(Se) questo è un uomo

IL DIBATTITO SULLA FECONDAZIONE ASSITITA E SUI REFERENDUM DI ABROGAZIONE DELLA LEGGE 40 PROSEGUE TRA SCOMUNICHE E ANATEMI CONTRO I CATTOLICI E LA CHIESA. EPPURE LA RAGIONE DICE CHE L’EMBRIONE E' PERSONA

«Posso fare un esempio solo apparentemente paradossale?». Nell’esempio bizzarro che il ricercatore di fama internazionale Angelo Vescovi propone a Tempi c’è senz’altro un aspetto grottesco. Tuttavia, «è nei migliori esempi di grottesco – scriveva Flannery O’Connor – che si trova il realismo». Dice Vescovi: «Si prenda un embrione e lo si posizioni sotto gli occhi di una scimmia. Poniamo per assurdo che si sia in grado di interpretare correttamente i suoi versi. Le si chieda: “cosa vedi?”. L’animale risponderà: un grumo di cellule. Si giri lo stesso interrogativo a un uomo, cioè a un essere dotato di coscienza, capace di conoscere. L’uomo dovrà rispondere basandosi non solo su quello che vede, ma anche su quello che sa. E cioè che all’atto della fecondazione si forma un’entità biologica che, senza soluzione di continuità, diventa un uomo. Io sono uno scienziato, non una scimmia; perché dovrei negare tutto questo?». Forse non c’è bisogno di faticare per anni come Vescovi, che ha conseguito risultati straordinari sul campo delle cellule staminali adulte e pubblicato sulle più prestigiose riviste scientifiche, per capire ciò che la realtà mostra come evidenza anche a un bambino: siamo tutti degli ex embrioni. Non occorre essere cattolici per accorgersene. «Io non lo sono» prosegue Vescovi. «Chi nega che l’embrione sia una persona sta semplicemente tradendo la ragione illuministica. È il tentativo mistificatorio di far assurgere l’apparenza a verità».

DOV’E’ LA GUERRA DI RELIGIONE?
Accade che la copertina di Magazine, il settimanale del Corriere della Sera del 20 gennaio, racconti la storia di Luca Coscioni, presidente dei Radicali italiani e affetto da una sclerosi laterale amiotrofica. Coscioni è l’icona della libertà di ricerca scientifica che la legge 40 (quella che regolamenta la procreazione medicalmente assistita e su cui sono stati promossi quattro referendum) vuole bloccare. Accusa Coscioni: «Il Parlamento italiano ha deciso di proibire questa ricerca e uccidere questa speranza. Non regolamentare: proibire. E la ragione politica è una sola: il compromesso col Vaticano». Accade anche che Gian Antonio Stella, lo stesso giorno sul Corriere, spieghi che sulla questione ci sia stata «una brutta partenza». Scrive Stella che il dibattito finora non è stato fair, corretto, non ha rispettato la buona creanza e che in un tale «baccano» si sono alzati troppo i toni. Ma questo non è il momento di abbassare i toni. È il momento di alzarli.
Il 17 gennaio il cardinale Camillo Ruini ha sostenuto che «la legge 40 non corrisponde all’insegnamento etico della Chiesa ma ha il merito di salvaguardare alcuni principi e criteri essenziali». Affermazione in linea con il magistero della Chiesa e ribadita più volte anche dal Santo padre che solo pochi giorni prima, il 10 gennaio, durante il discorso al corpo diplomatico, aveva parlato di «sfida alla vita» e scandito che «l’embrione umano è soggetto identico all’uomo nascituro e all’uomo nato che se ne sviluppa». Eugenio Scalfari (“Quei vescovi che violano i patti concordati”, Repubblica, 23 gennaio) e l’Unità di martedì 18 gennaio (titolo di apertura: “Fecondazione, la guerra santa di Ruini”) hanno letto nelle parole del cardinale rimbombi di ordini, prescrizioni, divieti. Siamo alla guerra santa, allo scontro fra laici e cattolici, guelfi di qua e ghibellini di là? «Chi dice che l’opzione di fede è la frattura principale fra i due schieramenti – dice il sociologo Lugi Manconi a Tempi – fa un grave errore, anche storico. Bisogna distinguere fra convinzione personale e scelta di voto. Fra i due campi non c’è consequenzialità». Manconi è a favore di una revisione della legge 40 e osserva come «certamente c’è, in termini generali, una frattura fra i due schieramenti in base al credo religioso. Ma con eccezioni in un campo e nell’altro. Credo che la maggior parte dei cattolici voteranno secondo coscienza e non in base alle direttive della Cei. E nell’altro schieramento non possiamo non citare quella minoranza laica che ruota attorno al quotidiano il Foglio, che ha scelto di difendere la legge».
Nicoletta Tiliacos al Foglio di Giuliano Ferrara ci lavora e s’inbufalisce con chi «fa questi discorsi di scontro fra laici e cattolici. È un’opera di disconoscimento della realtà. Significa cancellare il pensiero ecologista degli anni Settanta e Ottanta, quel dibattito che fu così vivo e problematico anche dentro al movimento femminista dal quale io provengo e che parlò espressamente su tali questioni di “deriva tecnica”. Alla difesa dell’embrione arrivò anche la sinistra, approdò anche chi non si definisce cattolico o, più generalmente, religioso. Ci sono fior di psicanalisti, psicologi, femministe che hanno detto “no” negli anni passati ma che oggi sono silenziosi, appiattiti su questa finta contrapposizione laici-cattolici. Di solito, chi martella su questa divisione fittizia, è chi poi non sa dar conto delle sue opinioni su vicende concrete». Lei, dice, s’accalora «in nome del mio passato femminista, non in nome della Chiesa cattolica. Che l’ovodonazione sia un obbrobrio l’ha detto la laicissima Svezia, non il cardinale Ruini. A questa gente non si rivolta lo stomaco a continuare a dire bugie?».

NASCONDI LA NOTIZIA
C’è però un modo più fine per raccontare le bugie: è nascondere le verità (vedi box pagina 19). Carlo Flamigni, considerato il maggior esperto italiano di fecondazione in vitro, ha sempre sostenuto che la legge 40 è una cattiva norma che fa soffrire le donne e che dà risultati scadenti. Però la rivista Repronews, organo della Società italiana di riproduzione, ha pubblicati i risultati di un’interessante ricerca sull’“Impatto della legge 40/2004 sulla percentuale di successo dei cicli di fecondazione in vitro”. Grazie ai dati messi a disposizione dai centri di Palermo, Genova, Bari, Bologna, Milano e Roma, si è scoperto che su 961 casi di fecondazione assistita operati prima dell’introduzione della legge, il totale delle gravidanze cliniche per ciclo Fivet hanno avuto successo nel 30,5 per cento dei casi. Su 900 casi post legge 40 i successi sono stati del 27,2 per cento. Tra 30 e 27 per cento, non c’è una grande differenza; «è un dato non statisticamente significativo», ammette la rivista. Peccato che il risultato, che meriterebbe di essere pubblicato su riviste internazionali, abbia trovato spazio su un house organ di piccola-media diffusione. «è come se scoprissi il rimedio al cancro e pubblicassi la mia ricerca sul giornale della parrocchia» dice sconfortato a Tempi Luigi Frigerio, primario dell’ospedale di Bergamo. Chissà se Gian Antonio Stella, che non scrive sulla buona stampa parrocchiale, riterrà che un dato del genere meriti un commento anche se fa un po’ «baccano».

LE ASSURDITA’ DI CACCIARI
Il Manifesto ha scritto che «la Chiesa cattolica, Papa compreso, non rappresenta i cattolici ma solo se stessa poiché non ha ricevuto alcuna delega da parte dei fedeli». Il filosofo Massimo Cacciari intervistato dall’Espresso s’è indiganto con chi continua a «sostenere che l’embrione deve essere trattato come una persona, come un essere umano perché perfettamente formato. È un’assurdità, che introduce nel nostro diritto la categoria dell’omicidio dell’embrione». «Il vero credente – ha aggiunto – non è mai un settario fondamentalista. Non è quello che giudica, che scaglia la prima pietra. In questo senso non c’è nessuno più laico di Gesù Cristo».
Gonzalo Miranda, decano della facoltà di Bioetica Regina Apostolorum, dice a Tempi di «essere cattolico, ma credo che un laico dovrebbe offendersi per un’accusa del genere. Solo i cattolici sanno che l’embrione è un essere umano? Solo un cattolico può capire verità che la ragione ci mostra come tali? Per fortuna non tutti i laici la pensano così, basti pensare a Giuliano Ferrara o al presidente del Senato, Marcello Pera». Di diverso avviso Luigi Manconi che pensa che «nelle posizioni di Ferrara ci sia una bruciante sbrigatività nel giungere a conclusioni definitive su una materia controversa da un punto di vista scientifico e, soprattutto, da un punto di vista sociale, culturale e etico. Ultimamente il direttore del Foglio ha detto che “l’embrione è una persona umana”. Penso che questa sia un’affermazione spericolata e assolutista che tende a chiudere in maniera errata una riflessione che deve rimanere aperta».
«La realtà è realtà» spiega a Tempi don Roberto Colombo, docente di neurobiologia e genetica umana all’Università Cattolica di Milano e nominato dal papa nel 2001 membro della Pontificia Accademia per la Vita. «La vita umana è vita umana, senza l’aggettivo “laico” o “cattolico”. Non esiste una “realtà cattolica”, una “fecondazione cattolica”, una “scienza o medicina cattolica”. La questione è riconoscere la realtà, non etichettarla. E distinguere la realtà dall’idea che noi ci siamo fatti di essa. Non vi è dunque ragione per “imporre” niente a nessuno: è la stessa realtà che si impone ai nostri occhi». I ricercatori che da oltre un secolo hanno osservato la fecondazione e lo sviluppo dell’embrione «sono giunti – spiega Colombo – a questa conclusione: la vita di ognuno di noi è nata come un embrione. Perché allora fare all’embrione quello che nessuno vorrebbe fosse fatto a se stesso? è la ragione che ci porta a questo, non la fede. La fede ci dà delle ragioni in più per rispettare e avere a cuore il nostro destino e quello degli altri».
Don Roberto ha vissuto su di sé un piccolo ma significativo caso di accusa di scomunica intellettuale. Durante il convegno organizzato da Politeia a Milano il 10 gennaio, il professor Carlo Flamigni l’ha tacciato di «dogmatismo». «Il dogmatismo? è tutta un’altra cosa. Appartiene a chi presume di essere già arrivato, di avere compreso tutto e di non dover mai ricominciare anche quando si ha sbagliato». Mentre don Colombo, se dovesse indicare quale è la categoria in cui si riconosce più compiutamente, «indicherei la categoria della possibilità, della inesauribile ricerca, sempre aperta all’incalzare del manifestarsi della consistenza ultima della realtà. Compromessi con la realtà non se ne possono fare: è la vita che non fa compromessi con noi, non ci lascia tregua. La vita è una battaglia, come dice la Bibbia. Una sfida continua: anche questa sulla fecondazione artificiale».

LO SCANDALO DEI CRISTIANI VERACI
Eppure anche fra i cattolici vi è chi ha avanzato qualche idea di compromesso. Lo hanno fatto, con diverse sfumature, il settimanale Famiglia Cristiana e il mensile 30 Giorni. Hanno sostenuto possibili modifiche della legge, nel tentativo di evitare il referendum e battaglie culturali dirimenti. «Lo dico con assoluta modestia e in punta di piedi» è la premessa per Tempi di Cinzia Caporale, vicepresidente del Comitato intergovernativo dell’Unesco e vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. «Ma è singolare che i laici accusino i cattolici di essere fondamentalisti solo perché hanno un credo. Ed è altrettanto singolare che i cattolici si vergognino di esprimere le proprie convinzioni razionali con l’aperto sostegno della fede».
La laica-liberale Caporale ha raccolto le firme per i referendum, andrà a votare “sì” a tutti e quattro, ma «voglio difendere la scandalosa posizione della Chiesa che, lo riconosco, una certa esperienza e legittimità a parlare di tali questioni, ce l’ha». «Il rischio della bioetica – prosegue – è di imporre uno standard morale. La preoccupazione delle carte europee e del mondo in materia è di mettere fuori gioco i cattolici che sono visti come fondamentalisti perché vogliono il massimo grado di tutela per l’embrione». È una posizione scomoda, «anzi, usiamo la parola esatta: è scandalosa. Ma io, che pure non mi sento di aderirvi, difendo questa scomodità che mi costringe a pensare, mi stimola a riflettere, mi obbliga ad assumermi delle reponsabilità. I cattolici veraci sono insopportabili, perché quando li senti sostenere con forza il loro credo poi ti obbligano a interrogativi che non ti fanno dormire la notte».

PERCHE’ JONI NON SCOMMETTE SULLE EMBRIONALI
La quadriplegica cinquantenne Joni Eareckson Tada pensa che la questione centrale nella vicenda delle staminali embrionali non sia la loro maggiore efficacia rispetto a quelle adulte, quanto «ciò che è bene o male per il nostro futuro. Ne va di noi stessi. Se violiamo un embrione oggi, domani lo faremo con il feto, poi con l’infante e infine con i disabili. Dobbiamo rendere più forte la nostra cultura, non indebolirla». Alla Cnn ha detto quindi che «non tutti i disabili americani credono nell’uso degli embrioni umani. È disgustoso disporre della vita umana. Io sono una persona disabile, esposta e vulnerabile in quanto tetraplegica e credo che le persone come me, gli anziani, i deboli, i nascituri siano in pericolo in una società che comincia a smantellare le difese intorno alla vita umana. Questa difesa cade se cominciamo a uccidere la vita e se non ci chiediamo se un embrione umano abbia o no un’anima. Credo che quell’embrione un’anima ce l’abbia. Non è un embrione di capra, non è un topo, non è un embrione di pollo. È umano».
Joni è in una sedia a rotelle da quando ha 17 anni, è la più famosa disabile d’America e ha fondato un’organizzazione, “Joni and friends”, che dal 1979 aiuta i disabili in tutto il mondo. A differenza del radicale Coscioni, per la propria cura Joni non è disposta a scommettere sulle staminali embrionali, non pensa sia un prezzo giusto da pagare, anche qualora se ne dimostrasse l’efficacia. «Non si tratta tanto di decidere cosa fare delle migliaia di embrioni congelati, ma di non consentire alla radice che vengano immagazzinati in un frigobar». Divenne famosa con un’autobiografia nel 1976, e due anni dopo, in una puntata di “Good morning America”, arrivò la definitiva consacrazione. Ha anche lavorato per l’Amministrazione Reagan che ha redatto la legge in favore dei diritti dei disabili. Ad un “Larry King Show” ha detto di essere «molto grata del fatto che trentasette anni fa in giro non ci fosse nessun Jack Kevorkian, il dottor Morte, desideroso di iniettare qualcosa nelle mie vene».

Giulio Meotti

CHI BLOCCA LA RICERCA
Luigi Cavalli Sforza sul Sole 24 Ore del 18 gennaio (“Libera scienza in libero Stato”) ha imputato alla legge 40 il reato di bloccare la ricerca scientifica italiana. La tesi non è condivisa da Angelo Vescovi: «La ricerca è calpestata e vilipesa per altri motivi: l’eccesso di burocratizzazione, la difficoltà a reperire fondi, la mancanza di strumentazione adeguata… che c’entra la legge 40?». Uno dei temi più discussi, e su cui Vescovi conduce da anni una battaglia culturale, è la questione della ricerca sulle cellule staminali. Vescovi sostiene che essa deve essere indirizzata verso quelle adulte, che già hanno dimostrato di essere più efficaci e che non pongono problemi etici di nessun tipo rispetto a quelle embrionali.
Cinzia Caporale non è d’accordo: «Le cellule embrionali non hanno, per i dati oggi in nostro possesso, ancora un potere terapeutico dimostrato. Però è fondamentale che si lasci la ricerca libera perché esse possono fornire un insuperabile fattore conoscitivo».
Ma per don Roberto Colombo «non si può iniziare una ricerca sulla terapia cellulare senza chiedersi da dove proviene un particolare tipo di cellule staminali e che cosa implica il fatto di prelevarle da un embrione umano: la sua sicura morte».

“LA LEGGE NON OSTACOLA LA FECONDAZIONE IN VITRO”
«La legge 40 non pone grandi problemi a chi pratica la fecondazione in vitro». Lo dice a Tempi il ginecologo Claudio Manna, docente universitario a Tor Vergata. Il professor Manna fa fecondazione in vitro «e ho sempre operato prima e dopo la legge senza mai scartare né congelare embrioni. Tale procedura è tecnicamente possibile e garantisce buoni risultati». Manna spiega che «già prima dell’introduzione della norma vigente lavoravo sugli ovociti pronucleati non andando così a toccare l’embrione». Una distinzione un po’ bizantina, tanto che Manna ammette che «effettivamente su questo punto la legge non è molto chiara. Io, comunque, ritengo che, se si potesse chiarire questo passaggio del testo, noi potremmo risolvere il 90 per cento delle questioni che oggi sono in ballo».
Per Manna «la legge 40 è una buona legge e le statistiche lo confermano. Non è vero che ha ostacolato le pratiche in vitro, la percentuale di successi non si è statisticamente modificata». Rimane la sorpresa, invece, di veder arrivare «molte pazienti che vivono di questo pregiudizio negativo nei confronti della legge», e del curioso silenzio «di molti colleghi che, pur condividendo questa mia posizione, sono timorosi di renderla pubblica».
Luigi Frigerio è primario di Ginecologia agli Ospedali riuniti di Bergamo e spiega a Tempi che nel suo ospedale «su 500 cicli stimolati all’anno usando le regole imposte dalla legge 40, e in conformità col parere del Comitato etico, abbiamo avuto da Icsi e da Fivet il 40 per cento di gravidanze che proseguono con successo. Mentre abbiamo ottenuto un buon 30 per cento di successo per casi da ciclo stimolato». Per questo, secondo Frigerio, «a Bergamo diciamo che, anche operando nel rispetto della legge, si ottengono buoni risultati, sebbene la vulgata comune sostenga il contrario». Tra l’altro, secondo il primario «è possibile evitare astruse distinzioni e operare direttamente una selezione sui gameti e non sugli embrioni, così da non avere problemi né scientifici né morali».

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