Se The Economist per una volta sbaglia (e ringrazia Tempi per la genti le correzione vedi a pag. 5), D’Alema&Veltroni leggano un po’ più il settimanle inglese (che pure li ricambia di tante simpatie). Capiranno che la sinistra del Lingotto guida l’Itali

Editoriale

N el fanciullino volto teso di Mas-simo D’Alema non ci sono soltanto i fardelli del governo di un premier che non fu come generale Stilicone, il barbaro di origine vandala che servì con onore gli ultimi scampoli dell‘Impero romano. Se il premier romano si è incamminato con encomiabile stoicismo verso gli archivi della storia, quel suo retrocedere nelle apparenze rivela la decrepitezza dei vecchi slogan della sinistra e offre oasi di serenità solo nelle malinconiche località invernali della riviera. La stessa sede scelta per l’assise diessina, un monumento all’archeologia industriale, è significativamente spia di una leadership che lavora a spingere il paese non verso un “radioso futuro”, ma alla contemplazione (a braccetto di qualche prete) del proprio ombelico, attaccato al penzolante cordone di vecchie utopie. D’Alema non ha risolto e non risolverà (e non tanto per suo personale demerito, ma per il blocco di potere in cui egli è creciuto e che ora governa lui) una sola delle questioni serie della politica e dell’economia italiana. E forse nemmeno riuscirà a fare in modo che sindacalisti, burocrati statali e pensionati, preservino un loro piccolo gruzzolo in banca per morire in pantofole a Rimini o a Bordighera.

Congresso show, ma piccolo piccolo Nonostante l’Evento Congressuale le Ferilli e i Giovannotti, la sinistra rimane orfana anzitutto di uno slancio di generosità e positività. Gli resta l’odio per Berlusconi, poiché la stessa esistenza fisica del Cavaliere ricorda alla sinistra che una sinistra così, è cosa morta (e solo fatti che scatenino grave e grande emotività potrebbero ricompattarla, perciò occhio alle provocazioni). Mentre il secolo transitava e arrivavano le solite statistiche che raccontavano i dolori della povera Italia (record di disoccupati, un giovane su tre non trova lavoro, Sud-Italia da economia assitita sub-sahariana, dovremo importare extracomunitari per avere infermieri, operai, contadini) Veltroni era a sudare sulle carte di una inconsistente – anche se molto emotiva – prolusione congressuale. Ma quale “I care” caro Walter Veltroni&C; che hai di tanto interessante da proporre al paese se non una pensosità rarefatta, uno slogan contemplato in 101.349 siti Internet, una malcelata euforia del potere, il senso tutto provinciale da amministratore periferico dell’impero che stringe le mani a Clinton, prende il brunch con Blair, riceve il fervorino da Schroeder? Nel mentre stringete le mani e celebrate la discussione interna e dite che la sinistra è il domani e così domani avremo più solidarietà e più lavoro e più istruzione, perchè non ponete anche un po’ di attenzione all’oggi e non vi domandate come mai il vostro governo, ad oggi, nonostante tutta la bella stampa di regime sia con voi, non è riuscito a concludere un bel niente? Si dirà, ma no: una giornata ecologica qua, una celebrazione dei 50anni della pillola là, una riforma pazzesca della scuola su, un’altra sovietica della sanità giù. Ma se se ne è accorta anche la più governativa delle industrie italiane che il governicchio D’Alema, sotto il vestito del compitino politamente corretto, non ha proprio niente? Gli è che le caste dirigenti non politiche non sono meglio di loro.

Noi giornalisti compresi e compresi certi radicali, che ci deludono assai quando fanno voto di immolarsi sugli altari del bipolarismo e del liberismo ma poi di fatto ricattano e sono pronti a tirar la volata anche al governicchio, pur che Pannella goda. Lo si dice noi, che forse con un pizzico di ingenuità politica (e vabbé lo ammettiamo, non siamo machiavellici), non si è mancato di infiammarci sull’attivismo radicale e sui referendum che, a differenza della limpida diffidenza mostrata su queste pagine dal politologo Gianni Baget Bozzo, continuiamo a considerare nella sostanza legittimi. Perché? Perché non sappiamo più a quale santo attaccarci per iniziare sfondare una buona volta quella mafia reale che è lo stato, così com’è oggi, occupato e spolpato dalla nomenclatura sindacale e burocratica (che poi ci fanno pure la predica da primi della classe operaia). Qui c’è davvero il rischio di un paese allo sfascio e che tra qualche anno sarà morto e sepolto, oltre che per le ragioni demografiche che vi mostriamo in copertina, per l’evidente impasse – colpa anche di quei magistrati che hanno fatto e ucciso la politica in questi anni – in cui il paese si trova.

Ora, siccome non è augurabile a nessuno di consolarsi con Sanremo piuttosto che con una vincita al Superenalotto, non si può immaginare che, impegnate come saranno a fare campagna elettorale, le nostre classi dirigenti abbiano nei prossimi mesi il tempo per guardar dentro e riflettere sul serio sulle cause della mesta rassegnazione che si va diffondendo come un fungo cattivo sul corpo che fu vivo di una nazione.

Ecco così, implacabile, il rendiconto del decennio di Repubblica dei Giudici.

C’è qualcosa di molto peggio per la vita di un popolo che la corruzione e c’è qualcosa di molto più decisivo per la sopravvivenza di una reale democrazia che lo sventolio di bandiere e il commosso retore della questione morale. Il molto peggio si chiama perdita della memoria e riscrizione della storia a capriccio dei potenti. Il più decisivo si chiama azione politica, o mediazione degli interessi, o trasformazione dei conflitti in fair play, o chiusura delle scorciatoie del peronismo giudiziario e riapertura della strada maestra del confronto-scontro di idee, o più classicamente partecipazione agli affari della vita pubblica, che oggi avvengono solo per via rancorosa e rivendicativa di diritti crescenti, di cui, per altro, si è perso il significato e destino. Con tutta la contraddizione per cui si vuole il massimo della libertà, ma al tempo stesso il massimo di tutela legale. Specie in materia sessuale, che il potere volentieri concede (libertà e legalismo), poiché è con il centralismo sessual-democratico che si orientano verso un senso unico le energie umane, e dunque si distolgono dal resto, in primis i pubblici affari (ne sapevano qualcosa i monaci medioevali che fuggivano il secolo non per sessuofobia come i deficienti sostengono, ma per economia, cioé per acquistare e far acquistare al popolo del secolo a cui appartenevano, civiltà, come si vede ancora intorno a qualunque di una delle 700 abbazzie cistercensi che a partire dall’anno mille misero le basi della civiltà economica e politica europea). Con la conseguenza che tutto – cioè le ragioni e le aspirazioni umane – finisce in vacca, o in football, con tutto il rispetto per le vacche e il football.

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