Portiamo in aula lo statuto che libera le Pmi e lo sviluppo

L’Ocse considera lo Statuto la più importante norma fatta in Italia per le imprese e suggerisce al governo di attuarne i contenuti. Finora nessuno dei ministri allo Sviluppo economico lo ha fatto

La versione preliminare del rapporto Ocse sulle Piccole e medie imprese italiane (quelle con meno di 250 addetti), che è in corso di pubblicazione, ricorda innanzitutto i numeri. Esse costituiscono nel nostro paese il 99,9 per cento delle imprese, l’80 per cento degli addetti e il 67 per cento del valore aggiunto.

A chiunque basterebbe leggere questi dati per comprendere che le micro, piccole e medie imprese dovrebbero essere al centro della nostra politica economica e industriale. Invece, da troppo lungo tempo non è così. Abbiamo passato gli anni pre-crisi a sentirci spiegare dai guru dell’economia finanziaria (supportati anche da accademici ed editorialisti) che la piccola impresa era un modello superato, che i piccoli imprenditori erano retrogradi, che i nostri distretti sarebbero morti per globalizzazione, ecc.

Se guardiamo i dati di questi anni, vediamo che il contributo maggiore su export e occupazione è stato determinato dalle Pmi. Eppure continuiamo a vedere attenzione quasi esclusivamente per la grande impresa. Nella legge di Stabilità ad esempio, troviamo un sacrosanto e consistente taglio dell’Irap, pari a 6 miliardi. Ma c’è un ma. Il taglio non è proporzionale perché interviene su una delle voci che compongono l’Irap: il lavoro. Premesso che l’Irap è una tassa assurda, che punisce chi assume e chi si indebita per investire, l’intervento promosso dal governo sul taglio dell’imposta sulla componente lavoro, premia le imprese più grandi, alle quali saranno dedicate quelle risorse. Se si fosse voluto sostenere le Pmi (e le partite Iva, che in questo modo vengono escluse) sarebbe stato molto meglio operare un taglio proporzionale. Un altro intervento alternativo che l’esecutivo avrebbe potuto attuare, sarebbe stato l’inserimento di un miliardo di euro per raddoppiare la franchigia portandola a 25 mila euro.

Ma torniamo al rapporto Ocse. C’è un capitolo nel quale si parla del quadro strategico e del sistema delle politiche realizzato dall’Italia negli ultimi anni: dieci pagine dedicate allo Statuto delle Imprese (legge 180/2011). Lo Statuto – afferma l’Ocse – è la più importante norma fatta in Italia per le imprese, ha migliorato l’ambiente in cui operano le Pmi, che è la condizione necessaria per la crescita (a questo proposito va ricordato che la norma che ha sbloccato i pagamenti della Pa verso le imprese è contenuta in quella legge). Ma l’Ocse suggerisce al governo di attuare quanto è previsto dallo Statuto delle Imprese. In particolare, chiede che il governo emani la legge annuale per micro, piccole e medie imprese, affinché ogni anno il Parlamento dedichi una sessione alle nostre piccole imprese per intervenire a loro favore.

Finora, nessuno dei tre ministri che si sono succeduti alla guida del dicastero dello Sviluppo economico lo ha fatto. Il ministro Guidi ha promesso recentemente a Napoli, in occasione della sessione dedicata alle Pmi nel semestre europeo, alla presenza del presidente della Repubblica, di portare quanto contenuto nello Statuto delle Imprese al più presto al consiglio dei ministri. Personalmente, ho sollecitato nell’ordine Passera, Zanonato e la Guidi stessa nel question time alla Camera per la sua emanazione. Finora non è successo nulla. Mi auguro che il governo provveda in tempi rapidissimi: le micro, piccole e medie imprese sono la leva sui cui realizzare la crescita. È finito il tempo di considerarle “figlie di un dio minore”. Ne va del futuro dell’Italia.

* L’autore di questo articolo è segretario di presidenza della Camera dei Deputati responsabile sviluppo economico Ncd e estensore dello Statuto delle Imprese

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