Rassegna stampa/1 Marchionne: «La Fiat era fallita, ora alzerò i salari e raggiungeremo la Germania»

Sergio Marchionne si dice ottimista per il futuro dopo il referendum e ammette qualche errore: «Io sono convinto che le nostre ragioni sono ottime ma non sono riuscito a farle diventare ragioni di tutti. Mi sembrava chiaro: io lavoratore posso fare di più se mi impegno di più, guadagnando di più»

Dopo che il referendum a Mirafiori ha sancito la vittoria del sì (54%) e quindi l’accettazione da parte dei lavoratori dello stabilimento torinese dell’accordo sul contratto preso tra la Fiat e le firme sindacali, tranne la Fiom, Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat, non torna indietro sul contratto: «Sabato mattina alle 6 le urne hanno detto che il sì ha avuto la maggioranza. Il discorso è chiuso anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell’uovo».



In un’intervista a Repubblica Marchionne sottolinea di aver sbagliato qualcosa nel modo di condurre la “battaglia” di Mirafiori: “«Ho sottovalutato l’impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico come invece accade negli Usa. Io sono convinto che le nostre ragioni sono ottime ma non sono riuscito a farle diventare ragioni di tutti. Mi sembrava chiaro: io lavoratore posso fare di più se mi impegno di più, guadagnando di più»” (Repubblica, pp. 14-15).

“«La Fiat era tecnicamente fallita, se il fallimento significa non avere i soldi in casa
per pagare i debiti. Perdevamo 2 milioni al giorno [nel 2004], non so se mi spiego. E invece sette anni dopo abbiamo ribaltato lo schema, l’animale è vivo, il patto che associa Fiat e lavoratori è vitale e va al di là del contratto in questione»” (Repubblica, pp. 14-15).



Per Marchionne, a Mirafiori ognuno ha fatto la sua parte, tranne la Fiom: “«Una parte del sindacato è mancata molto di più, perché non ha capito la scommessa, non si è messa in gioco incalzando l’azienda sullo sviluppo, come Solidarnosc che in Polonia, quando ho spostato la Panda a Pomigliano, è venuto a chiedermi il terzo turno»” (Repubblica, pp. 14-15).



E sul futuro dell’azienda e dei lavoratori è ottimista, nonostante un 2010 poco esaltante: “«Staccata la spina degli incentivi il mercato va giù, lo sapevamo. Aspettiamo che si svuoti il tubo, nella seconda metà del 2011, e vediamo. Per quel momento avremo la nuova Y e la nuova Panda. Sta arrivando tutta la gamma Lancia, rifatta con gli americani, la Giulietta è appena uscita, la Jeep verrà prodotta qui in 280 mila esemplari all’anno, per tutto il mondo. E grazie a Chrysler, l’Alfa arriverà in America e farà il botto. […] Il costo del lavoro pesa per il 7 per cento sul costo complessivo di un auto ma quel 93 per cento ha proprio a che fare con il costo di utilizzo di ogni impianto. Fatemelo migliorare e alzerò i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto»” (Repubblica, pp. 14-15).

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