Ruby: «Tortura psicologica dei magistrati perché accusassi Berlusconi»

Le dichiarazioni della giovane marocchina: nega di essere una prostituta, spiega le sue bugie, mostra il passaporto con la scritta Mubarak, attacca i giudici del processo

Questa mattina, Karima El Mahroug alias Ruby, la ragazza al centro dei casi dei festini in casa di Silvio Berlusconi con cui è imputata in un processo, si è recata davanti al Tribunale di Milano e ha letto una lunga dichiarazione. Si è presentata da sola, con un cartellone con la scritta «Caso Ruby: la verità non vi interessa più?» e sull’altro lato «Voglio difendermi dalle bugie e dai pregiudizi».La ragazza chiede, in sostanza, di essere sentita dai magistrati e nega di essere una prostituta.
«La colpa della mia sofferenza – ha spiegato – è anche di quei magistrati che, mossi da intenti che non corrispondono ai valori di giustizia, mi hanno attribuito la qualifica di prostituta nonostante abbia sempre negato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento e soprattutto di averne avuti con Silvio Berlusconi».

NIPOTE DI MUBARAK E PASSAPORTO. Nel suo monologo davanti al Palazzo di Giustizia, Ruby ha parlato della sua falsa parentela con l’ex leader egiziano Mubarak: «Mi dispiace di avere mentito sulla parentela con Mubarak e di aver detto altre bugie sulle mie origini, ho giocato di fantasia perché il vecchio passaporto me lo ha permesso». Per avvalorare la sua difesa, la giovane marocchina ha mostrato ai giornalisti un falso passaporto nel quale compariva il nome di Mubarak. «Presentarmi come la nipote di Mubarak mi serviva a costruire una vita parallela, diversa dalla mia. Mi serviva a mostrare un’origine diversa, lontana dalla povertà in cui sono nata e cresciuta e dalla sofferenza che ho patito prima e dopo aver lasciato la mia famiglia in Sicilia».

NON SONO UNA PROSTITUTA. Ruby se l’è presa anche con i legali di Silvio Berlusconi, oltre che con i giudici di Milano, colpevoli, a suo dire, della «decisione di non ascoltarmi come teste che mi ha danneggiato». «C’è ancora tanta gente che mi guarda dall’alto in basso. Mi considerano una prostituta, sebbene il processo Ruby abbia dimostrato esattamente il contrario. Trovo sconcertante e ingiusto che nessuno voglia ascoltarmi, soprattutto perché secondo l’ipotesi accusatoria io sarei la parte lesa, secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri sarei la vittima. Eppure nessuno ha interesse ad ascoltare la mia versione dei fatti, cioè l’unica verità possibile. In questo l’unica prova fornita nel processo che dimostrerebbe che io mi prostituivo sono delle fotografie che il capo degli investigatori ha mostrato in aula dopo averle scaricate dal mio profilo facebook: una circostanza ridicola».
Ruby afferma anche che «la violenza che più mi ha segnato è stata quella di essere vittima di uno stile investigativo fatto di promesse mai mantenute di aiutarmi a trovare una famiglia e di proseguire gli studi; un metodo fatto di domande incessanti sulla mia intimità, le propensioni sessuali, le frequentazioni amorose, senza mai tenere conto del pudore e del disagio che tutto ciò provoca in una ragazza di 17 anni».
Ruby ha fatto riferimento più volte al suo compagno Luca Risso e alla figlia Sofia: «Voglio che mia figlia sia fiera di sua madre» e ha parlato di violenza «che oggi colpisce anche il mio compagno Luca Risso, che è accusato dalla procura di Genova di reati mai commessi».

TORTURA PSICOLOGICA. Ruby ha denunciato di aver subito «una vera e propria tortura psicologica» da parte dei magistrati. «Un atteggiamento investigativo apparentemente amichevole che è progressivamente mutato quando è stato chiaro il fatto che non avrei accusato Silvio Berlusconi. A quel punto sono iniziative le intimidazioni subliminali, gli insulti nei confronti delle persone che mi avevano aiutato… una vera e propria tortura psicologica».
«Una volta – ha raccontato – non potendone più sono addirittura scappata dalla comunità di Genova in cui mi trovavo per non dover subire ancora quella pressione e l’unico che si preoccupò e mi convinse a rientrare è stato un amico al quale sono tuttora affezionata. Sono rientrata e di fronte alla pressione incessante dei magistrati ho ceduto: era più facile dire sì e raccontare storie inverosimili piuttosto che farmi angosciare o peggio far accettare la verità che avrei voluto raccontare». «Mi sono resa conto – ha continuato – che a loro non interessava nulla di me. Ho raccontato di aver incontrato persone che conoscevo solo grazie ai rotocalchi, come Cristiano Ronaldo o Brad Pitt e dentro di me mi domandavo come fosse possibile che non si accorgessero che erano frottole. Questa è stata la peggiore delle violenze che ho subito, oltre alle costanti diffamazioni riportate dalla stampa alle quali mi pento di non aver reagito prima».

UNA GUERRA CHE NON MI APPARTIENE. Perché ha raccontato tante bugie? Ruby ha motivato così il suo comportamento: «Mi vergognavo di me, del posto in cui sono nata, della mia famiglia, dei piccoli lavori di fortuna che sono stata costretta a fare per racimolare qualche spicciolo. Ho raccontato bugie per sentirmi diversa e per convincere anche gli altri che lo fossi davvero, diversa come avrei voluto essere sempre. Mi spiace aver raccontato queste bugie anche a Silvio Berlusconi, il quale, oggi, sono sicura, si sarebbe dimostrato rispettoso e disposto ad aiutarmi anche se avessi detto la verità. A 17 anni non sapevo nemmeno chi fossero i pubblici ministeri, non leggevo i giornali, a malapena sapevo chi fosse Berlusconi. Oggi ho capito che è in corso una guerra nei suoi confronti che non mi appartiene, ma che mi coinvolge, mi ferisce. Non voglio essere vittima di questa situazione. Non è giusto».

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