Scavar buche per riempirle

Quando si dice l’intempestività. Un libro così non poteva capitare in un momento più sfavorevole. Tutti i riflettori sono puntati da un’altra parte: il nemico oggi è il fondamentalismo islamico, il terrorismo internazionale.

Kang Chol-hwan, Pierre Rigoulot, L’ultimo gulag, 218 pp. Mondadori, lire 33.000

Quando si dice l’intempestività. Un libro così non poteva capitare in un momento più sfavorevole. Tutti i riflettori sono puntati da un’altra parte: il nemico oggi è il fondamentalismo islamico, il terrorismo internazionale. Il comunismo? Roba del secolo passato. Perfino in Polonia l’epopea di Solidarnosc (cantieri di Danzica, agosto 1980: sembra preistoria) è stata spazzata via dalle urne. Cuba aspetta solo la morte di Castro per sedersi finalmente al banchetto dell’Occidente industrializzato. Ma sarebbe un peccato se questo volume restasse a prender polvere sugli scaffali. Perché ricorda che c’è un angolo del pianeta dove il XXI secolo non è ancora cominciato, dove l’orologio della storia si è fermato all’epoca dei lager. Kang Chol-hwan è entrato in un campo di rieducazione della Corea del Nord nel 1977, a nove anni; ne è uscito a diciannove. La rievocazione che fa della vita nel GULag ha i contorni asciutti di una cronaca: non servono punti esclamativi, la realtà parla da sé. Kang descrive l’alimentazione, di solo granoturco bollito: per integrarla si catturano rane, insetti, salamandre; l’arrosto di topo è un’eccezione ricercata. Rievoca il lavoro, continuo, estenuante: se non c’è niente da fare si scavano buche per riempirle. Illustra le punizioni: la cella di rigore è una garitta di mezzo metro di lato in cui si sta per giorni in ginocchio o seduti sui talloni. Ricorda di quando una squadra di bambini al lavoro in una cava è stata travolta da una frana e i sopravvissuti, dopo aver estratto i corpi dei compagni morti, sono stati costretti a rimettersi all’opera. Descrive la sepoltura dei cadaveri, su una collina in mezzo al campo; fino a che le ruspe non l’hanno spianata e sul terreno, cosparso di resti umani, è stato riseminato il granoturco. Racconta insomma l’abissale degrado dell’umano, esito finale della “rieducazione”: «Ho soltanto capito che un essere umano può essere perverso senza limiti. Se prima di entrare a Yodok potevo credere che l’essere umano fosse diverso dalle bestie, ora non mi è più possibile pensarla così».

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