Recovery Fund: riconosciute (in parte) le ragioni di Polonia e Ungheria

L'azione dei due Paesi, così demonizzata dal mainstream, ha costretto gli Stati Membri a un dialogo e a un compromesso tutto politico

Da sinistra a destra: il primo ministro ungherese Viktor Orban, il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il primo ministro italiano Giuseppe Conte

Articolo tratto dal Centro Studi Livatino

1. I leader dell’Unione europea hanno raggiunto l’accordo sul Recovery fund e il Next Generation EU: il Consiglio europeo di Bruxelles ha adottato le conclusioni sul Quadro finanziario pluriennale, il bilancio comunitario 2021-2027, e sul meccanismo di condizionalità del c.d. “stato di diritto”, sbloccando i veti ungherese e polacco. Le preoccupazioni espresse da Ungheria e Polonia si appuntavano proprio intorno al progetto di regolamento sul regime di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione, attraverso il quale – secondo l’ipotesi iniziale – si sarebbe voluto sanzionare il mancato rispetto (da parte degli Stati Membri) di questioni nient’affatto correlate al bilancio europeo (sul punto leggere qui).

Quello sottoscritto nelle ultime ore sul regime di condizionalità è un accordo, e come tale accontenta e scontenta allo stesso tempo tutte le parti coinvolte, ma ha il merito di aver restituito senso alla Politica in ambito UE: l’azione di Ungheria e Polonia, così demonizzata dal mainstream politicamente corretto secondo il quale nessuno dovrebbe mettere in discussione le bozze preparare dai burocrati di Bruxelles, ha costretto gli Stati Membri a un dialogo e a un compromesso tutto politico.

2. Nel merito, l’accordo rivela luci ed ombre.

Il passaggio più significativo è certamente in apertura: «la procedura per affrontare le violazioni dei valori dell’Unione di cui all’articolo 2 del TUE è l’articolo 7» (punto 1) e non il regolamento sul regime di condizionalità per la protezione del bilancio UE, che – comunque – «dovrà essere applicato nel pieno rispetto dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, ovvero delle identità nazionali degli Stati membri relative alle loro strutture politiche e costituzionali fondamentali» (punto 2). Il regolamento per la protezione del bilancio comune – e il meccanismo di condizionalità che prevederà – saranno dunque utilizzabili solo per tutelare i fondi del bilancio comunitario (come precisato pure al successivo punto 2, lett. h), non per tutte le presunte violazioni del c.d. “stato di diritto” per le quali i trattati prevedono già una procedura. Nessuno Stato Membro sarà quindi costretto a piegarsi a richieste non correlate al bilancio europeo. E’ uno dei primi significativi frutti dell’azione di Polonia e Ungheria: un’azione, che però è andata a beneficio di tutti gli Stati Membri, anche di quelli dai quali si sono levate in queste settimane critiche feroci e talora volgari.

Non finisce qui. Al fine di garantire il rispetto di questi principi, prima di utilizzare il nuovo regolamento con il meccanismo di condizionalità, la Commissione UE dovrà sviluppare, in stretta consultazione con gli Stati Membri, precise linee guida sulle modalità di applicazione dello stesso regolamento, ovvero su come intende individuare e perseguire le violazioni: linee guida in assenza delle quali non potrà proporre né adottare alcuna misura contro alcuno Stato Membro. Nel caso in cui nel frattempo uno Stato Membro dovesse proporre ricorso contro il regolamento, o parte di esso, la Commissione dovrà sospendere il procedimento di elaborazione delle linee guida per attendere l’esito del giudizio al fine di conformarle alle pronunce (punto 2, lett. c). Anche questa previsione dell’accordo di ieri – al di là della facile critica circa la possibilità per uno Stato Membro di rallentare la effettività del regolamento attraverso la presentazione di un ricorso alla Corte di Giustizia – rappresenta un altro elemento di riequilibrio nel rapporto tra gli Stati Membri e le istituzioni UE, nella fattispecie la Commissione.

3. Il fatto che nessuna sanzione potrà essere attivata prima della adozione delle linee guide, a sua volta subordinata all’eventuale attesa di pronunciamenti della Corte di Giustizia sul regolamento, e che – come si aggiunge più avanti – «qualsiasi procedura deve essere preceduta da un dialogo approfondito con lo Stato membro interessato in modo da dargli la possibilità di porre rimedio alla situazione» (punto 2, lett. g), restituisce dignità e ruolo alla politica, rendendo nuovamente risolvibili in questo modo eventuali conflitti che dovessero insorgere, senza lasciare agli Stati Membri la alternativa secca tra l’obbedienza cieca ai diktat della tecnoburocrazia e la sanzione.

Meramente tautologica, invece, appare in questa prospettiva la chiesta aderenza delle linee guida alle eventuali pronunce della Corte di Giustizia, visti i suoi precedenti in punto di rispetto delle identità nazionali degli Stati membri relative alle loro strutture politiche e costituzionali fondamentali. Tanto senza contare ancora una volta la non comprensibile pretermissione delle corti costituzionali interne, che ben potrebbero svolgere un ruolo nella valutazione della compatibilità del regolamento con le Grundnorm degli Stati membri, come ha fatto solo la Germania sul Quantitative Easing della BCE, andando tuttavia esente dall’accusa di sovranismo irresponsabile invece riservata ad altri.

Ancora, nell’accordo si precisa che «l’applicazione del meccanismo (di condizionalità previsto dal regolamento) rispetterà il suo carattere sussidiario. Le misure previste dal meccanismo saranno prese in considerazione solo laddove altre procedure stabilite dal diritto dell’Unione, compreso il regolamento recante disposizioni comuni, il regolamento finanziario o le procedure di infrazione ai sensi del trattato, non consentirebbero di proteggere il bilancio dell’Unione in modo più efficace» (punto 2, lett. d).

A ulteriore rassicurazione degli Stati Membri e delle loro preoccupazioni si precisa che le violazioni allo stato di diritto previste nel regolamento «devono essere interpretate e applicate come un elenco chiuso» non suscettibile di interpretazioni estensive» (punto 2, lett. f). Inoltre, «Le misure del meccanismo (di condizionalità) dovranno essere proporzionate all’impatto delle violazioni dello Stato di diritto sulla sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o sugli interessi finanziari dell’Unione. Inoltre il nesso di causalità tra tali violazioni e le conseguenze negative sugli interessi finanziari dell’Unione dovrà essere sufficientemente diretto e debitamente stabilito. La semplice constatazione di una violazione dello Stato di diritto non è sufficiente per attivare il meccanismo». (punto 2, lett. e). Anche queste non sono previsioni di poco conto, sol che si pensi a come il regolamento era stato presentato qualche settimana fa.

4. Infine, ma non meno importante, «il meccanismo (di condizionalità) di cui al regolamento potrà essere applicato esclusivamente a partire dal nuovo bilancio pluriennale (da gennaio 2021): non vale dunque per quello precedente» (punto 2, lett. k).

Questo significa che gli Stati Membri sono protetti da eventuali contestazioni per presunte violazioni del passato e del presente: come detto, se pure il regolamento entra in vigore, la possibilità concreta di adottare delle misure – con le limitazioni elencate – non è immediata, anzi. Se questo può far stare tranquilli in casa propria per qualche tempo i governi dei Paesi che rivendicano la propria libertà dalle ingerenze delle istituzioni UE su temi e questioni che esulano dalle competenze attribuitele dai trattati, c’è da augurarsi che non rappresenti un “colpo di spugna postumo”: come questa vicenda ha dimostrato, c’è bisogno di Stati Membri che facciano e sappiano fare Politica. Perché l’Europa non è la tomba della Politica – come qualcuno vorrebbe – ma dovrebbe essere la sua casa. E chi lo rivendica non andrebbe tacciato di antieuropeismo

Foto Ansa

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