi però sono sempre di più gli uomini del partito convinti che gli elettori non la pensino allo stesso modo. Quella della senatrice Clinton è senza dubbio una figura che divide nella politica americana, e non sarebbe affatto difficile per i Repubblicani puntare sui difetti che la sua immagine ha per molti americani e soprattutto per molte donne. Invece che al cambiamento, Hillary potrebbe essere associata alle più marcate controversie degli anni Bush-Clinton. I Democratici anti Hillary temono fortemente che la sua nomination spianerebbe ai Repubblicani la strada per vincere le elezioni presidenziali, favorendoli a dispetto delle loro debolezze e divisioni. Quanto al fatto che sia una donna, nessuno sa realmente quanto potrebbe influenzare gli elettori. Certamente rappresenta un cambiamento, piace all’ala femminista della base politica del Partito, ma non sembra essere il cambiamento che i votanti hanno in mente. Per questi Democratici anti-Hillary, la prima domanda a cui rispondere è: si può fermare Hillary?
Chi l’avrebbe potuto fare, dal momento che la maggior parte dei leader del partito erano schierati con lei? Va ricordato che al fondo non è una questione di proposte politiche diverse, ma di personalità e di immagine. L’unico che avrebbe potuto scalzare Hillary era qualcuno con una immagine diversa, capace di attrarre, che rappresentasse senza dubbio un “nuovo” Partito democratico in grado di rispondere alla domanda popolare di cambiamento. Paradossalmente, è stato nella loro ultima convention, nella quale venne nominato il senatore John Kerry, che i Democratici hanno trovato il loro uomo: il senatore dell’Illinois Barak Obama. Sconosciuto a livello nazionale, ha potuto crearsi il proprio profilo politico senza condizionamenti, sempre, ovviamente, nei limiti consentiti da quanti sono a capo del programma radicale culturale e sociale del Partito democratico, che in ogni caso non scivolerebbe mai verso la linea repubblicana.
Ed ecco qua un afroamericano, dal brillante background culturale, una personalità allegra e attraente, che si definisce un cristiano praticante, che ha familiarità con temi e linguaggi evangelici e religiosi, schierato contro la guerra in Iraq sin dall’inizio (Hillary, ricordiamo, aveva votato a favore dell’invasione). Afferma di essere personalmente contro i matrimoni gay e l’aborto, ma – come molti americani – crede che questi temi non debbano essere elementi in gioco nelle elezioni presidenziali, dal momento che sono problemi che riguardano la Costituzione, e il presidente ha semplicemente il compito di mantenere salda la Costituzione, non di interpretarla. Al contrario, offre un programma di leadership internazionale attraverso la cooperazione e la diplomazia, e sul fronte interno priorità all’assistenza sanitaria, all’educazione e a tutte quelle voci tradizionali dei programmi Democratici nel campo del sostegno alle classi povere e medie – ricordando idealisticamente, ma non pedissequamente, Martin Luther King jr e il suo richiamo al “meglio” dell’anima americana.

Come negli anni Sessanta
Allora la domanda diviene: non c’è rischio che Obama rappresenti un cambiamento troppo forte per gli elettori americani? (Nessuno sa bene come si scrive il suo nome, e il suo secondo nome – Hussein – risveglia ricordi spiacevoli). D’altro lato, questo è proprio il genere di fenomeno in grado di ridare slancio alla politica americana, come avvenne con Kennedy all’inizio degli anni Sessanta. E questo è esattamente quello che è successo nello Iowa. Improvvisamente, alle spalle di Obama è apparsa una coalizione di democratici di cui nessuno sospettava l’esistenza: giovani, colti, afroamericani, sono arrivati insieme al seguito di Obama e hanno lanciato il guanto di sfida a Hillary, nello stupore generale. I politici americani hanno mostrato una creatività che i più davano per morta e sepolta da molti anni, dalla fine di Camelot. Improvvisamente, anche se solo “per un breve, fulgido momento” (per citare proprio l’ultima canzone di Camelot), è sembrato che potesse accadere ancora il risorgere di una speranza sepolta con i fratelli Kennedy e Martin Luther King jr.
A quel punto c’è stato chi ha pensato che le elezioni fossero già finite. Ma non si può dimenticare che si trattava solo dello Iowa, uno Stato che molti americani non sanno neppure dove si trovi. Persino i Repubblicani hanno manifestato un rispettoso stupore. Hillary-Nixon poteva essere sconfitta dal nuovo John Fitzgerald Kennedy. Poi è venuto il New Hampshire, e Hillary ha vinto. Dopo la sconfitta nello Iowa, la senatrice Clinton ha rapidamente cambiato strategia, circondandosi di giovani, evitando che il marito comparisse al suo fianco, esternando emozione e passione. L’immagine Nixon è stata prontamente spazzata via. Certo, Obama è ancora molto vicino a Hillary e conserva qualcosa dell’aura di Camelot, ma nessuno può dire quanto a lungo reggerà questa situazione allorché il match Clinton-Obama si giocherà a livelli più importanti. Le vittime del crollo della Camelot degli anni Sessanta sono diventate troppo ciniche per sperarne una nuova. Tuttavia anche questa è una pura ipotesi. Quello che si può dire è che le elezioni si sono fatte davvero interessanti.

Exit mobile version