Playboy Italia compie quarant’anni. Noi lo celebriamo (a modo nostro)

Tempi celebra il compleanno della rivista ripubblicando una recensione di Antonio Gurrado apparsa su Tempi nel gennaio 2009 e intitolata "Playboy? Mica si legge per le donne nude"

Poi magari uno si sbaglia: vede Francesco Alberoni all’inizio, Claudio Sabelli Fioretti alla fine, e deduce di aver erroneamente speso tre euri per comprare un ibrido fra il magazine del Corriere della Sera e il cosone illustrato che si trova (si trovava?) sul retro dei sedili Alitalia, rigonfio di consigli di viaggio in mete esotiche che, nella maggior parte dei casi, non coincidono con la destinazione dell’aeromobile. Per fugare ogni dubbio, occorre controllare il paginone centrale: se c’è una signorina piegata in tre – la pagina, non la signorina, anche se occasionalmente le due circostanze possono coesistere – avete indubbiamente in mano Playboy. Altrimenti non voglio saperlo. La signorina c’è: si chiama Sarah Nile e a una conoscenza più approfondita risulta venire da Napoli, cosa che delude chi sperava che il suo nome si pronunziasse Seranàil. Scoprire che invece ha partecipato a Veline (perdendo in finale) aggiunge il danno alla beffa, esacerbata dall’evenienza che nel tripartito paginone centrale la signorina è sistemata nell’unica posizione in cui una donna nuda non differisce gran che da una vestita. Per fortuna c’è un’altra dozzina di foto di contorno scattate con l’esplicito intento di far dimenticare il paginone centrale e, per estensione, la partecipazione a Veline. Il maschio vuol essere blandito.

Appurato che nonostante Alberoni si tratta effettivamente di Playboy, il primo numero atteso una ventina d’anni della nuova edizione italiana, va specificato che davanti ad Alberoni ci sono 15 (quindici) pagine di pubblicità patinatissime. Alberoni, che – giuro – spiega la differenza fra maschi e femmine, arriva quando il lettore ha perso ogni speranza che il giornale inizi prima o poi. Lo stesso giochino di vedo non vedo, inizio non inizio è annunziato nella copertina, sulla quale è effigiato il volto di Caterina Murino: detta copertina è aperta da uno spacco in mezzo, come un sipario anzi come le ante di un armadio, ottenendo non solo il curioso effetto che la Murino risulti avere tre narici ma anche l’istintiva reazione del lettore portato ad aprire le ante per sbirciare cosa c’è mai sotto – e sotto c’è la medesima Murino, più vestita di quanto lo sia io oggidì nel bel mezzo di un gelido inverno. Il maschio vuol essere ingannato.

Timoroso di aver sbagliato copertina (né mi sento di dargli torto), Playboy Italia si premura di informare che la foto esposta è opera di Brian Adams, con annesso servizio interno – di fronte al quale l’intervista a Jovanotti non può che arrossire e chiedere scusa per quanto siamo provinciali. Non so voi ma io compro Playboy perché sulla sua prima copertina c’era Marylin Monroe, quando mio padre aveva otto anni, e non perché speri di trovarci l’intervista a Jovanotti. Il maschio vuol essere inserito in una storia più grande di lui.

E non dite che uno lo compra per vedere le donne nude, anzi. Playboy è così: non c’è giornale nel quale le donne nude siano più decorative, più succedanee, più inutili. Primo perché donne nude ormai ce n’è a bizzeffe ovunque, anche quando non le si vuole o si sta pensando a tutt’altro; soprattutto perché Playboy è un marchio che ha avuto successo veicolando le conigliette con un contorno di alto livello che giustificava e redimeva quasi la loro nudità. Se scorrete le annate di Playboy, oltre a correre il rischio di diventare ciechi all’istante, vi renderete conto che le sue pagine hanno ospitato fotografi d’arte, inchieste di tendenza, interviste storiche e autori di culto – uno per tutti, Ian Fleming. Non è facile insegnare quello che nel sottotitolo dell’edizione italiana diventa “il piacere di vivere da uomo”. Leggere un’intervista a Woody Allen, un racconto di Philip Roth o l’anteprima dell’album di John Lennon fa sempre e ovunque piacere; assume un che di sulfureo se si può farlo nascondendosi dietro una copertina scollacciata. Il maschio vuol essere rallegrato.

Questa scommessa è stata vinta dall’edizione italiana? Alberoni e Sabelli Fioretti a parte, promette benone la ridda di curiosità e aneddoti cheeky raccolti nelle pagine introduttive, dove si scopre l’esistenza di un vibratore musicale, collegabile all’Ipod ma non scendo in dettagli, e dove viene altresì confermato che ovviamente tutte le ragazze sono profondamente bisessuali, a cominciare dalle più gnocche. Se uno non ci crede, azzarda l’articolista, provi a mostrare questa stessa copia di Playboy a una sua amica e ne monitori la reazione di fronte alla profusione di conigliette. Io l’ho fatto e l’unica reazione che ne ho ricavato è stato il contenuto stupore dell’amica in questione di fronte al sondaggio che svela come il politico più sexy dello scenario internazionale sia l’ovvio Obama, col 58 per cento, ma ex aequo con il decisamente meno ovvio Berlusconi. Tanto per dire, Nicolas Sarkozy in Bruni è al 44 per cento; Zapatero al 40; Gordon Brown, comprensibilmente, all’11 – ma se ciò implica che una donna su dieci e attratta da lui, bè, è comunque il risultato più sorprendente del bigoncio. Il maschio vuol essere rassicurato.

In queste pagine introduttive spiccano gli interventi di Michele Dalai, che narra l’amore impossibile fra uno svitato e la sua panchina, e soprattutto di Andrea G. Pinketts, il cui testo resta tuttavia misteriosamente incompiuto a metà di una frase («anche se lo chiamavano la piccola» – e poi?). La letteratura è sempre stata il fiore all’occhiello di Playboy, sempre nell’ambito del progetto di ridefinizione dell’intrattenimento che mira a far sentire un po’ camionisti gli intellettuali e viceversa. La sua è letteratura del disimpegno; nel primo numero italiano tocca a Ron Carlson – non propriamente mister nessuno – con Le donne di Moab, del quale non vi anticipo nulla se non la tramortente domanda: «Chi non è solo?». Converrete che domande del genere non starebbero bene in un rotocalco per porci. Il maschio vuol essere interrogato.

Ma non è tutto rose e fiori. La pagina delle recensioni librarie, curata da Andrea Marrone, parrebbe promettere l’ingresso in una biblioteca infernale (I numeri del sesso, di Sarah Hedley; Fucking Girl, di Miss S.; Taccuino di una sbronza, di Paolo Roversi) e invece tracolla su Viaggio in un’Italia diversa – che non è una guida ai citofoni delle più rinomate drag queen patrie ma l’annuale asessuata fatica di Bruno Vespa. Playboy Italia cerca di forzare l’equilibrio fra corpo e cervello che il Playboy anglofono ottiene naturalmente: le foto di macchine potenti e paccottiglia hi-tech sono quasi preponderanti rispetto agli otto semiposter delle otto signorine provenienti dalla Mansion (menzion d’onore per Iryna Olhovska, ma anche Inna Popenko non è male). Dato il mio assoluto disinteresse per automobili a settemila cavalli e telefonini che scaldano i toast, preferirei una maggior compenetrazione fra le due sezioni. Il maschio vuol essere omogeneo.

Per ora va bene così, tuttavia la provincialata è sempre dietro l’angolo: Playboy Italia ci casca con tutte le scarpe da pagina 56 a pagina 63, dedicando cinque pagine a Roberto Saviano (le altre tre, con maggior onestà intellettuale, sono dedicate a pubblicità esplicite). Non vedo perché anche Playboy debba pagare pedaggio alla litania del povero-ventottenne-che-non-può-prendere-una-birra-con-gli-amici-né-godersi-tutti-i-soldi-che-ha-guadagnato, derogando all’intrattenimento leggero, frizzante, ammiccante e soprattutto anticonformista che ha garantito il successo del suo marchio. Capisco che Saviano in fin dei conti è il Jovanotti dell’editoria; ma se volessi vedere due donne nude e sentire Saviano che si lamenta, tanto varrebbe comprare l’Espresso.

@antoniogurrado

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