Senza fede. Radiografia della secolarizzazione

Così Augusto Del Noce profetizzò l'era dei sacerdoti del laicismo, che svuotarono politica e religione per riempirle di niente

«È effettivamente ipotizzabile una sorta di neoclericalismo, in cui confluiscano cattolici senza fede e comunisti senza fede; la mancanza di fede servendo da cemento». Vent’anni fa Augusto Del Noce sottotitolava con incredibile lucidità un film che oggi va in onda ogni giorno nei palazzi della politica e la cui colonna sonora risuona ogni domenica dalle colonne di Repubblica. “I cammelli al galoppo nella cruna dell’ago” s’intitolava, il giorno dopo il Family day, il sermone laico di Eugenio Scalfari, ennesimo profluvio ateo di citazioni evangeliche. E se in passato l’obiettivo era «laicizzare al massimo la Dc» (con queste parole lo stesso Scalfari spiegava la sua simpatia per il leader della sinistra democristiana Ciriaco De Mita), oggi la stessa musica risuona nelle stanze del cattolicesimo tout court. E i cattolici ballano.
Quello che Paolo VI gridava nel 1974, quando parlava di «coloro che tentano di abbattere la Chiesa dal di dentro», trova una spiegazione cristallina negli scritti di Del Noce raccolti in Verità e ragione nella storia, antologia pubblicata da Rizzoli proprio in questi giorni. Descrivendo quella «società opulenta» la cui condizione di base è l’«irreligione naturale», la percezione dell’assoluta irrilevanza della questione religiosa per la vita, il filosofo notava: «Mentre nell’ateismo c’è sempre un elemento mistico, sia pure di mistica rovesciata, l’irreligione naturale rappresenta l’atteggiamento agnostico spinto all’estremo. Il punto di vista dell’irreligione naturale dice: non si tratta di negare che vi siano questioni aperte, non risolubili con gli strumenti ordinari di conoscenza; ma tali questioni insolubili sono anche quelle che non interessano. C’è a suo fondamento l’impressione che l’idea di Dio non ci serva per nulla nella decisione con cui costruiamo comunemente la nostra vita così individuale come sociale; che la scienza, la filosofia, la morale e la politica cristiane non abbiano più oggi nulla da dirci, anche se in altri tempi hanno detto. L’irreligione naturale indica un livello di empietà maggiore di quello dell’ateismo in ciò che rifiuta l’idea stessa di religione: pur essendo rigorosamente ateo, il marxismo è infatti una religione, il processo di conversione dalla religione atea alla teistica è certamente possibile, mentre si trova sbarrato dall’irreligione naturale». Passaggi profetici per leggere un oggi in cui un milione di persone scende in piazza contro una legge sulle coppie di fatto che porta la firma di un ministro cattolico. Nel mondo cristiano, continua Del Noce, la «teologia della secolarizzazione» festeggia miope la separazione tra il divino e l’umano come una “purificazione” del cristianesimo dalle incrostazioni metafisiche del pensiero greco e dalle tentazioni integralistiche di un passato da cancellare, e produce tutte le esaltazioni dell’autonomia del temporale, della “promozione umana”, del “cristiano adulto” che ancora infestano la scena politica.
L’antologia, spiega il curatore Alberto Mina, «documenta proprio tutto il grande sforzo interpretativo sostenuto da Del Noce nel ricostruire le origini e le caratteristiche del pensiero contemporaneo». Nella lettura di Del Noce infatti il nichilismo odierno è il punto di arrivo inevitabile di un preciso percorso filosofico, alla comprensione del quale dedicò tutta la vita. In principio sta Cartesio, che a una religiosità staccata dalla storia giustappone un razionalismo che riduce Dio alla misura dell’intelletto, inaugurando una linea di pensiero che svolgerà poco a poco tutte le sue implicazioni: un dio costruito a misura della ragione non può che essere un dio del quale la ragione può facilmente, quando non serva più a spiegare il mondo, sbarazzarsi. Passaggi fondamentali di questo sviluppo del razionalismo sono il marxismo e il fascismo. Il primo dà pieno compimento al processo razionalistico, facendo della ragione non più lo strumento per comprendere il mondo, ma per trasformarlo; ed è qui che Del Noce, negli anni in cui il marxismo apparentemente trionfava, introduce il celebre concetto di «eterogenesi dei fini»: il marxismo nel momento in cui si realizza si autodistrugge, dando vita a una società che è l’esatto opposto dell’obiettivo immaginato; non per qualche errore nella realizzazione, ma per la sua stessa natura. Il secondo, sottratto da Del Noce alle letture che lo riducono a irrazionalismo e reazione, è invece un passo ulteriore del percorso, in cui la ragione pretende affermarsi come assoluta capacità di manipolare il reale, slegata da ogni progetto.

La trappola di Antonio Gramsci
Al punto di convergenza dei due percorsi si trova la figura chiave di Antonio Gramsci, all’origine di quell’incontro tra cattolici e comunisti da cui anche il filosofo torinese fu per breve tempo attratto. Ma proprio dall’interno vide bene di che trappola si trattava: «Per un’antropologia siffatta la fede è destinata a rappresentare una sorta di stimolante vitale, un sovrappiù superfluo e innocuo, privo di effettualità storica. Potrà, come caso particolare, continuare a sussistere in coloro che l’avevano prima della conversione al marxismo, ma che molto difficilmente riusciranno a trasmetterla. Si tratterà di una fede religiosa “a esaurimento” che i comunisti potranno ben tollerare». L’incontro tra cristiani senza fede e marxisti senza rivoluzione spianava dunque la via alla vittoria dell’irreligione attuale. Destinata a soccombere all’avanzata islamica, che, già vent’anni fa, intravedeva: «Oggi l’islam, sorprendentemente nella sua versione più tradizionalista, sembra l’unica forza mondiale in grado di mobilitare i giovani. Così ai giovani occidentali non sembra essere rimasto altro che il cinismo della carriera e un tale pessimismo sul futuro che si riflette per esempio in una evidente volontà di non generare».
All’origine del pensiero moderno sta, per il filosofo, l’opzione dell’ateismo. Un’altra opzione però è possibile, e lo stesso Del Noce la individua in una linea di pensiero che da Malebranche e Pascal arriva fino a Rosmini e a Étienne Gilson; e che negli ultimi anni della sua vita vide in atto nel movimento ecclesiale di Comunione e liberazione, a cui riconosce il merito di aver «contestato quella “repubblica delle lettere” che ha prodotto tutta l’opera di secolarizzazione e di scristianizzazione che è avvenuta in questo secondo dopoguerra». È quella “repubblica delle lettere” che all’indomani del referendum sul divorzio scriveva, con Umberto Eco, che «il 12 maggio è stata la vittoria delle masse popolari ormai a contatto con la cultura moderna». È quella repubblica delle lettere che oggi deve fare i conti con un altro 12 maggio.

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