Quel che ancora non avete letto di Zamora

la domenica allo stadio tra vip, il beato gino strada e pseudotifosi. l’inedito capitolo del romanzo di roberto perrone, giornalista del corriere della sera e scrittore. passatoci (di nascosto) dal suo (fu) amico fred perri

Tutte le grandi amicizie, prima o poi, franano nel tradimento. Anche la mia con Roberto Perrone, giornalista e scrittore, è arrivata a questo punto. Non so cosa succederà quando leggerà queste righe. Le conosce molto bene, le ha scritte lui. Sono il capitolo finale di “Zamora” il suo fortunato romanzo (editore Garzanti, prezzo 10 euro) che verrà presentato a Rimini, all’interno del Meeting, il 27 agosto. Roberto Perrone l’aveva tagliato. In uno dei nostri pomeriggi di caffè, sigari e parole me ne ha parlato. So dove tiene i suoi manoscritti e, così, un giorno che si era allontanato, lasciandomi solo nella stanza gonfia di libri e giornali, gliel’ho sottratto. E qui, di seguito, lo pubblico, da vero infame.
Fred Perri

LA SQUADRA DELL’ELVIRA
di Roberto Perrone

Nonna Elvira, è vero che una volta il nonno Walter è stato allo stadio?». Elvira non era propriamente nonna, ma, essendo la sorella di Walter ed interpretando, per aspetto fisico e consuetudine mentale, il perfetto ruolo di nonna, veniva chiamata così dai suoi pro-nipoti. In realtà sarebbe stata “pro-zia”, ma un bambino non capisce simili distinzioni. L’Elvira era una signora anziana, spiritosa nei giochi, intelligente nella capacità di sistemarsi sempre al livello dei suoi dirimpettai, specialmente di quelli più piccoli, generosa nei regali per le feste comandate e nelle porzioni di lasagne, pollo e patatine fritte. Ecco, forse i suoi menu non erano molto fantasiosi, come un tempo, quando divideva la vecchia casa – ora venduta – con Walter, però ce n’era in abbondanza, sempre, e questo ai bambini piaceva.
L’Elvira, poi, dava sempre l’impressione di parteggiare per loro contro gli adulti ed era diventata, da nonna acquisita, la prima in classifica, superando anche i quattro nonni ufficiali.
L’Elvira guardò suo nipote Federico. Proprio bello. Già alto a nove anni, con un paio di occhi castani, profondi (come la madre e la nonna), con dei bei capelli neri, lucenti (come la madre e la nonna). Dovette ammetterlo: di suo fratello Walter aveva ben poco. Tranne un particolare, il più inaspettato, il più incredibile, il più marginale, ma diventato fonte di imbarazzo. Federico, che in quel momento le dava le spalle, indossava una maglietta nerazzurra, con il numero 32 sulla schiena e, appena sotto, il nome “Vieri”. Gliel’aveva regalata lei, due mesi prima, per Natale. Federico, nove anni, bambino milanese, era tifoso dell’Inter.
Il fatto, di per sé, era assolutamente incredibile. Non che un bambino milanese non potesse esserlo, ci mancherebbe. Ma era la genesi di quel tifo che risultava a tutti, in famiglia, assolutamente misteriosa. Neanche suo fratello, in realtà, era mai stato tifoso dell’Inter. Lo diceva in giro, negli anni ‘60, quando qualcuno lo coinvolgeva in discorsi sul calcio. Poi, però, da quando si era sposato e aveva messo al mondo tre figlie, applicandosi perché non gli nascessero maschi che potessero interessarsi al football, di calcio in casa sua non si era più parlato. E lui aveva potuto smettere di mentire sostenendo che parteggiava per qualcosa di cui non sapeva nulla di nulla.
Quindi Federico, da quella parte, non poteva aver preso. E non poteva certo aver ricevuto quel cromosoma da suo padre che veniva da una famiglia di milanisti, tutti abbonati, tutti rossoneri dalla testa ai piedi. L’Elvira era veramente divertita da quella faccenda. Il papà di Federico, che aveva sposato la prima figlia di suo fratello Walter, Giorgia – in onore del Cavazzoni – fin da piccolo, cioè da quando aveva tre anni, aveva portato il ragazzino a San Siro, a vedere le partite del Milan. Un (brutto, per lui) giorno, nell’ultimo anno di asilo, Federico era tornato a casa e aveva annunciato, davanti a un piatto di lasagne della mamma (pessime, le condannò l’Elvira: belle e oneste, ma come cuoche quelle tre ragazze erano un disastro): «Papà io tengo per l’Inter».
Il momento era stato drammatico. Si era convocato persino un consiglio di famiglia. Walter, naturalmente, si era rifiutato di prendervi parte, delegando l’Elvira.
«Vai te, che ne capisci» aveva affermato con il tradizionale disprezzo. L’Elvira era andata. Nonni e zii dalla parte del padre di Federico si erano interrogati sul perché e sul per come. L’Elvira sogghignava. Richiesta di un parere aveva sentenziato: «Due cose non si cambiano nella vita di un uomo, la mamma e la squadra del cuore. Costringere Federico a cambiare idea potrebbe rappresentare uno choc per il bambino». Si erano rassegnati, ma il padre del neo-interista gli aveva detto: «Tieni pure per chi vuoi, ma allo stadio, finché non sarai più grande, avrai i soldi o troverai qualcuno che ti accompagni, non andrai più, perché io ti porto solo a vedere il Milan».
L’Elvira, che aveva l’intelligenza lunga, aveva subito capito dove quel bambino tutt’altro che stupido voleva andare a parare. «Sì, è vero, una volta il nonno è andato a vedere il derby».
«Nonna, vorrei chiedergli se mi accompagna a vedere una partita dell’Inter».
L’Elvira si trattenne a stento dal mettersi a ridere. «Chiediglielo. Domandare è lecito…», «…rispondere è cortesia» completò Federico.
Cinque giorni dopo uno scampanellio a singhiozzi, tipico di suo fratello, la sorprese mentre si preparava un té. Walter entrò come un ossesso nel piccolo appartamento di via Ariosto dove l’Elvira si era trasferita all’inizio degli anni ‘70.
«Quel bambino incredibile mi ha chiesto di accompagnarlo allo stadio. E ora come faccio?».
«Portacelo».
«Sei matta, Elvira, non so nemmeno da che parte è lo stadio. Ti prego, dammi una mano. Non potresti portarcelo tu?».
L’Elvira sorrise. «Una signora di più di ottant’anni? Sei matto tu. Però…»
«Però?».
«Potremmo andarci insieme». Walter si accasciò sul divano, stringendosi nel soprabito. «E se chiamassimo il Cavazzoni?». L’Elvira annuì. Il Cavazzoni, nella seconda parte della sua carriera, quella seguita all’incontro con Walter, aveva recuperato parte dei soldi buttati nella prima. Quando aveva smesso, si era messo in affari, commerciando sacchetti di plastica ed era diventato miliardario, ragionando con le vecchie lire. Viveva a Saint Tropez, con la terza moglie, una bionda rifatta della metà dei suoi anni, di cui si era già stancato. Non si divertiva. Per cui prese la proposta dell’Elvira come una rimpatriata. Era entusiasta. Tipica euforia cavazzoniana.
«Penso a tutto io, chiamo un mio caro amico, che è nel consiglio dell’Inter. Perbacco, anche se è interista quel ragazzino deve essere accontentato».

Venne il grande giorno, una domenica di inizio marzo, stranamente tiepida per la stagione. I tre anziani signori si fecero consegnare il giovane Federico da sua madre, visibilmente preoccupata e si avviarono verso San Siro a bordo della Jaguar del Cavazzoni. L’ex portiere e l’Elvira confabulavano, Federico guardava fuori dal finestrino affascinato, Walter stava incassato nel suo angolo, angosciato come sempre. Entrarono nel parcheggio sotterraneo dello stadio.
«Roba da sciuri» commentò l’Elvira.
Il Cavazzoni si gonfiò. «Per te questo ed altro, mademoiselle». Il Cavazzoni aveva quattro biglietti per la tribuna d’onore. Si fermarono al buffet dei vip.
«Cosa sono i vip?», chiese Federico.
«Gente che si crede importante» rispose Walter, incarognito. Cavazzoni e l’Elvira risero. Federico si divertiva un mondo, Cavazzoni, l’Elvira e Walter seguivano esterrefatti quel via vai di facce più o meno famose, veline, soubrette, comici, politici, intellettuali di destra, centro, sinistra che si aggiravano nella sala. A un certo punto ci fu un tremito nella folla.
«Che succede?» chiese Walter. La gente si allargò come il mar Rosso davanti al bastone di Mosè, al passaggio di un signore con la barba, riverito da tutti.
«Chi è quello?» chiese Federico.
«Forse Gesù Cristo, da come s’inchinano» rispose Walter.
«Ma no, è Gino Strada il fondatore di Emergency. Walter non sai mai nulla». Salirono finalmente in tribuna e cominciò la partita. L’avversario dell’Inter era il Bologna, squadra tosta che ben si difendeva. Federico, con la sua maglia di Vieri, saltava da una parte all’altra, Cavazzoni e l’Elvira commentavano le azioni. Walter si ritrovò a parlare con una giovane e bella ragazza poco interessata al football proprio come lui.
«Ma se non le piace che ci viene a fare?» si permise di chiederle.
«Lo stadio, ormai, è un posto di moda, come un locale giusto. Incontri la gente che conta e magari qualche paparazzo s’inventa che sono fidanzata con un calciatore. Le quotazioni salgono». Walter non credeva alle sue orecchie.
Il primo tempo finì 0-0. All’inizio del secondo, l’arbitro fischiò un rigore per l’Inter e Vieri, l’idolo di Federico, fece gol. Walter si alzò. «è finita, no?».
«No, Walter, c’è ancora un tempo» gli spiegò paziente l’Elvira. L’ex ragioniere contò ogni minuto. Finalmente fischiarono la fine.
Sulla macchina, in coda davanti allo stadio, Walter si avventurò in un commento: «Mi ero divertito, se posso usare questo termine, di più 40 anni fa!».
«E ti credo, eravamo ragazzi, tutto è più divertente» disse il Cavazzoni.
«Perché?» domandò l’Elvira.
«Non so, ma mi sembrava che la gente, allora, andasse allo stadio per vedere il calcio, mentre ora vanno per farsi vedere. Sia quelli che stavano vicini a noi, i sedicenti vip, sia quelli che in curva urlavano oscenità e tiravano di tutto in campo».
Ci fu un minuto di silenzio. Federico, che aveva ascoltato attentamente, come faceva sempre, disse: «Io mi sono divertito e ci tornerei, ma solo con voi!». I tre signori sorrisero, Walter scompigliò la zazzera di suo nipote.
«Però l’Inter non vince mica sempre».
«Lo so, ma a me piace vedere il calcio, non solo l’Inter».
L’Elvira chiuse gli occhi. «Ti ci porteremo ancora. In fondo è come la storia di Sodoma e Gomorra, no?».
«Prego?» la bloccò Walter, allarmato dal sospetto che sua sorella se ne uscisse con una delle sue battutacce.
«Basta che ci sia uno solo che si diverte e vale la pena che si giochino le partite. Che ne pensate?».
«Io con te sono sempre d’accordo, mademoiselle». Cavazzoni le prese la mano e la baciò.
Walter propose: «Prendiamoci una cioccolata in un bel bar».
«Evviva» disse Federico. Poi ci pensò su. «Nonna Elvira, lo sai che non mi hai mai detto per che squadra tieni».
«Ma per l’Inter figliolo, in famiglia ci piace partecipare, non vincere. Vero Walter?».

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