Ronaldo scappa, arriva Zac: ma non si vince mai

Dopo Cuper, Verdelli, dopo Verdelli, Zaccheroni, dopo Zaccheroni, Mancini. La giostra "macina allenatori", ben oliata da Moratti, continua a girare allegramente. I risultati non arrivano e i soldi di famiglia se ne vanno, provocando buchi finanziari sempre più difficili da ricompattare. Ma fin quando ci sono

La ferita dell’Olimpico sanguina ancora e Società e tifosi interisti devono affrontare l’ennesima grana. E come è accaduto nel 1998 c’è un Mondiale di mezzo e il protagonista è sempre lui: Ronaldo! L’abbiamo lasciato piangente sulla panchina nella fatidica partita contro la Lazio, il Fenomeno vola verso il Giappone e intanto vuole volare via dall’Inter. Dal Mondiale in terra nipponica parte uno stillicidio di dichiarazioni e smentite, ma sembra proprio che la decisione di finire di giocare tra le fila nerazzurre sia irrevocabile. I tifosi interisti lo vedono protagonista con il Brasile, segna nella finale contro la Germania, è campione del mondo e lancia un out out a Moratti: o me o Cuper!

Moratti è messo alle strette e questa volta non sente ragioni: non vuole darla vinta ad un suo giocatore, neppure se si chiama Ronaldo, e in un caldo pomeriggio milanese d’agosto, apre una porta sul retro della sede interista di via Durini e lascia fuggire il campione brasiliano, come un traditore della patria, verso il Bernabeu, dove lo accoglieranno i “blancos” del Real Madrid. Nelle stesse ore Silvio Berlusconi in qualità di presidente del Milan, annuncia l’acquisto, dalla Lazio, di Alessandro Nesta, dopo che, qualche giorno prima, aveva negato l’esistenza della trattativa con il grande difensore, nei saloni affollati del Meeting di Rimini. Intanto, il popolo interista, saluta piuttosto inviperito Ronaldo; la sua avventura al Real non sarà esaltante: con un inizio promettente, vincerà un paio di coppe internazionali e un campionato spagnolo, ma mai la Champions.

Ma torniamo all’estate del 2002. Alla notizia dell’arrivo al Milan di Nesta, Moratti si avventa su Fabio Cannavaro, punto fermo della Nazionale, e per sostituire Ronnie arruola l’argentino Crespo. E’ immancabile la girandola di giocatori che arrivano o lasciano il campo di Appiano Gentile: si intensificano gli “affari” con il Milan, all’altra squadra di Milano vengono ceduti Seedorf e Simic per Coco (rifiutato “sdegnosamente” Rui Costa), al Parma vengono ceduti Adriano (in prestito, per farsi le ossa) e Gresko (definitivamente, deo gratias!). Arrivano, inoltre, il centrocampista Almeyda e il trequartista Morfeo. Parte, quindi, la stagione 2002/2003: secondo anno per Cuper, con un ambiente che deve dimostrare di aver superato lo shock dell’abbandono di Ronaldo. Il campionato scivola via senza infamia e senza lode, l’Inter arriva seconda a 7 punti dalla Juve e davanti al Milan di 4 punti.

Il percorso di Champions League, vede la squadra di Cuper arrivare alle porte della semifinale e, con sorpresa, accorgersi di dover giocare il derby anche in sede europea. Infatti, l’avversario di turno è il Milan; malgrado molti acciaccati “l’hombre vertical” esce, sì, perdente, ma a testa alta dalla doppia sfida: i derby di Champions finiscono 0-0 all’andata in casa milanista e 1-1 sul terreno interista. Insomma, senza perdere e rischiando addirittura di vincere in casa (Abbiati deve superarsi e compiere un autentico miracolo su Kallon), l’Inter cede la finale al Milan, ma con onore. I rossoneri, poi vinceranno la Coppa a Wembley, in un finale tutto italiano, contro la Juve , ai rigori, dopo una partita noiosissima. Nonostante Cuper abbia condotto la squadra fino alle semifinali di Champions (cosa che non accadeva all’Inter da tempo immemore), non ha più la piena fiducia di Moratti, che nel calciomercato di quell’estate si “regala” lo spagnolo Kily Gonzales, l’olandese Van der Meyde e, dal Chievo, il brasiliano Eriberto (poi scopertosi Luciano), che dopo sei mesi torna al Chievo. Ma non finisce qui: arrivano l’argentino Cruz, dal Bologna, e il terzino danese Helveg; a gennaio, poi arriveranno Adriano, di ritorno dal Parma, dove era in comproprietà (e che l’Inter, per la solita sventatezza organizzativa rischia di perdere) e Dejan Stankovic dalla Lazio. Questa girandola di nomi non basta e dopo un avvio stentato Moratti dà anche a Cuper il benservito. La giostra “macina allenatori”, ben oliata dal presidentissimo, è sempre in funzione ed è causa di un buco nero finanziario di difficile ricomposizione. Funziona così: il neo allenatore di turno, assunto da Moratti, strappa nella trattativa di assunzione un contratto pluriennale, ben sapendo che il Massimo dirigente interista si disferà presto del suo operato. Avendo subìto il licenziamento, l’ormai ex allenatore potrà cercarsi un’altra squadra con molta calma, sapendo di potersi godere anni di stipendio a spese della società nerazzurra.

Dunque, Cuper viene sbolognato a ottobre e sulla panchina che scotta arriva (con un po’ di ritardo) un vecchio pallino di Moratti e Tronchetti Provera: Alberto Zaccheroni, che nel frattempo aveva vinto un avventuroso scudetto con il Milan e sedeva sulla panchina della Lazio, nel tragico 5 Maggio 2002. Zaccheroni accetta, violando il suo credo, quello di non prendere mai le redini di una squadra a campionato iniziato. E infatti il suo campionato da trainer interista si svolgerà fra tanti bassi e pochi alti, in Italia (4° posto) e nelle coppe internazionali, e alla fine della stagione dovrà salire anche lui sulla “giostra” presidenziale, per far posto a un giovane allenatore emergente: Roberto Mancini.

Exit mobile version