Requiem per i Balcani

La tragedia dei Balcani è il prodotto dello smembramento degli Imperi centrali, voluto 80 anni fa dalla massoneria. Milosevic andava fermato dieci anni fa: adesso solo la preghiera e un miracolo possono salvarci. A Est la miscela di nazionalismo, comunismo e religione sta creando un mostro che minaccia l’Europa. Parola del grande storico François Fejto.

Monsieur Fejto, ci sono, a suo parere, delle analogie fra la realtà dei Balcani oggi e quella della vigilia della Prima Guerra Mondiale, che lei ha così ben descritto nel suo libro Requiem per un impero defunto?

Si può dire che tutti i drammi attuali dei Balcani vengono dalle conseguenze della Prima Guerra mondiale, cioè dalla scomparsa dei due imperi che dominavano questa regione: l’Impero ottomano e quello austro-ungarico. La Bosnia è stata occupata e governata prima dai turchi e poi, nel 1908, dall’Impero asburgico, e per tutto questo tempo le etnie di questa regione hanno convissuto felicemente. I croati erano cattolici e i serbi ortodossi; i musulmani erano dei serbo-croati convertiti all’islam nei primi tempi della dominazione turca, ma parlavano la stessa lingua e avevano lo stesso retroterra etnico serbo-croato. Nell’impero ottomano come in quello austro-ungarico, dunque, convivevano -come accade in tutti gli imperi- etnie diverse con religioni diverse, esisteva una certa tolleranza e collaborazione. Dopo la Prima Guerra mondiale, invece, sulla base dei trattati di pace che ne sono seguiti è divenuto dominante il principio di autodeterminazione dei popoli, definiti su base etnica e religiosa. Tutto il male in questa regione d’Europa dove le etnie sono imbricate fra loro, dove c’erano tanti matrimoni misti, piccoli villaggi dove si trovava una chiesa cattolica, una ortodossa e una moschea, dove l’impero e la sua amministrazione avevano prodotto una coesistenza pacifica, viene dall’affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli. Le difficoltà sono nate quando il principio imperiale, cioè di sovranità sovranazionale, è stato sostituito dal principio di nazionalità. E’ questa trasformazione che ha creato prima in Bosnia e ora in Kosovo un tragico problema quasi insolubile.

Il maresciallo Tito aveva creato un sistema che sembrava funzionare.

Milosevic si è proposto di sostituire la Federazione jugoslava costruita da Tito con una centrata sulla Serbia. Nella Jugoslavia di Tito, calcata sul modello federale sovietico, c’era una certa autonomia per le repubbliche e anche per le province come il Kosovo. Non era certo un regime ideale, era un regime comunista e poliziesco piuttosto duro, ma che ha avuto un grande merito: ha svolto la funzione di gendarme di cui questa regione aveva bisogno. Purtroppo oggi l’Europa non è pronta a svolgere questa funzione, di cui ci sarebbe estremo bisogno.

C’è l’intervento della Nato in Kosovo.

Ma i bombardamenti della Nato non sono in grado di portare una soluzione. E allora si fa appello ai russi perché operino la mediazione. Ma perché Milosevic dovrebbe accettare la mediazione, dopo aver causato 200 mila morti e cacciato dalle proprie case centinaia di migliaia di persone? Perché Milosevic, definito da tutti un criminale di guerra, dovrebbe avere la gentilezza di recarsi a Rambouillet? Gli basta dire a Primakov: “Darò l’ordine di arrestare i massacri se smettono di bombardare”. Milosevic è stato messo nella condizione di dettare i termini della pace alla più grande potenza militare del mondo, la Nato.

A forzare la mano a Milosevic non è stata anzitutto la diplomazia americana?

Sono stati loro a trasformarlo in un interlocutore privilegiato, prima per la Bosnia e poi per il Kosovo, in nome della pace. Ma quale pace adesso si può avere in Kosovo? E chi è il responsabile di tutto ciò, e dove sta? Il responsabile è Milosevic, è lui che ha preparato tutto questo allo scopo di realizzare la grande Serbia.

È un’idea piuttosto antica, non solo sua.

Certo, è un’idea del XIX secolo, come lo sono le idee di grande Croazia, di grande Albania, di grande Francia e di grande Italia, quando rivendicavate Trento, Trieste e la Dalmazia.

Che futuro hanno davanti a sé i serbi?

Ai serbi non resta che una possibilità: che dalle file dell’esercito esca un generale capace di capire che le cose non possono andare avanti così, perché dopo il Kosovo sarà distrutta la Serbia, non ci saranno né grande Serbia, né grande Albania, ma soltanto regioni distrutte e popolazioni senzatetto. I musulmani saranno stati uccisi o scacciati dal Kosovo, ma i serbi non potranno rimanervi: già stanno fuggendo in massa anche loro, perché sanno che dopo questa guerra in Kosovo ci vorranno i gendarmi per fare la guardia a ogni singola casa abitata da serbi. Io credo che alla fine il grande perdente di questo progetto di grande Serbia sarà il popolo serbo. Ci sarà una Serbia distrutta dalle bombe e dalla sua politica suicida, mentre Milosevic sarà fuggito dai suoi amici russi e concluderà la sua esistenza senza comparire davanti al tribunale internazionale per criminali di guerra davanti al quale avrebbe dovuto comparire già da molto tempo.

L’intervento della Nato non trova molto consenso presso l’opinione pubblica europea, ma ancora più forte è il senso di disorientamento del pubblico.

Senta, in questo momento l’Europa e l’America dispongono dei mezzi di informazione e comunicazione più potenti che la storia abbia mai conosciuto, e tuttavia i popoli non sono mai stati così male informati su un avvenimento di politica internazionale come in questo momento. La gente non capisce perché avvengono questi massacri, non capisce perché non si sono prevenuti i massacri, che la diplomazia avrebbe dovuto prevedere per tempo; non capisce perché, se l’intervento era necessario, non è stato fatto all’inizio della crisi, dieci anni fa; e infine la gente non capisce come e perché si bombarda un paese ma si permette alla sua polizia e milizia di continuare a massacrare indisturbata decine di migliaia di uomini, donne e bambini. In questa confusione c’è una responsabilità dei giornalisti, ma c’è soprattutto la responsabilità delle diplomazie e dei governi che hanno creato questa situazione incomprensibile. Alla fine di tutto tornerà la pace, ma sarà la pace dei cimiteri, e allora si riproporrà la grande domanda: perché abbiamo lasciato fare? Perché abbiamo lasciato che la situazione si degradasse tanto nel cuore dell’Europa?

Il Papa ha condannato l’intervento militare della Nato. Cosa pensa del suo giudizio e dei suoi sforzi diplomatici?

Da quando è iniziata la crisi della ex Jugoslavia nel 1991, Milosevic ha fatto almeno cinquanta promesse e non ne ha mantenuta nemmeno una. A Primakov ha promesso di sospendere la purificazione etnica in Kosovo se la Nato smette di bombardare la Serbia. Ma anche in ottobre aveva promesso di cessare la repressione, e poi non aveva mantenuto la parola. Dunque, è un uomo delle cui promesse non ci si può fidare. Non vedo che cosa si può sperare di ottenere attraverso negoziati, attraverso misure unicamente politiche. Allora, cosa si deve chiedere al Papa? Di domandare un incontro con Milosevic per cercare di fargli capire che ha già ammazzato abbastanza, che 200 mila morti sono tanti e adesso è ora di fermarsi? Cosa può fare il Papa in queste condizioni? Può fare quello che tutti dobbiamo fare: pregare. Ma è tutto quello che può fare: il problema non può essere risolto coi mezzi di un negoziato pacifico. Si è cercato di farlo per molto tempo. Né gli americani, né gli europei sono voluti intervenire. Secondo me sarebbero dovuti intervenire già dieci anni fa, quando erano ancora in tempo, ma più hanno aspettato, e più è diventato tardi. Adesso è troppo tardi.

La situazione è davvero così disperata? In cosa abbiamo sbagliato?

Nel fare affidamento sulla possibilità di regolare il problema attraverso negoziati, ovvero coi mezzi della pressione e della minaccia. Ed è qui che la diplomazia ha commesso un errore enorme, perché per anni si è minacciato e si sono inviati un numero enorme di ultimatum. Adesso, dopo tanti ultimatum, la Nato ha cominciato a bombardare, ma i bombardamenti finora non hanno dato nessun risultato perché Milosevic ritiene di essere in una posizione solida. Sanno bene che né gli americani, né gli europei desiderano rischiare la vita dei loro soldati con un intervento terrestre che li opporrebbe all’esercito jugoslavo, un’armata piccola ma ben equipaggiata. Ci troviamo in una situazione assurda, mentre siamo alla vigilia di Pasqua. L’unico ricorso possibile è di associarci tutti, magari a malincuore, alla preghiera del Papa, per persuadere il Cielo a concederci il miracolo di far cessare questo terribile massacro a cui assistiamo.

Si parla molto dei fattori etnici e religiosi di questa guerra, ma non si ricorda mai che la Serbia è stata per molto tempo comunista.

Lo è tuttora! L’aspetto più pericoloso di tutta questa storia è l’amalgama fra comunismo e nazionalismo. Le azioni aggressive e repressive a cui assistiamo sono essenzialmente opera dell’apparato comunista, perché Milosevic ha mantenuto tutto l’apparato militare, burocratico e poliziesco del vecchio regime comunista, e lo ha trasformato in nazionalista, alleandosi con la Chiesa ortodossa. Per me la cosa più terribile in tutta questa storia è l’alleanza di questi tre elementi: nazionalismo, comunismo e fanatismo religioso. Gli uomini di Milosevic fanno la guerra tenendo in mano la croce ortodossa, benedetti dal pope e in nome della grande nazione serba erede dell’ortodossia. Ma nello stesso tempo si trovano sotto la direzione dell’apparato di Milosevic, che è un apparato comunista e poliziesco creato per infondere il terrore. Credo che quello che è successo in Serbia debba farci riflettere sull’evoluzione dell’ex Unione Sovietica, dove sono presenti fattori simili. Non è un caso che i maggiori appoggi di cui gode Milosevic non si trovino tanto alla Duma russa, dove pure i comunisti rappresentano la maggioranza relativa e gli sono amici, ma negli ambienti della Chiesa ortodossa. E non è un caso nemmeno il fatto che il Patriarca di Mosca abbia rifiutato di incontrare il Papa, per un appuntamento già in calendario da tempo, subito dopo gli attacchi della Nato. In realtà, la maggioranza dell’episcopato ortodosso è legato ai comunisti e ai nazional-comunisti di Mosca.

Nel vostro capolavoro Requiem per un Impero defunto avete mostrato molto bene il ruolo che la massoneria ha avuto nella disgregazione degli imperi centrali e nello scoppio della Prima Guerra mondiale. Che posizione tiene oggi la massoneria rispetto alla crisi balcanica?

Rispondo per quanto riguarda la Francia, che è la realtà che conosco. A Parigi una buona parte dei massoni, forse la maggioranza, è pro-serba per ragioni, direi, storiche che risalgono alla Prima Guerra mondiale: la prima Jugoslavia, così come la Cecoslovac-chia, sono praticamente creazioni volute dalla massoneria. Ma ci sono anche massoni francesi che da molto tempo chiedono un intervento internazionale per fermare i massacri. Dunque, direi che non c’è una posizione unica dei massoni né a livello francese, né a livello internazionale. Non siamo più nel 1914, quando i massoni avevano una precisa linea politica: costruire un’Europa repubblicana e laica sconfiggendo gli avversari di questo progetto, cioè il Vaticano, l’Impero austro-ungarico e la Spagna cattolica. Ma questa è storia, l’attualità oggi è completamente diversa.

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