Quelli che tornano a casa raccontino…La stessa storia di voi: di un’azione (comunque ricca di frutti)

Comunicazione post Sanremo e postVeltroni l’Africano: chi annullerà il debito contratto in Italia, non nel Terzo mondo, da uno Stato nemico della sussidiarietà, ma fraterno compagno di una burocrazia sempre più inefficiente e arrogante? La dura lotta di padri e madri di ragazzi disabili per tirar sù e aprire un varco nel mondo ai propri figli. La parola a un gruppo di genitori con bambini handicappati

Ci siamo incontrati con un gruppo di genitori che hanno deciso di uscire dal silenzio e testimoniare la propria esperienza di padri e madri di bambini disabili con varie patologie “nella speranza di poter sollecitare risposte, prese di posizione, solidale e concreta partecipazione” (i nomi sono fittizi a tutela della privacy). Crediamo che la cosa migliore – più di qualsiasi nostro commento in proposito – sia semplicemente lasciare loro la parola.

La legge non ammette ignoranza. Ma chi ci informa che c’è una legge per Andrea? Paola. Quando Andrea è nato era un bel bambino biondo dagli occhi grandi e dallo sguardo curioso. Solo a un anno, quando non dava segni né di voler camminare, né di voler parlare, ci siamo rivolti a un neuropsichiatra. Ci è caduta addosso una diagnosi terribile: “ritardo psicomotorio grave”. Ma ciò che realmente significavano quelle parole lo abbiamo scoperto un po’ per volta percorrendo tutte le strade che vanno dalla disperazione all’angoscia. Pensare che il proprio figlio sarà sempre diverso dagli altri, guardato con curiosità, scherno o pietà, incapace forse di essere mai autosufficiente, è per un genitore come ritrovarsi in una stanza al buio ed essere preso dal panico perché non si sa uscirne. Ci si guarda intorno, si cerca di capire e si chiede aiuto. Curiosamente quando ci siamo rivolti all’Asl ci hanno offerto la possibilità di una terapia psicomotoria, ma non siamo stati informati dell’esistenza della legge quadro sull’handicap. Questo significa per esempio non potere usufruire del diritto di poter restare a casa dal lavoro fino a tre anni di vita del bambino. Io ho dovuto dividermi faticosamente tra il lavoro a tempo pieno e le cure e l’assistenza a mio figlio. Ho così scoperto che il genitore del disabile oltre a doversi attrezzare psicologicamente deve anche lottare per sapere e ottenere ciò che gli spetta per legge.

Come sono le convulsioni? Quando suo figlio le avrà se ne accorgerà
Giovanna. Quello della diagnosi è un momento tremendo. Nel mio caso tutti i medici sapevano bene quanto fosse grave mio figlio, ma invece di spiegarmi cosa stava succedendo mi hanno caricato su un’ambulanza e mi hanno trasportato da un ospedale all’altro, poi mi hanno scaricato in un corridoio senza dirmi niente, finché qualcuno mi ha fatto sapere che probabilmente avrebbero operato alla testa il mio bambino. Nessuno mi ha preparato ad affrontare la realtà. Ero convinta che dopo qualche mese mio figlio sarebbe stato normale. Altri medici ti buttano in faccia la verità senza spiegartela: “tetraparesi spastica, cerebroleso”. E uno si chiede: cosa vuol dire? Che mio figlio è epilettico l’ho saputo per telefono. Sono uscita dall’ospedale e mi hanno avvertito che il bimbo poteva avere le convulsioni. “Come sono le convulsioni? Quando suo figlio le avrà se ne accorgerà”.

Monopolio statale anche sull’handicap Diana. Per gli aspetti di ordine sociale, ovvero le indennità, l’esenzione ticket, ecc, l’orientamento al genitore dovrebbe arrivare dal servizio sociale. Ma spesso ci si trova davanti solo un apparato burocratico che anziché dare un’indicazione sui passi da fare sabota le procedure. Perché le procedure costano. La prassi diventa allora lo scaricabarile da un ufficio all’altro.

Giovanna. Ho saputo della possibilità di avere l’assegno di accompagnamento quando mio figlio aveva ormai un anno d’età. Ma la media è almeno due/tre anni. Naturalmente la legge non è retroattiva e “non ammette ignoranza”, per cui l’assegno viene erogato dal momento in cui viene accettata la domanda. Occorrono una mole impressionante di documenti – impossibile sapere se compilati correttamente oppure no – e la domanda non viene quasi mai accettata, normalmente viene concesso solo l’“assegno di frequenza” – il cui importo è della metà (circa 300mila lire al mese), viene erogato per dieci mesi all’anno e ogni anno il genitore deve impazzire affrontando la stessa procedura che ha termine dopo sette/otto mesi, cioè quando è ormai tempo di ripercorrerla.

Diana. Da sottolineare che l’“assegno di frequenza” viene erogato solo se il bambino frequenta una struttura di riabilitazione o una scuola statale. Se la struttura è privata non si ha diritto ad alcun rimborso.

Patrizio. L’assegno di accompagnamento arriva a circa 800mila lire. Ho saputo che potevo richiederlo quando mio figlio aveva ormai tre anni e la pratica è durata un anno. Ho fatto la domanda e preparato la documentazione su indicazione dell’Asl – salvo poi scoprire durante l’esame della commissione medica che la “diagnosi funzionale” deve farla un neuropsichiatra del servizio statale. Nel mio caso era stata fatta dal neuropsichiatra del centro privato convenzionato con la Asl e non andava bene. Alla mia richiesta di farla rilevare dalla commissione stessa, formata da medici, mi hanno risposto che la prassi non lo prevede. Ma hanno avuto buon cuore, perché la mia domanda è stata tenuta in sospeso, altrimenti avrei dovuto ripetere tutto daccapo perdendo la decorrenza. Allora ho affrontato la visita del neuropsichiatra del servizio pubblico che non si è accontentato della documentazione o di fare una telefonata alla dottoressa che ha in terapia il bambino, ma ha voluto fare le cose per bene disponendo altre due visite – umilianti, perché significa far diagnosticare qualcosa su cui ci sono già chilometri di cartelle cliniche.

Suolette costose e procedure kafkiane Nicola. Per gli “ausili ortopedici”, ovvero le suolette per il piede piatto (costo £.300mila), la trafila è la stessa: prendere il modulo presso l’ufficio disabili e attivare la pratica; recarsi presso il negozio ortopedico del centro convenzionato per la scelta dell’ausilio; compilare un nuovo modulo e un preventivo; tornare di nuovo all’ufficio disabili o dal medico ortopedico per consegnare il modulo; aspettare che l’ufficio abbia dato l’autorizzazione e quindi andare a ritirare il modulo; recarsi al negozio, ritirare l’ausilio e farsi compilare il modulo; ritornare alla Asl per il collaudo. Naturalmente ogni tre-quattro mesi il plantare va rifatto perché il bambino cresce.

Giovanna. Io ho presentato domanda sia per l’accompagnamento che per la frequenza. Mi è stata accettata solo la frequenza e le assistenti sociali si sono ben guardate dall’informarmi che entro sei mesi avrei potuto fare ricorso e rivendicare l’accompagnamento a decorrere dalla mia prima richiesta. Solo al termine dei sei mesi un assistente sociale mi ha detto laconicamente: “Ah, è vero, poteva fare ricorso”.

A titolo compensatorio, mi hanno suggerito di chiedere l’“aggravamento”: cioè di dichiarare il falso, perché mio figlio non si era aggravato, era già abbastanza grave alla prima visita.

Allora ho rifatto tutte le carte, senza trascurare la richiesta di frequenza (per cui ogni anno vanno ripresentati tutti i documenti) e di nuovo ho affrontato la visita davanti una commissione di cinque medici – i quali dopo aver chiesto la carta d’identità del bambino mi hanno fatto uscire. Più tardi, davanti a me, hanno commentato: “Ma questa cosa vuole?”.

Anche l’assegno di accompagnamento, una volta riconosciuto, è rivedibile ogni tre anni. Ora, se per certi casi può esserci una speranza di miglioramento, per le patologie come quella di mio figlio e di tanti altri bambini ci vorrebbe un miracolo. Nessuno si è premurato di avvertirmi che allo scadere del terzo anno l’assegno viene automaticamente sospeso. Per capire cosa stava succedendo sono andata all’Asl dove mi hanno gentilmente congedato con la formula “quando avremo tempo la richiameremo”. Non è servito neppure fare il giro di tutti gli enti e dei partiti politici: nessuno si è mosso. Quando sono riuscita ad ottenere una visita la mia pratica è finita in un cassetto e dopo numerose telefonate, trascorso un mese, qualcuno l’ha passata all’ufficio successivo, ma senza siglarla “urgente”, disattenzione che mi è costata (almeno così hanno detto) ulteriori ritardi. Finalmente la pratica è giunta in prefettura, dove hanno pure sbagliato a compilarla e a firmarla causando altri ritardi. E il mio non è un caso sfortunato, ma il perfetto esempio della normalità.

Sapevate che i bambini down e cerebrolesi hanno diritto a pannolini gratuiti, ma “per adulti” non “per bambini”? Percorso circolare in cerca di lumi, dal medico alla farmacia, dalla farmacia all’Asl, dall’Asl al tribunale dei malati, dal tribunale al medico. E così fino ad esaurimento.

Sandra. Ultimamente ho affrontato il problema pannolini: i bambini cerebrolesi così come quelli down, hanno diritto ai pannolini gratuiti. L’ho scoperto quando mio figlio aveva tre anni. Ogni tre mesi viene rilasciata una ricetta che autorizza a ritirare in farmacia “pannolini per adulti” perché nel prontuario non esiste il codice per i pannolini per bambini. Il medico si presta a questo escamotage che è una truffa a tutti gli effetti (tanto a rischiare è chi presenta la ricetta e non lui). Il sistema ha funzionato per anni, e c’era chi se ne approfittava dichiarando di avere a carico anziani incontinenti e ritirando in farmacia l’equivalente del costo della ricetta in creme di bellezza. Poi, senza alcun preavviso, il 31 dicembre è arrivata una nuova disposizione che obbliga il farmacista a porre sulla ricetta il tagliando relativo alla confezione di pannolini. Hanno tagliato le gambe a chi faceva il furbo, peccato che abbiano messo nei guai anche chi come me vive un problema reale. Sono tornata all’Asl e ho parlato col medico di competenza che firmava le ricette. Il quale ha confermato che il problema era dovuto alla mancanza del codice e mi ha assicurato che “stavano provvedendo”. Mi ha poi suggerito di rivolgermi ai servizi sociali, che gestiscono un fondo speciale a disposizione delle famiglie per questi casi, ma quelli hanno negato che il problema fosse di loro competenza. E mi hanno mandato all’ufficio degli ausili. Qui mi hanno promesso che avrebbero parlato con il medico responsabile. Dopo aver chiesto alla persona che mi aveva ricevuto qualche consiglio per affrontare la situazione, sono stata invitata a rivolgermi allo sportello di orientamento per le famiglie. Allora le ho domandato chi fosse il responsabile dello sportello. “Sono io”, ha dovuto ammettere. Così sono finita al Tribunale dei diritti dei malati. Ho parlato con una prima persona che mi ha rinviato a un collega. Il collega mi ha a sua volta scaricato a una terza persona la quale mi ha infine suggerito di rivolgermi al dottore che mi firmava le ricette – cioè la prima persona con cui avevo parlato. Ho dovuto licenziarmi dal lavoro per seguire le pratiche di mio figlio, ma non tutti possono farlo…

Italia: legislazione all’avanguardia (sulla carta) e terzo mondo reale Diana. La legislazione scolastica italiana è la più avanzata del mondo e prevede l’inserimento del bambino con handicap nella scuola dall’asilo fino al liceo insieme ai bambini normali (in Europa e negli Stati Uniti non è così). La realtà però è ben diversa. La legge garantisce al bambino disabile che frequenta una scuola statale il diritto all’insegnante di sostegno specializzata (in psicomotricità o altro). Ogni anno la direttrice didattica della scuola manda una relazione al provveditorato, la “diagnosi funzionale”, che serve per stabilire quante ore di sostegno spettano al bambino. A parte il fatto che il numero di ore assegnate è quasi sempre insufficiente il vero problema è che i fantomatici insegnanti specializzati non esistono.

Nella maggior parte dei casi viene utilizzata una persona che ha il titolo di maestra d’asilo o di maestra elementare senza alcuna specializzazione, oppure un obiettore.

Alessandro. All’asilo la legge prevede un sostegno di tre ore settimanali, così poco che l’insegnante non riesce neppure a stare dietro al bambino che ha problemi di incontinenza e viene meno lo scopo stesso della legge che è quello di assicurare una riabilitazione del bambino nel suo ambiente durante i primi anni di vita, che sono determinanti per il recupero. I più fortunati frequentano un asilo comunale, che per fortuna ha mani più libere rispetto alla statale: il mio comune ha deciso di impiegare un insegnante specializzata in psicomotricità che ha consentito alla mia bambina una riabilitazione continua per un totale di almeno 20-25 ore settimanali, con progressi notevoli. Ma non è sempre così.

Patrizio. La mia esperienza d’asilo è stata dolorisissima. L’insegnante di sostegno comunale è stato utilizzato sulla classe e non sul bambino quando la maestra era assente per malattia. Intanto mio figlio vagava e manifestava un comportamento anormale. Non siamo andati per vie legali solo per il bene del bimbo, perché il rapporto con i compagni ci sembrava troppo importante. L’anno dopo siamo passati a un asilo statale dove mio figlio è rimasto tre anni cambiando almeno 5 insegnanti di sostegno. Una sola era specializzata e grazie a lei il bimbo ha fatto progressi notevoli – le altre erano maestre disoccupate che erano arrivate lì sulla base di una graduatoria gestita da cooperative. Seproprio sei fortunato ti capita la brava persona che la mattina si mette la mano sul cuore e cerca di inventarsi qualcosa, ma naturalmente trattare un bambino con problemi non è semplice, occorre anche una certa preparazione. Purtroppo la mentalità è che l’insegnante di sostegno sia qualcosa di meno dell’insegnante titolare e che il sostegno non va dato al bambino, ma all’insegnante di ruolo, che se ne serve per i suoi comodi, tra cui la grana di avere in classe un bambino disabile.

Diana. In effetti l’insegnante di sostegno dovrebbe fare innanzitutto un lavoro terapeutico sui bisogni e le difficoltà particolari del bambino disabile, poi un lavoro collettivo di integrazione insieme agli altri bambini. Ovviamente l’ideale è ridurre il lavoro individuale a favore del lavoro di gruppo, ma deve essere conseguenza di miglioramenti del bambino, non una scelta per il comodo degli insegnanti titolari.

Le Istituzioni della stupidità
Giovanna. Io ho mandato mio figlio a un asilo privato convenzionato, dove è il comune che paga gli insegnanti, compreso quelli di sostegno. Le suore dell’asilo hanno lottato insieme a me per il bene del bimbo, anche se avrebbe dovuto occuparsene il centro di riabilitazione che frequentiamo. All’inizio l’inserimento è stato di due ore e il piccolo veniva accudito da una suora settantacinquenne straordinaria. L’anno seguente si è reso necessario assumere qualcuno che seguisse il bambino. Le suore hanno lottato per scegliere una persona di fiducia – naturalmente senza specializzazione perché al comune sarebbe costato troppo. È andata fin troppo bene – l’insegnante aveva 22 anni, era alla sua prima esperienza e lo imboccava, lo cambiava, lo lavava e lo faceva giocare in classe con gli altri bambini; ha addirittura provato a fargli della fisioterapia. Il terzo anno ho chiesto di inserire mio figlio a tempo pieno e il comune si è opposto perché costava troppo. L’assistente sociale del centro di riabilitazione si è limitata a darmi il testo di una legge e mi ha suggerito di usarla “per rompere le scatole in comune”. L’assistente sociale del comune in un primo momento ha assicurato che in tre mesi avrebbe fatto passare in bilancio comunale le ore di sostegno in più. Poi se ne è lavata le mani. Il comune da parte sua mi ha fatto sapere che poteva mettere a disposizione solo un obiettore. Allora mi sono rivolta personalmente al sindaco che ha convocato l’assessore ai servizi sociali, l’assistente sociale (che non si è presentato), il presidente, il direttore e la segretaria dell’asilo. E davanti a loro ho rivendicato il diritto di mio figlio allo studio e al sostegno portando con me il testo di legge che stabilisce che i soldi per l’insegnante di sostegno il comune li deve richiedere alla Regione. Nessuno lo sapeva.

Storia ordinaria di tre anni di scuola Patrizio. Per la scuola elementare di mio figlio ho girato 6 istituti tra privati e statali e ho pure cambiato casa. Il primo anno è stato un anno da paradiso: l’insegnante specializzata ha lavorato bene, accettando di coordinare la terapia col centro e facendo entrare nella didattica del bambino la famiglia. L’anno successivo purtroppo ha chiesto il ruolo sulla classe normale e siamo tornati nell’incubo dell’asilo. Ad ottobre è arrivata una insegnante di sostegno non specializzata, ma bravissima. Oggi, a marzo, io sono già preoccupato di quello che accadrà l’anno prossimo, un momento cruciale per mio figlio, perché si dovrà decidere su quali abilità puntare per tirare fuori il più possibile delle sue capacità. So che sarà dura, perché lo stato ha le sue leggi che non guardano alle persone e anche gli insegnanti hanno i loro diritti. Così può accadere che l’insegnante di sostegno specializzata chieda il ruolo sulla classe – per forza: è sottopagata, considerata di serie B e deve sobbarcarsi un lavoro immane, chi glielo fa fare? – interrompendo il cammino scolastico del bambino che segue, con danni incalcolabili per il bambino stesso.

Piccola ma istruttiva storia di come la sussidiarietà sia servizio all’uomo reale, statalismo è solo sperpero e disprezzo della persona Giovanna. Dopo tre rinvii scolastici o mi rassegnavo alla non scolarizzazione di mio figlio oppure dovevo trovare un istituto adatto ai suoi bisogni. La neuropsichiatra del centro di riabilitazione se ne è lavata le mani consigliandomi di chiedere aiuto ad altri genitori nelle mie condizioni. Dopo insistenti richieste mi ha indirizzato verso un istituto che non mi piaceva affatto, una struttura chiusa per bambini con handicap gravi dove tutti sono uguali e fanno le stesse cose.

Mi ha detto che non avevo alternative. Invece io l’alternativa me la sono cercata, perché credo che il genitore debba avere la possibilità di scegliere. Prima ho saputo di una nuova scuola statale sperimentale che prevede l’inserimento nelle classi di alcuni bambini portatori di handicap, ognuno con l’insegnante di sostegno specializzata e un assistente. Purtroppo l’istituto, dotato di moderne strutture per la fisioterapia e di piscina, giace da anni inutilizzato. Allora ho ripiegato sulla scuola del mio paese pensando di lottare per creare un ambiente adeguato alle esigenze di mio figlio: impossibile. Ci sono troppe barriere architettoniche e non c’è modo di trovare la maestra di sostegno. La stessa assistente sociale del comune mi ha invitato ad andare da qualche altra parte. Sono allora intervenute le suore dell’asilo che mi hanno indicato un istituto privato dove mi trovo bene: c’è il psicomotricista, il fisioterapista, la pediatra, la neuropsichiatra, la fisiatra e la maestra di sostegno specializzata.

La diversità? Un lusso Sandra. Anch’io ho trovato un buon istituto privato, purtroppo costa più di1 milione al mese, una spesa che non sono in grado di sostenere da sola. Dopo essermi informata, ho saputo che la retta può essere pagata per intero dall’Asl che si rifà per il 20% sul comune, mentre il comune a sua volta può rivalersi per un 10% sulla famiglia se questa ha un reddito alto. Ho chiesto all’assistente sociale dell’Asl di contattare personalmente la sua collega del comune per evitare incomprensioni. Questa prima mi ha detto che il comune non aveva i soldi e quindi il 20% del costo dovevo pagarmelo io. Poi ha sottolineato che non è giusto che una famiglia non paghi quello che le altre invece pagano. “Mi porti la sua dichiarzione dei redditi” mi ha detto in modo arrogante e poi, quando ho presentato il 730, si è messa a discutere sull’assegno di accompagnamento (800mila lire al mese), dicendo che però in fondo ero già fortunata ad aver ottenuto quei soldi e cosa pretendevo anche dal comune.

Per la cronaca: solo la vasca da bagno che devo comprare per il bambino costa 12 milioni, la pedana sollevatrice per fare entrare il passeggino in macchina costa 17 milioni, il passeggino 3 milioni e 200mila, il letto semovibile col materasso antidecubito costa 6 milioni e mezzo, devo comprare il sollevatore che costa svariati milioni e grazie al cielo abito al pianterreno e non devo comprare il montascale. Con lo stesso assegno di accompagnamento devo pagarmi anche tutto il resto: ad esempio la fisioterapia a pagamento (perché spesso non c’è posto nella struttura pubblica); i corsi di piscina che non sono orpelli, ma vengono consigliati dagli stessi centri di riabilitazione, quindi hanno il significato di una terapia; le sedute di musicoterapia. Senza contare i sacrifici di tempo richiesti da queste attività. Da sottolineare che si tratta di costi non detraibili in nessun modo dal 730.

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