«Questi ragazzi mi hanno ridato la voglia di lottare». Il vescovo e i giovani imprenditori di Carpi

Con il piano “Fides et Labor” la diocesi ha avviato otto attività lavorative. I primi centomila euro arrivarono da Benedetto XVI: «Mi disse: "usali come vuoi"». Intervista a monsignor Cavina

Lunedì scorso, monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, ha finanziato le prime otto attività imprenditoriali giovanili grazie al fondo “Fides et labor”. Il vescovo, che a seguito del sisma che colpì l’Emilia si è molto dato da fare per aiutare la popolazione a “ricominciare”, racconta a tempi.it cosa abbia significato «per questi ragazzi, per la diocesi e anche per me», essere riuscito ad avviare le prime attività, per una cifra di 80 mila euro.

Eccellenza, come è nato il progetto?
È nato da un fondo di 300 mila euro aperto dopo la visita nel 2012 di papa Benedetto XVI ai terremotati. Il Pontefice mi diede centomila euro e con grande fiducia mi disse: «Usali come meglio credi». Siccome il problema della disoccupazione giovanile è spesso affrontato solo con le parole, decisi di usare il denaro in quella direzione. Nello stesso tempo, però, volevo dare anche un segnale. Ho scoperto che è faticoso fare del bene, per prestare soldi ai giovani occorre attraversare un complicato iter burocratico. Perciò abbiamo deciso di formare una commissione, costituita da un professore universitario, da un esponente diocesano, da un notaio, un commercialista, un avvocato e due imprenditori, che ha studiato come dare forma al progetto.

Che riscontri avete avuto?
Moltissimi mi fermavano per strada per ringraziarmi, anche gente che non conoscevo e da cui non me lo sarei aspettato. I ragazzi hanno cominciato a contattarci e sono cominciati i colloqui per verificare se i loro progetti erano realizzabili, dal momento che i prestiti privi di interessi verranno restituiti sulla fiducia e solo laddove è possibile. Speriamo poi che con l’avvio di queste attività nascano altri posti di lavoro. Ma il progetto non si ferma alla questione economica, posso dire che è educativo.

Cosa intende?
Una volta che le attività saranno partite non lasceremo soli i giovani, ma li accompagneremo in tutte le fasi, insegnando loro come muoversi anche nel difficile approccio alle incombenze burocratiche. Basta poco se ci si mette insieme, sarebbe bello se tutte le diocesi d’Italia facessero lo stesso: aprirebbero più di 9 mila imprese.

Quali sono le attività cominciate?
Una è legata al settore informatico, ci sono due emittenti radiofoniche, di cui quella nata durante il terremoto da un gruppo di giovani. Li conobbi già allora e mi colpirono molto perché, con mezzi di fortuna, riuscirono a porsi sul territorio come mediatori tra i cittadini e le istituzioni. L’iniziativa funzionò bene e ora vogliono farla diventare un lavoro vero. C’è poi una pasticceria, un ristorante colpito dal terremoto da riqualificare, un’agenzia immobiliare e un’impresa tessile. Di quest’ultima mi ha particolarmente commosso la storia. Il giovane che la aprirà è un ventottenne assunto a tempo indeterminato in un’azienda, che aveva visto chiudere l’impresa tessile dei genitori per via del mancato pagamento dei fornitori e dell’assenza di credito delle banche. Non volendo che il sacrificio dei genitori andasse perso, ci ha contattati e poi ha deciso di licenziarsi.

Cosa ha volto dire per la sua diocesi questa esperienza?
Per ora possiamo solo ringraziare perché quello che ci è accaduto è un esempio sorprendente di imprenditoria, solidarietà e speranza ancora possibili. Abbiamo incontrato giovani che desiderano ancora rischiare e mettere a frutto i talenti che il buon Dio ha dato loto. Come ha detto il fiduciario economico della diocesi: «Questi ragazzi mi hanno ridato la voglia di lottare». Più che dare, stiamo ricevendo.

Come hanno reagito i giovani?
Erano sorpresi. Alcuni lontani dalla Chiesa ci hanno ringraziato, dicendo di aver scoperto una madre che si preoccupa di loro: «Avevamo una visione molto diversa della Chiesa, distante e negativa, invece abbiamo trovato un’umanità vicina, forte, attenta e capace di iniziativa e accompagnamento». Posso dire che si tratta di una possibilità di educazione reciproca, dove noi impariamo a sperare e amare e loro a crescere accompagnati.

Benedetto XVI le ha dato fiducia, ha avuto modo di raccontargli gli esiti?
Il giorno prima della concessione dei finanziamenti sono stato da lui. Era felice e mi ha detto: «Una miseria che ha fruttato così?», si riferiva ai soldi che mi ha dato. E poi ha continuato: «È così che la gente capisce che la fede riguarda la vita. E la Chiesa che la provvidenza esiste». Quando gli ho spiegato le attività dei ragazzi si è entusiasmato sopratutto per la pasticceria: «Mi piacerebbe ricevere i pasticcini», mi ha detto. I primi li daremo a lui.

@frigeriobenedet

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