Piccolo campionario degli ultimi statalisti illustri e meschini

Luigi Berlinguer Statalista scolastico. Statalista miope. I maligni dicono che indossa volentieri montature senza lenti quando viene intervistato dai telegiornali, è allora che cerca di ammaliarvi con il suo timbro da mezzo soprano e con la sua vaga inflessione sarda. Discende infatti da una schiatta di notabili sassaresi, mazziniani, massoni, socialisti, antifascisti e comunisti. Si diceva della miopia. Un po’ gli occhi, che sbatte nervosamente e in continuazione, se li è rovinati leggendo il milione e mezzo di firme a favore della libertà di educazione che gli sono piombati sul tavolo del ministero. Sì perché lui è ministro, per un certo periodo è stato ministro uno e trino: della Pubblica istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica. Lì forse la montatura, dagli occhi, gli è salita alla testa. E si è convinto che Giovanni Gentile non poteva essere l’unico a passare alla storia come il riformatore della scuola italiana del XX secolo. Non potendo, non riuscendo, forse non volendo mettere insieme un bel riformone in un colpo solo, ha adottato la tattica della riforma strisciante a colpi di decreti: prima l’insegnamento della storia, poi i cicli, poi la maturità, poi… Provveditorati e direzioni scolastiche sono sommersi da circolari (mitica quella che raccomandava lo studio di Gramsci). Grazie a lui gli studenti italiani sapranno tutto sulle Brigate rosse, su Tangentopoli e sulla morte di Kennedy, sulla strage di Piazza Fontana, sull’Italicus, sulla lotta alla mafia e su tutto quanto è successo nel Novecento (anche quello che gli storici non hanno ancora potuto appurare), pazienza se su venti e passa secoli di storia dovranno formarsi su testi scolastici ridotti a bigini, potranno con ampiezza approfondire la storia di settant’anni di comunismo, dall’alba al tramonto, passando attraverso ottanta milioni di morti. Ma forse questo non era nelle sue intenzioni.

Rosy Bindi Statalista salutista, nel senso che, a dispetto del suo cattolicesimo, pensa alla salute come a un dono dello stato e non di Dio. Per questo ce l’ha coi medici in ispecie quelli cattolici, in ispecie speciale con chi essendo sacerdote invece di occuparsi dell’anima ha qualche pretesa anche sul corpo. Chiedere a don Luigi Verzé, recentemente minacciato di querela dalla signora ministra, per saperne di più. Donna di carattere ha sopportato con grande stile l’incidente Di Bella uscendone in qualche modo come vincitrice ai punti, meno stile ha dimostrato nell’attaccare sempre e comunque la sanità privata – soprattutto se lombarda, soprattutto se funziona – quando la cronaca gliene ha dato luttuosamente l’occasione. È catto ed è, forse, anche comunista. In Russia si stanno mangiando le mani dopo aver letto il testo della sua riforma sanitaria: “L’avessimo conosciuta prima il Muro non cadeva”. In Italia i medici invece si stanno mangiando altro.

Enrico Boselli Statalista nel partito sbagliato. Desideroso come pochi altri socialisti di recuperare il rapporto con gli ex-comunisti, Boselli, già vicesindaco di Bologna e poi presidente della giunta regionale emiliana, era giunto a cancellare dal suo discorso al convegno dei socialisti europei (Milano, 1 marzo 1999) i passaggi che documentavano i rapporti di amicizia personale tra Bettino Craxi e le figure storiche del socialismo europeo (Francois Mitterand, Willy Brandt e Olof Palme) pur di procurarsi la benevolenza diessina. Va rimarcato, per capire il personaggio, lo scopo del suo discorso all’assise socialista continentale, scopo strombazzato sui media nei giorni precedenti, con petto in fuori e sguardo fiero: “Vado a chiedere la riabilitazione politica di Craxi”. È finita come si sa, con le prese di distanza di Massimo D’Alema, di Walter Veltroni e con le dichiarazioni liquidatorie del presidente uscente e rientrante del Partito socialista europeo, il ministro tedesco della Difesa Rudolf Scharping, che sentenziò: “Craxi è un caso che riguarda la magistratura italiana”. In conseguenza di ciò, Giuliano Amato si è affrettato a rimproverare Boselli di essersi tuffato a Milano in una piscina vuota o quasi. Comunque, piena o vuota che fosse la piscina di Milano, ora non resta a Boselli che darsi più carattere di quello che pur ha mostrato con quel tuffo che gli ha procurato il veltroniano “non faremo più cose insieme”. “Sarà duro per noi rimanere nel centrosinistra anche dopo il voto proporzionale del 13 giugno per il Parlamento Europeo e negoziare i collegi elettorali maggioritari del Parlamento italiano, quando lo si dovrà rinnovare, con i diessini in calo o, peggio ancora, con l’asino emergente di Di Pietro e Prodi” deve aver pensato il mite Boselli. Forse per questo, o forse in nome di un malinteso laicismo, lui e il ministro socialista Angelo Piazza, hanno recentemente riservato alla scuola privata un trattamento se possibile più duro dell’irrigidito Giorgio La Malfa. Si sa che in pochi vogliono passare alla storia, e neanche alla cronaca, come gli eredi di Craxi: anche se in molti di fatto cercano di imitarne metodi e strategie, ma che proprio fra i suoi epigoni si trovi chi è ancora affascinato dallo statalismo scolastico è pena aggiuntiva che l’esule di Hammamet non merita.

Sergio Cofferati Più sindacato fa bene allo stato. Più stato fa bene al sindacato. Sindacalista di tipo riformista, cresciuto sotto la protezione di Luciano Lama, Sergio Cofferati è personaggio intelligente che non ha mai considerato il salario una “variabile indipendente”, che sa quanto sia importante difendere la redditività di un’azienda. Tanto si è dimostrato capace di modernità, altrettanto sa essere uomo quasi ottocentesco nella sua concezione della politica, che deve ispirarsi a valori forti e solidi, primo fra tutti la “coesione”. Era la “coesione” che attaccavano la Br, è la “coesione” quella che il sindaco milanese Gabriele Albertini impedisce. L’impegno a dare unità e coerenza a milioni di persone porta Cofferati a un ossessionante sforzo per costringere la realtà in patti, accordi, sacri impegni. Si può discutere di tutto, ma alla fine si devono raggiungere intese da siglare che non possono essere rinnegate. Una flessibilità del mercato del lavoro non cristallizzata da accordi o accordini, una mobilità decisa dal mercato, sono per Cofferati vere e proprie eresie. Il socialismo leggero alla Tony Blair, e le timide mosse di D’Alema in quella direzione, sono per il segretario della Cgil attacchi non a singole conquiste sindacali, ma attacchi al suo quadro di valori, alla “casa comune”, bruciando la quale lui non può più fare il suo mestiere. Anche perché è sua convinzione che un sindacalista tale debba restare per la vita. Si dice che in incontri informali e privati ami far notare che “quando un’organizzazione si affida a un sindacalista è arrivata alla liquidazione: Marini, Bertinotti, Del Turco e Benvenuto dimostrano abbondantemente questa verità”. Almeno per questo, come dargli torto?

Armando Cossutta Statalista governativo. Si è distinto nella recente vicenda balcanica per la fermezza dei suoi ultimatum all’interventista governo D’Alema: non tollereremo una partecipazione dell’Italia al conflitto neanche come supporto logistico, vogliamo assicurazioni che l’Italia parteciperà all’alleanza solo con azioni di difesa integrata, i nostri piloti dovranno fungere solo come supporto ai caccia alleati, usciremo dal governo se verrà bombardata Belgrado, lasceremo l’esecutivo se verrà dato l’assenso all’operazione terrestre… hanno provveduto la storia e gli alleati occidentali a toglierlo dagli impicci risparmiandogli ulteriori sforzi di fantasia e permettendogli di continuare a chiamarsi comunista. Tale è dottrinariamente e irrevocabilmente dal 1943 quando a Ravenna compulsa un testo di Benedetto Croce, fornitogli ovviamente dal sacerdote di turno, “Come nacque e morì il marxismo teorico in Italia”. In appendice al tomo trova “Il manifesto” di Karl Marx e ne resta folgorato. Di formazione rigorosamente togliattiana, nel carattere ricorda uno spot pubblicitario della Brancamenta, quello del bicchiere intagliato nel ghiaccio. Scopre questo suo sangue freddo polare il 14 luglio del 1948, quando, giovanissimo, senza nessuna emozione prende la parola davanti agli operai di Sesto San Giovanni (Mi) dopo l’attentato a Togliatti. Memore di quel sacerdote che gli consigliò la lettura di Croce è rigorosamento ateo, ma è riuscito a farsi chiamare “Eminenza rossa”. Visita ancora Mosca, durante un suo viaggio nell’ottobre del 1998 ha incontrato il leader dei comunisti russi Gennadij Zijuganov che, inchinandosi per baciargli l’anello cardinalizio, l’ha definito il “miglior interprete della tradizione comunista”. Ha governato gli italiani insieme a Prodi, li sta governando con D’Alema. Nel 1982 he strappato con Enrico Berlinguer, nel 1989 ha strappato con Achille Occhetto, nel 1998 ha strappato con Fausto Bertinotti. Non ha ancora strappato la tessera numero uno del “club interisti-leninisti” di Ravenna. Da lui gli italiani non strapperanno mai un sì alla parità scolastica.

Giorgio La Malfa Statalista figlio. Il grande Ugo, pur a capo di un piccolo partito, sapeva fare cose grandi. Come quando difese Aristide Gunnella, deputato repubblicano di Sicilia accusato di collusioni mafiose: “Io so cosa vuol dire fare politica in Sicilia”. O come quando rivendicò il suo rapporto con i petrolieri e le forme di finanziamento alla politica che ne discendevano. Giorgio, escluso dal Parlamento europeo di Strasburgo nonostante un promettente 0,5 per cento a livello nazionale del suo Pri, ha fama di moralizzatore. Gran sostenitore di Mani pulite venne beccato (gloriosamente, secondo noi) con le mani sporche della colla di alcuni manifesti elettorali che s’era fatto pagare in nero. Pur mazziniano non s’è fatto neanche un giorno di carcere, e nemmeno di esilio. Oltre che mazziniano è anche azionista, nel senso del Partito d’Azione, che non c’è più da cinquant’anni ma è vivo e lotta contro di noi. Pur di veder trionfare il principio del “senza oneri per lo Stato” accetta personalmente oneri tremendi, come marciare fianco a fianco con skin, agitatori di centri sociali, rifondatori comunisti, punk, pink, krik e krok purché siano contro la scuola “privata”. Non ditegli libera che s’incazza. Ma non bisogna volergliene, è così perché è storto negli umori, è repubblicano fin da piccolo.

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