Sette anni di carcere per un errore. La storia di Daniele Barillà

Essere condannato perché lento nel chiedere spiegazioni ala commessa sul funzionamento di una stampante, perché abituato a comprare il mangiare del cane in un posto un po’ fuori mano, essere condannato per avere la stessa Fiat Tipo, acquistata con orgoglio, di un trafficante di coca, e un numero di targa simile. è andata così, la vita di un uomo, Daniele Barillà, è cambiata per una serie di particolari piccoli, per sviste e leggerezze di chi invece avrebbe dovuto essere attento. Un uomo innocente ha scontato sette anni e mezzo in prigione, umiliato e privato della vita per una colpa non commessa. La sua storia, che merita di essere conosciuta, è ripresa dal giornalista Stufano Zurlo, che l’ha seguita nel corso degli anni, e recentemente sceneggiata dalla Rai (foto).
Le vicende giudiziarie di Barillà cominciano la vigilia di San Valentino del 1992, quando i carabinieri del Ros di Genova, perdono di vista l’auto di Alex Crisafulli, sospettato di portare coca, e la confondono con quella di Barillà. La sua Fiat Tipo color amaranto viene fermata e l’innocente arrestato. Zurlo, nel procedere del racconto, cerca di non sottrarre spazio con il suo pensiero, se non nei punti più difficili e preferisce che siano i particolari a raccontare al lettore la vita di quell’uomo chiuso in cella che, come unica consolazione alla sua vita che se ne va, ha una nave di legno che tenta di costruire. Perché è così, mentre Daniele è sulla sua branda, tormentato dal ricordo delle botte che gli infliggevano un paio di scarponi beige “col carro armato” al suo ingresso in carcere, mentre Daniele è prigioniero, fuori la fidanzata Donatella si rifà una vita, e suo padre muore.
La storia di Daniele è costellata da tenenti e marescialli che hanno lavorato male, che hanno finto di riconoscere il volto del trafficante Crisafulli in quello di Barillà, solo per archiviare più in fretta un’indagine. Ma poi, grazie a Francesca Nanni, pubblico ministero decisa a credergli, si inizia a rivalutare quella condanna di diciotto anni.
Il resoconto di Zurlo, con le prove, i processi, e le testimonianze che fedelmente l’autore ritrae, si chiude con un’imprevista frase di Francesco Borrelli sulla dura realtà delle carceri, che non risparmia quelle di custodia cautelare, con celle da quattro, sei dieci persone: «è profondamente incivile che nelle carceri ci siano condizioni di sofferenza, ma in particolare per chi è in custodia cautelare, per le persone, contro cui non è stata pronunciata una sentenza definitiva. è assolutamente inumano, ingiusto e irrazionale che si sottopongano a sofferenze fisiche che vadano al di là della pura e semplice privazione della libertà».

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