Ritratto del Guercino e della madre assieme a un cane Lagotto

Questa tela, appartenente alla collezione di dipinti antichi della Fondazione Sorgente Group di Roma, rappresenta un curioso scorcio nella vita privata del pittore barocco Giovanni Francesco Barbieri, meglio noto come il Guercino. Qui è ritratto insieme alla madre Elena Ghisellini e accanto a un cane maculato e lanoso che il maestro originario di Cento indica con la mano sinistra, mentre con l’altro braccio lo cinge in segno di amorevole possesso. Nel volto del Guercino è ben visibile la grave malformazione all’occhio destro che fu all’origine del suo soprannome, un dettaglio che in altri ritratti più ufficiali si tendeva a mitigare. Il pittore infatti non amava mostrarsi nelle sue reali condizioni fisiche, ma la sua inibizione in questo dipinto sembra sparire, come confermato dall’espressione gioviale che irrora l’intera scena di un’atmosfera confidenziale. Questo ci permette di attribuire il dipinto a un artista a lui molto vicino, qualcuno all’interno della sua cerchia familiare più stretta e che ci lascia presupporre la destinazione esclusivamente privata dell’opera. 

Si suppone quindi che possa essere un’esercitazione giovanile di Paolo Antonio Barbieri, fratello minore del Guercino e suo aiutante in bottega, che nel corso degli anni riuscì ad affinare una grande abilità nella realizzazione delle nature morte. Tuttavia Paolo Antonio viene soprattutto ricordato per essere stato il redattore del Libro dei Conti: il registro amministrativo della bottega del Guercino, considerato uno strumento tutt’ora prezioso per gli studiosi.

Protagonista assoluto della composizione è senza dubbio il cane in posa al centro della scena. Si tratta di un Lagotto di Romagna, una razza autoctona delle zone paludose dell’entroterra compreso tra la città di Ravenna e il Delta del Po, in un territorio assai familiare al Guercino. Il nome Lagotto, di chiara origine dialettale (Càn Lagòt), deriva da un piccolo paese di nome Lagosanto nel cuore della Valli di Comacchio, i cui abitanti sono tuttora chiamati “Lagotti” (Tonelli 2004, pp. 252-253). La sua presenza in quelle zone sembra risalire addirittura agli etruschi: raffigurazioni di un animale rassomigliante sono state individuate in alcune pitture parietali nella Necropoli di Spina (Fonte: Club Italiano Lagotto online). Di taglia medio-piccola, il Lagotto è una razza di cane d’acqua da riporto, formidabile per la caccia della piccola selvaggina volatile da palude, come folaghe o fagiani, abile a recuperarla in ogni tipo di situazione, anche immergendosi in acque gelide, grazie al suo pelo riccio e folto che lo protegge dal freddo. 

Una scena talmente familiare al Guercino, che lui stesso la descrive in un piccolo affresco del 1615, staccato da Casa Pannini e oggi parte della collezione della Pinacoteca Civica di Cento: si vede un cane dal pelo riccioluto che, guardingo accanto al cacciatore, è pronto a recuperare nello stagno gli uccelli presi di mira dal padrone (Salerno, 1988, p. 104). Le continue bonifiche avvenute in quelle terre nel corso dei secoli hanno portato a una sensibile riduzione dell’habitat naturale di questo cane che però non ha affatto perso la propria utilità agli occhi dell’uomo grazie al suo formidabile olfatto, che lo rende in assoluto il migliore cercatore di tartufi, fra tutte le razze canine (Morsiani, 1996). 

Il dipinto di Fondazione Sorgente Group non è l’unico esempio di raffigurazione di un Lagotto in età moderna: nel ciclo di affreschi che Andrea Mantegna realizzò nel 1474 nel Castello di San Giorgio a Mantova, nella Camera degli Sposi, sulla “Parete dell’Incontro” è raffigurato un cane di taglia media, dal pelo arricciato del tutto simile al nostro Lagotto, che gironzola fra le gambe dei personaggi. 

Ritornando al dipinto in oggetto, un dettaglio di assoluta importanza è costituito dal collare dell’animale: una fascia rossa sulla quale è riportato lo stemma araldico dei Farnese di Parma, decorato con bianchi gigli. Una famiglia, quella parmense, per la quale Guercino portò a compimento il ciclo di affreschi della cupola nel Duomo di Piacenza; un lavoro inizialmente commissionato al pittore lombardo Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone nel 1626, ma subito interrotto per l’improvvisa morte di quest’ultimo. Questo prezioso riferimento ai Fanese ci fa supporre che il cane sia stato un dono dei duchi parmensi al Guercino, come ulteriore ringraziamento per la realizzazione di quell’unica committenza (Mairo, 2011, p.53). 

Questo ci consente di datare il dipinto al 1627, giustificando così lo stile un po’ acerbo del giovane Paolo Antonio che a soli 24 anni non aveva ancora sviluppato quelle qualità pittoriche che, seppur importanti, non riusciranno mai ad affrancarlo completamente dalla figura del ben più celebre capo-bottega. Nonostante questo, nel dipinto di Fondazione Sorgente Group è ben evidente l’ammirazione che Paolo Antonio nutriva per il fratello maggiore: un sentimento sincero e affettuoso che avvolge completamente la composizione e trapela al punto da coinvolgere lo stesso spettatore in questa atmosfera tenera e conviviale. Il dipinto di Fondazione Sorgente Group assume così un importante valore documentale che ci aiuta ad arricchire la nostra conoscenza della vita privata del grande maestro barocco. 

Bibliografia: Tonelli 2004, pp. 252-253; Salerno, 1988, p. 104; Morsiani, 1996; Mairo in Guercino 1658 La Diana cacciatrice della Fondazione Sorgente Group, 2011, p. 53

Bibliografia di riferimento:

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