Rimborsopoli, «il fatto non sussiste». Ora mettetevi voi in mutande

Dileggiato, schernito, rovinato per dei boxer verdi. E ora che si scopre che era tutto falso, chi risarcirà l’ex governatore leghista Roberto Cota?

Pubblichiamo l’articolo di Luigi Amicone contenuto nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Chi non ricorda l’immagine più esilarante e corrosiva del cosiddetto “scandalo rimborsopoli”? Fino al 7 ottobre scorso, quando i giudici di Torino lo hanno scagionato dall’accusa di peculato, Roberto Cota, leghista ed ex governatore della Regione Piemonte, era il politico delle “mutande verdi”. Lo aveva accusato un rapporto della Finanza. Consegnato alla magistratura nel luglio 2012. Ma che, coincidenza vuole, era finito sui giornali proprio qualche settimana precedente la sentenza con cui il Tar, nel gennaio 2014, annullò le elezioni regionali che si erano svolte ben tre anni e mezzo prima, nella primavera 2010. Ecco, Cota, leghista e governatore dimesso per sentenza amministrativa a causa di firme false presenti in una delle liste collegate alla sua (lo stesso problema che avrà il suo successore renziano Sergio Chiamparino, ma in questo caso Tar e Consiglio di Stato non annulleranno un bel niente) è stato massacrato da una campagna mediatica che lo ha presentato come un cialtrone che rubava sui rimborsi. Ma ecco anche che, venerdì 7 ottobre 2016, i giudici lo hanno prosciolto da ogni accusa. «Il fatto non sussiste». Dunque, non è vero che Cota faceva la stecca su «deodorante, spazzolino, Marlboro da venti. Una cornice. Una valigia. Un dvd. Cipster, taralli, M&M’s, arachidi». Non è vero che Cota si era tagliato lo stipendio da Governatore per farsi regalare dai contribuenti 40 euro di “mutande verdi”.

«Se non ci fosse stato un giudice a Torino, adesso sarei per strada», dice Cota a Tempi. «Ora chi mi ripagherà per l’ignobile gogna che ho dovuto subire?». In effetti è difficile spiegare gli sfregi, le cattiverie, le umiliazioni che gli hanno riservato i noti moralizzatori. A mezzo stampa e a mezzo comici nazionalpopolari. Di casa sui giornaloni e di cassa dei contribuenti Rai. «Gramellini mi ha detestato perché sono della Lega. Repubblica mi ha massacrato per lo stesso motivo. E così Luciana Littizzetto. Alla fine di questa storia mi sembra di aver capito che se non fai parte della casta dei salotti buoni non hai il diritto di presentarti alle elezioni e il popolo non ha il diritto di votarti».

È così, probabilmente. «Cota, ecco cinque euro per la ricarica del telefono», ridacchiava Littizzetto a Che tempo che fa. «Cota che si compra l’erba e la mette in conto alla Regione», rincarava sempre da Fabio Fazio la signora comica. Mentre l’altro famoso torinese, quello dei cuoricini infranti, firmava il suo “Buongiorno” al vetriolo per il leghista puzzone. Girava una foto di Cota che reggeva il portacenere a Bossi. Una foto nella quale era però anche evidente che lo reggeva dal lato sinistro del senatore. Il lato del braccio infermo, paralizzato, immobile. Lo vedono tutti, ma Gramellini è così intelligente, umano, gentile, che scrive: «Quando era soltanto un leghista, Roberto Cota poteva reggere il posacenere di Bossi o sostituirsi a esso con mani d’amianto. Poteva persino sventagliare la nuca del suo signore come uno schiavo nubiano. Ma da alcuni mesi Cota è alla testa di una Regione italiana di una qualche importanza: il Piemonte. Questo significa che, qualsiasi cosa faccia, non è più il leghista che la fa, ma il governatore del Piemonte. E Cavour non combinò tutto quell’ambaradan perché i suoi eredi finissero a reggere il posacenere del pronipote di Alberto da Giussano».

Complimenti. Per rendere detestabile il leghista si deturpa anche un gesto di elementare gentilezza per una persona disabile. Ah, questa sinistra perbene. Torinesi doc e cortesi come Ezio Mauro. Sotto la cui direzione Repubblica si è letteralmente sbranata il governatore. «Qualunque evento negativo accadesse in Piemonte, era colpa mia. Mai un articolo, non diciamo obiettivo, ma anche solo veramente informato sulle cose fatte in Regione, per esempio le riforme messe in campo dalla mia giunta: dai tagli ai costi della politica, alla riforma della sanità. Niente. Evidentemente Cota era il nemico da abbattere».

I feticisti della penna
Buon ultimo e cuor di leone, all’indomani della sentenza Tar, il finale di scherno lo firmerà sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella. Cota, concluderà l’articolo l’autore de La casta, «a tutto avrebbe potuto sopravvivere, forse. Non alla notizia di quei boxer verde-kiwi, modello “Chappytrunk”, taglia L, comprati a Boston il 6 agosto 2011 per 40 euro messi in nota spese. Dice lui che si trattò solo di un errore della segretaria montato ad arte da “feticisti della penna”. Ma si sa, più che un attacco politico o perfino una sentenza può uccidere il ridicolo…».

E invece, dopo lo sputazzo al buongiorno, il sarcasmo a Che tempo che fa e il dileggio in prima pagina. Dopo tre anni di morte politica e di gogna incivile, arriva il processo e la sentenza di assoluzione. «Il fatto non sussiste». Maurizio Lupi, che qualcosa ne sa di gogna e dileggio basati su accuse senza prove, commenterà: «In mutande dovrebbero andare in giro tutti quelli che lo hanno dileggiato gratuitamente e senza prove». Dovrebbero. Già. Li vedete voi i Gramellini, le Littizzetto e gli Stella, non diciamo andare in giro smutandati, ma ad offrire modiche dosi di pubbliche scuse?

@LuigiAmicone

Foto: Ansa

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