Scontro sulla giustizia, caso Alpi e i fantasmi di Prodi

La settimana dei fatti non separata dalle opinioni

La politica delle querele Sul fronte della giustizia quella scorsa è stata una settimana rovente. Questi i fatti. Venerdì 26 novembre il giudice delle Udienze preliminari Alessandro Rossato rinvia a Giudizio Silvio Berlusconi e Cesare Previti con l’accusa di concorso in corruzione dei giudici romani in merito alla vendita della Sme da parte dell’Iri. Il leader del Polo reagisce e parla di “prove false” e, in relazione alle elezioni suppletive previste per la domenica successiva (28 novembre) di “processo politico per danneggiare il leader dell’opposizione”. Lo scontro si alza e il presidente del Consiglio Massimo D’Alema giudica un “estremismo violento e intimidatorio” le parole del Cavaliere, mentre il leader di An Gianfranco Fini parla di “Mandanti politici”. Domenica sera, a urne chiuse il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dichiara che “le critiche ai giudici sono ammissibili, ma non devono tradursi in lesione dei valori dell’autonomia e dell’indipendenza della funzione giudiziaria”. Martedì Berlusconi, alla trasmissione radiofonica “Radio anch’io”, dichiara: “Non attacchiamo la magistratura, ma pochi giudici che si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere. Le dichiarazioni di D’Alema Veltroni, Folena, Angius e Mussi hanno dimostrato che c’è una collusione diretta e precisa. Sono loro i mandanti? Credo che sia di un’evidenza solare. Chi sono i beneficiari politici dell’azione politica delle toghe rosse?”. La risposta immediata dei vertici diessini è l’annuncio di una querela: “Berlusconi ha abbandonato del tutto il terreno politico, lanciandosi in dissennate accuse diffamatorie nei nostri confronti. Noi, dirigenti politici dei Ds, lo chiameremo a risponderne di fronte alla legge, cosa per la quale stiamo incaricando un collegio di difesa”.

Il miglior commento a questa vicenda l’ha fornito l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga: “Trovo ridicola e pericolosa e ben al di sopra delle righe la reazione dei giovani dirigenti dei Ds. Ho ascoltato Berlusconi: ha detto certe cose forti e molto polemiche ma io ho ritenuto che la sua fosse un’accusa politica e culturale. Ho deplorato con affetto il fatto che Berlusconi sia andato sopra le righe, anche se gli riconosco il diritto ad essere disperato, soprattutto dopo aver letto il decreto, incomprensibile, con cui il Gup Rossato lo rinvia a giudizio, mettendosi sotto i piedi il diritto alla presunzione di innocenza, che deve valere per tutto il processo e non solo per il dibattimento”. “Personalmente – ha aggiunto Cossiga – non mi sono mai sognato di querelare né i dirigenti del Pci, né l’Unità quando mi hanno accusato di essere piduista (sempre che di un’accusa si tratti), organizzatore di bande armate, plagiato da Gelli nella gestione del caso Moro (e non invece da Berlinguer come Moro scriveva) e hanno fatto eco dei falchi di Bologna alle accuse di stragismo che mi venivano disinvoltamente rivolte. Né Natta né Occhetto si sono mai sognati di querelarmi quando risposi per le rime. Che forse De Gasperi ha querelato Togliatti quando gli ha dato del ‘traditore della patria’ e del ‘servo degli Stati uniti’? O viceversa quando De Gasperi ha dato a Togliatti del ‘servo prezzolato dell’Urss’? Non portiamo davanti ai giudici conflitti politici, non per questo sono stati costituiti. Non costringeteci a urlare: ‘torniamo alla Costituzione del ’48, alla gloriosa Dc, al glorioso Pci, alla gloriosa Prima Repubblica!”. Del resto, se la politica è arrivata a un simile punto di asservimento alla cultura giustizialista da preferire allo scontro politico le aule dei tribunali, si capisce perché un funzionario dello Stato come il direttore dell’amministrazione penitenziaria, Giancarlo Caselli, si permetta di dichiarare a proposito di un commento di Silvio Berlusconi sulla giustizia apparso sul quotidiano torinese La Stampa (lunedì 29 novembre), che “È vergognoso che sul giornale di Bobbio sia ospitato un commento del leader dell’opposizione che parla di giudici carnefici”. Così, mentre ci si preoccupa di querelare il politico Berlusconi, nessuno si perita di chiedere conto delle dichiarazioni politiche di un magistrato che pretende di stabilire cosa possa scrivere il leader dell’opposizione e cosa possa pubblicare un quotidiano. Così va l’Italia.

Il caso Alpi in Commissione europea Il 20 luglio scorso, la seconda corte d‘assise di Roma ha assolto il somalo Omar Hassan Hashi, unico accusato per l’omicidio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994 con il cameraman Miran Hrovatin. Ma le conseguenze della scriteriata campagna di stampa che in un presunto, ma mai dimostrato (anzi smentito da prove e fatti) traffico d’armi condotto a bordo dei pescherecci della flotta di pescherecci Shifco aveva individuato il movente dell’omicidio e nei presunti trafficanti i mandanti, sta portando al fallimento della stessa flotta con il rischio di gettare sul lastrico le famiglie (in tutto circa 2.500 persone) dei marinai italiani e somali che vi lavorano. Il portavoce dei marittimi Mario Mancinelli si è rivolto con una lettera aperta al presidente della Commissione europea Romano Prodi, ai commissari europei Franz Fischler e David Byrne per tentare di ottenere la revoca del blocco imposto dall’Unione europea alla vendita sul suo territorio dei prodotti ittici pescati dalla Shifco: “La flotta, contro cui la Comunità europea ha decretato l’ostracismo è ormai in agonia. (…) L’ufficio della Commissione della quale è ora responsabile il sig. Byrne, già dall’anno scorso, tramite il direttore Reichembach dichiara che è tutto in regola. Mi dicono che manca solo il semaforo verde per tirar fuori la pratica dal cassetto! (…) Mi dicono anche che abbiamo due opzioni: la Corte Europea di Giustizia o la… volontà politica. Ma, prima che la Corte si pronunci, delle nostre navi non resterebbe neanche il fasciame. (…) Il concetto di volontà politica francamente ci sfugge: significa ripercorrere la solita italica routine della ricerca di santi in paradiso? (…) Se il semaforo continuerà a restare rosso, non abbiamo alcuna speranza di sopravvivenza”.

Come osservammo in occasione della sentenza del processo Alpi, i teoremi preconfezionati non servono a rendere giustizia e pace ai morti, in compenso sono molti i danni e le sofferenze che procurano ai vivi. Questo ne è un caso sintomatico: una spregiudicata campagna di stampa costruita su interessi di bottega (giornalistici e politici, come Tempi ha illustrato in alcune inchieste) più che su fatti (gli unici che dovrebbero interessare a tribunali) e alla quale ora sembra non si sappia come porre la parola fine. Troppe pagine di giornali e trasmissioni tv, troppe le verità di comodo fornite per poter ammettere che erano false; troppi i professionisti “delle verità scomode” scesi in campo per poterli smentire tutti; troppi amici degli amici, errori e interessi incrociati per difendere i diritti violati di qualche centinaia di marittimi. Troppe mani pulite e coscienze a posto per sporcarsele con dei pescatori abruzzesi e somali. Così accade che quando i teoremi e le ideologie hanno il sopravvento, i morti seppelliscono i vivi.

Riscusate l’anticipo Di recente il presidente della Commissione Stragi, Giovanni Pellegrino, ha espresso nuovi dubbi sulla famosa dichiarazione con cui Romano Prodi, il 10 giugno 1981 davanti alla Commissione Moro, affermava di aver appreso il nome di “Gradoli” come possibile luogo del covo brigatista in cui era sequestrato Aldo Moro, nel corso di una seduta spiritica in un casolare di campagna cui parteciparono anche altri illustri professori universitari quali Alberto Clòe e Mario Baldassarri. Ad alimentare la polemica, successivamente è giunta l’intervista a “Famiglia cristiana” (ripresa da Panorama del 25 novembre) di Giovanni Galloni, vicesegretario della Dc all’epoca del sequestro Moro: “È chiaro – ha detto – che fu adoperato l’artificio della seduta spiritica per coprire la fonte della soffiata”.

Già un anno e mezzo fa da queste colonne sollevammo la questio quando Oreste Scalzone (Tempi anno 4, n° 13, 8 aprile 1998) osservò che “Su Moro resta solo un mistero: chi suggerì a Prodi il covo delle Br in via Gradoli?”. Ora è venuto proprio il momento che il presidente della Commissione europea ci riveli il nome dello spiritello.

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