Sme-morati

Breve antologia militante (ma non faziosa) di una storia tra I e II Repubblica iniziata nel biennio ’85-’86. “Portiamo i libri” in tribunale (parte prima)

Nelle pagine che state leggendo non è contenuto nessuno scoop a riguardo del processo Sme (cfr Tempi 19). Tuttavia, proprio in questo fatto sta la notizia. La sinistra si è stracciata le vesti dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al Tribunale di Milano il 5 maggio. In realtà, l’attuale premier non ha fatto altro che ribadire una storia che corrisponde a quella raccontata non soltanto dai suoi “gazzettieri” (come noi, modestamente, siamo) ma dagli stessi protagonisti di quella vicenda: Carlo De Benedetti, Romano Prodi, Giuliano Amato. Risulta, quindi, sorprendente come, oggi che quella storia è uscita dalle pagine di carta e si è materializzata in immagini televisive (grazie, Socci), i nostri tre protagonisti e il codazzo Unità-Repubblica smentiscano, innanzitutto, se stessi. Ed è imbarazzante il vuoto di memoria di chi, allora braccio destro di Craxi, oggi fogliolina dei rami d’Ulivo in Europa, possa dichiarare: «Non ricordo». Ecco, allora, una breve e semplice antologia di dichiarazioni lette su libri e giornali. Diciamo che sono come il pesce: contengono fosforo che rafforza la memoria. Che possano servire in sede processuale? In fondo il “processo Previti” sul lodo Imi-Sir è nato da molto meno: dalle dichiarazioni estive di una presunta mitomane e da appunti presi da un poliziotto un po’ pasticcione in margine a un giornale (e poi uno dice che i quotidiani vanno bene solo per fare i cappelli-barchetta dei muratori…). Buona lettura.

De Benedetti ing. Carlo

FROTTOLE E FANTASIE?
«Un imputato ha diritto a dire qualsiasi cosa. Ed è esattamente quello che ha fatto Berlusconi, imputato di corruzione nei confronti di atti giudiziari, quello che ha detto in mezzo a frottole e fantasie».
Carlo De Benedetti, 7 maggio 2003.

Il presidente del Consiglio, Bettino Craxi, fu informato (della vendita della Sme, ndr) insieme ai giornalisti. Trattandosi della dismissione di una grande azienda di Stato, il galateo istituzionale avrebbe consigliato una procedura diversa. Forse non aveva tutti i torti, no?
«Craxi mi fece sapere tramite Giuliano Amato (allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) di essere contrario all’operazione e di essere offeso per aver letto la notizia sui giornali. E, in effetti, era andata proprio così: Prodi, che aveva pessimi rapporti con Craxi, aveva avvisato della vendita Sme solo il proprio partito di riferimento, cioè la Dc. Sul principio aveva ragione il leader socialista e io rimproverai a Prodi quella gaffe. Per ricucire andammo insieme a Palazzo Chigi e in quella occasione Craxi mi disse subito che il prezzo gli pareva inadeguato. Lui odiava sia Prodi sia me, e un accordo tra noi due lo insospettiva oltre misura. Sicuramente era convinto che nell’operazione ci fosse una tangente per la Dc».
Federico Rampini, Per adesso – intervista con Carlo De Benedetti, Longanesi&C, 1999.

MA A BERLUSCONI NON CONVENIVA
«Parole prive di fondamento: Berlusconi si assume la responsabilità di aver interferito con l’esecuzione dell’accordo tra Iri e Buitoni».
Nota della Cir di Carlo De Benedetti, 6 maggio 2003.

Il 28 maggio 1985 l’Iri riceve un’offerta alternativa per rilevare la Sme. A firmarla è la società Iar, appositamente costituita da due note aziende alimentari – la torinese Ferrero e la Barilla di Parma – nonché da Silvio Berlusconi. (…) Prezzo proposto 600 miliardi, quindi cento in più rispetto all’offerta Buitoni-Mediobanca.
«Quella cordata fu formata da Pompeo Locatelli per ordine di Craxi. Berlusconi vi entrò contro il suo interesse, perché in quanto venditore di spazi pubblicitari non gli conveniva comprarsi un suo cliente e diventare concorrente di tanti altri clienti».
Federico Rampini, Per adesso – intervista con Carlo De Benedetti, Longanesi&C, 1999.

TANGENTI? CHI, IO?
Anche lei un giorno è andato da Di Pietro a “vuotare il sacco”. Perché?
«(…) io sono andato da Di Pietro a presentare un memoriale in cui ho esposto tutte le cose di cui ero a conoscenza. E ho messo a disposizione del magistrato i manager dell’Olivetti perché dichiarassero ogni pagamento illecito fatto dall’azienda, me consapevole o a mia insaputa».
Federico Rampini, Per adesso – intervista con Carlo De Benedetti, Longanesi&C, 1999.

«Calendario dell’Ingegnere:
30 aprile 1993: Tangenti? Mai pagate. Carlo De Benedetti ha affermato di «non aver mai corrisposto finanziamenti ai partiti politici o entità a essi collegate».
17 maggio 1993: L’Ingegnere ha incontrato i giudici consegnando loro un memoriale sulle tangenti pagate dalla Olivetti. De Benedetti: mia ogni responsabilità.
19 maggio 1993: Se dovessi rifare tutto lo rifarei: pagherei le tangenti…»
Giancarlo Lehner, Storia di un processo politico, Mondadori, 2003.
«Citaristi riceveva gli imprenditori nel suo ufficio a Piazza del Gesù. “Mi sono mosso solo per tre persone” mi disse. “Andai a trovare De Benedetti nei suoi uffici romani a Piazza di Spagna, Sama nella sede della Montedison all’Ara Coeli, Gardini al Grand Hotel. Sama mi consegnò i contributi: una volta tre miliardi, un’altra uno. De Benedetti e Gardini ce li accreditarono su conti esteri: il primo poco più di un miliardo, il secondo due».
Bruno Vespa, 1989-2000 Dieci anni che hanno sconvolto l’Italia, Rai-Eri Mondadori, 1999.

CHE TIPO È L’ING. CARLO
«Per capire la posizione di De Benedetti nei nostri (dei socialisti, ndr) confronti le racconto questo aneddoto. C’erano da rinnovare i vertici di Eni e Iri e un giorno l’Ingegnere mi prese da parte e mi disse: “vi serve un bravo presidente dell’Iri? Io sono disponibile…”».
Gianni De Michelis, Corriere della Sera, 6 maggio 2003.

«È il marzo 1991. Carlo De Benedetti viene a trovarmi al ministero del Bilancio. Mi espone un progetto, che sta elaborando con diversi amici, industriali e giornalisti, per affidarlo poi ad alcuni uomini politici. A bruciapelo mi chiede: “vuoi essere mio ministro?”».
Geronimo, Strettamente riservato, Mondadori, 2000.

Cui Prodist?

SPETTATORE
«In tutta la vicenda Sme, io non fui che spettatore».
Romano Prodi, 5 maggio 2003.

«Nel 1985 ci fu la vicenda Sme: De Benedetti aveva stretto un’intesa con Ciriaco De Mita e Romano Prodi per impossessarsi del ramo alimentare dell’Iri. Io, insieme a molti altri, non ero d’accordo su quel modo di procedere. Ricordo che quando Prodi mi telefonò per dirmi: “ho convocato una conferenza stampa perché ho venduto la Sme”, gli risposi con tono seccato: “non sapevo che te la fossi comprata”».
Geronimo, Strettamente riservato, Mondadori, 2000.

FU UNA SVENDITA?
«È stato avanzato il dubbio, di per sé privo di alcuna attinenza rispetto all’oggetto del giudizio, che le condizioni allora pattuite per la vendita fossero tali da determinare un danno per lo Stato e di converso, un “regalo” per l’acquirente, cioè la Buitoni
di De Benedetti».
Romano Prodi, 5 maggio 2003.

Fu congruo il prezzo fissato per la vendita della Sme a De Benedetti?
«Innanzitutto la perizia in base alla quale era stato calcolato il valore delle azioni non si riferiva alla vendita di un comparto, ma al raggruppamento delle varie aziende. E poi mi spiegarono che nella valutazione finale non era stata inserita la cassa della Sme, cioè i liquidi».
Clelio Darida, Corriere della Sera, 6 maggio 2003.

PRODI PRESENTATO DA GERONIMO
«Amico di Carlo De Benedetti, al quale tentò di vendere nel 1985 a prezzo stracciato la Sme, presidente dell’Iri dal 1983 al 1989 e intimo conoscitore dei suoi fondi neri (me ne venne a parlare quando ero presidente della commissione Bilancio per via della proposta di legge di un’inchiesta parlamentare), Romano Prodi è l’uomo ideale. Politico modesto ma con la veste tecnocratica che in quegli anni va di moda, egli rappresenta una sorta di novità non essendosi mai direttamente impegnato in cariche elettive o politiche (…). Prodi però possiede un’altra virtù. Per anni è stato consulente profumatamente pagato di banche d’affari e quindi è un esperto dei santuari economici: questo lo rende bene accetto nei salotti buoni del capitalismo italiano».
Geronimo, Dietro le quinte, Mondadori, 2002.

Amato mio

VUOTI DI MEMORIA
«Non ho affatto ricordi di prove di tangenti che fossero arrivate al mio orecchio o alla mia vista. Altrimenti le avrei denunciate alla magistratura».
Giuliano Amato, 5 maggio 2003 (in seguito alla deposizione di Silvio Berlusconi al Tribunale di Milano. Secondo il premier, Amato avrebbe avuto «non indizi ma prove» di tangenti pagate «a una corrente della Dc»).

«Nella tarda primavera del 1998, il mio amico Franco Ambrosio venne a riferirmi che il Pool di Milano, e in particolare Francesco Greco e Ilda Boccassini, ritenevano che lui e io fossimo i tramiti attraverso cui nel 1990 Silvio Berlusconi aveva realizzato la presunta corruzione giudiziaria per l’affare Sme. (…) Due giorni dopo fui avvertito da un uccellino che il mio cellulare era stato messo sotto controllo. (…) Allora chiesi subito a un amico, Andrea Ratti, di telefonarmi sul cellulare controllato e di chiedermi che cosa fosse quella dannata storia della Sme. Ratti mi chiamò e io risposi che ero angosciato dalla vicenda. “Da una parte” dissi “mi piacerebbe andare a parlare subito con Ilda la Rossa perché come donna mi piace molto e vorrei proprio… Ma dall’altro sono perplesso perché in qualità di testimone non potrò avvalermi della qualità di non rispondere e dovrò dire la verità”. “Qual è la verità?” insistette Ratti. “La verità è che nel 1985” risposi io “ci fu un vero e proprio accordo (i magistrati di Milano lo definirebbero corruttivo, io preferirei dire di potere) tra il potente segretario Dc Ciriaco De Mita e Carlo De Benedetti. Di questo accordo mi aveva parlato l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, che mi confessò di avere le prove della corruzione e di essere pronto a mandarle all’Inquirente non appena il ministro delle Partecipazioni statali Clelio Darida avesse dato il via libera alla vendita della Sme. Continuai dicendo, sempre attraverso il telefonino controllato, che “quell’accordo, del resto, lo conoscevo anch’io perché me ne aveva parlato in maniera garbata il mio amico De Benedetti nella sua casa nei pressi di piazza Farnese, dove spesso ero invitato a colazione”. E inoltre, aggiunsi, “fu lo stesso De Mita a dirmi che nell’interesse della Dc era necessario proteggere l’Ingegnere contro l’arroganza di Craxi e Amato. Per questi motivi, concluse Ciriaco, nel dibattito che si doveva tenere nella commissione Bilancio, che allora presiedevo, bisognava assolutamente dare una mano a Darida e mettere in minoranza il Psi”. Ecco, dissi a Ratti concludendo la telefonata “se la Boccassini mi richiamerà dovrò raccontare tutto questo, a cominciare dall’accordo tra De Mita e De Benedetti”. La Boccassini non mi richiamerà mai più».
(In Dietro le quinte, Pomicino racconta che «per questo brano del mio primo libro Ilda la Rossa mi ha querelato per diffamazione. La mia colpa? Aver taciuto che la Boccassini mi aveva convocato non una volta ma due»).
Geronimo, Strettamente riservato, Mondadori, 2000.

TRASPARENZA APPANNATA
«Quello che risultava chiaro già allora era che Prodi aveva gestito da solo la trattativa con De Benedetti. Senza coinvolgere né il comitato di presidenza dell’Iri né gli uffici tecnici di via Veneto. Ed è altrettanto lampante che Giuliano Amato era stato lo strumento di Craxi per impedire quell’operazione. Giuliano, anzi, tra noi socialisti era il più determinato a bloccare la vendita. Che, a sentir lui, appariva anche poco trasparente. Nelle successive deposizioni la sua memoria si è un po’ appannata».
Gianni De Michelis, Corriere della Sera, 6 maggio 2003.

«Mi ritornò alla memoria quanto mi aveva detto un giorno Clelio Darida: “sono stato interrogato sulla vicenda Sme, e ho spiegato ai magistrati (Boccassini e Colombo) che era stato proprio Giuliano Amato a ‘minacciarmi’ per impedirmi di firmare la delibera con cui si cedeva l’azienda alimentare a Carlo De Benedetti. Perché di questa mia dichiarazione non c’è traccia nei verbali?”. Di questi ultimi, Darida mi ha anche conservato una copia».
Geronimo, Dietro le quinte, Mondadori, 2002.

ECONOMIST, DO YOU REMEMBER?
«Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, disse (a proposito della vendita della Sme a De Benedetti, ndr) all’Economist: “Craxi ha chiesto che le privatizzazioni avvengano a mercato aperto e non a porte chiuse”».
Bruno Vespa, La Grande Muraglia, Rai-Eri Mondadori, 2002.

Riassunto
(per chi non avesse ancora capito)

«Negli anni Novanta senza più il disturbo di nessun democristiano e di nessun socialista, Carlo De Benedetti, Giovanni Agnelli, Leopoldo Pirelli, Marco Tronchetti Provera, Enrico Cuccia e tutto il salotto buono del capitalismo d’affari si allea con la sinistra postcomunista per guidare in prima persona il governo del Paese. Mette in campo i suoi uomini (Carlo Azeglio Ciampi anzitutto) e ottiene a prezzi scontatissimi parte rilevante di quell’ambìto patrimonio pubblico. Sono gli anni in cui vengono privatizzati Comit e Credit, Eni, Telecom, San Paolo, Bnl, Sme, rinunciando a ogni accordo, a ogni possibilità di internazionalizzazione, a ogni chance di sopravvivenza nei mercati europei ed extraeuropei che pure sarebbe stata possibile. Più che una vendita è una liquidazione dell’azienda Italia, che i circoli economici vogliono per cogliere le opportunità migliori. Il centrosinistra al governo del Paese accetta tutto in cambio della tutela e dell’appoggio da parte del potere economico: è il prezzo che i postcomunisti hanno pagato ai grandi borghesi per farsi perdonare settant’anni di lotte contro il capitale e l’economia di mercato».
Geronimo, Dietro le quinte, Mondadori, 2002.

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