Piacere di indagarvi. Ritratto di Forno, un allegro pm che vede pedofili dappertutto

Dalle intercettazioni appena pubblicate dal Corriere della Sera sembra che dietro al Rubygate ci sia il procuratore aggiunto Pietro Forno. Ripubblichiamo un articolo del 1999 (e un altro in allegato) che racconta le gesta del pm che ha compiuto forse i più gravi e ripetuti errori giudiziari che il tribunale di Milano abbia mai registrato

Pubblicando le intercettazioni che la Procura avrebbe dovuto distruggere, il Corriere della Sera ci ha fatto il grande servigio di rivelarci il vero protagonista dell’inchiesta che Ilda Bocassini si è peritata di coprire con la sua austera e, a suo modo, nobile autorità. Secondo le indiscrezioni che la signora Nicole Minetti ha raccolto tre mesi prima dell’emersione dell’inchiesta e che riferisce telefonicamente a Silvio Berlusconi, il pm da cui scaturirebbe il famoso Rubygate altri non sarebbe che l’aggiunto procuratore Pietro Forno.

Il pm che ha compiuto forse i più gravi e ripetuti errori giudiziari che il tribunale di Milano abbia mai registrato e di cui basta un semplice giro in web per dimostrare l’inquietante curriculum. Di lui Tempi si occupò già nel 1999, quando gli dedicammo un ritratto a cura di Luigi Amicone, Francesco Esposito e Maurizio Zottarelli che riproponiamo qui di seguito. Dopo il nostro articolo e le denunce da parte delle vittime delle sue inchieste, Forno fu difeso da D’Ambrosio e Borrelli, allora capi della Procura di Milano.

E anche il Csm, che in seguito aprì una pratica nei confronti del pm milanese che vedeva pedofili ovunque, alla fine insabbiò l’inchiesta limitandosi ad accettarne la richiesta di trasferimento a Torino, da cui tre anni fa Forno si trasferì nuovamente per tornare a Milano come procuratore aggiunto.

“Apprendo che è stata depositata una richiesta di rinvio a giudizio nei miei confronti per un’accusa infamante. Che dire? Qualcuno al Tribunale di Milano ha pensato bene di aprire la campagna elettorale. Quando poi sento dire che sarebbero indagate per la stessa vicenda delle suore stimate da tutti perchè hanno dedicato la loro vita all’impegno sociale tra i giovani, dico che siamo alla follia. È intollerabile, e qualcuno dovrà rispondere dela male che sta facendo a tante persone, il livello di barbarie raggiunto da metodi giudiziari che non hanno nulla a che vedere con la giustizia”. Così, Alessandro Patelli, ex leghista e attuale consigliere regionale lombardo nel gruppo misto, commenta al giornalista di Tempi la notizia della richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti per “atti di libidine e violenza sessuale”, depositata dal pm milanese Pietro Forno il 24 novembre scorso.

Sulla richiesta di Forno deve ora pronunciarsi il Gip Maurizio Grigio, al quale spetta di decidere se accoglierla o archiviarla. Resta il fatto che questa vicenda ha già sconvolto la vita di una famiglia – quella dei Patelli, delle sue tre figlie e della compagna, un commissario di polizia – e perfino di un convento di suore benedettine, da anni impegnate in un’opera di accoglienza di bambini e giovani con disagi familiari, che nell’ambito dell’ichiesta Patelli, il magistrato Pietro Forno ha fatto mettere sotto intercettazione telefonica. “Non auguro a nessuno quello che abbiamo passato e che ancora stiamo passando” è lo sfogo di una delle suore, “la vita della nostra comunità, suore e bambine che assistiamo, è stata sconvolta da mesi di pressione. Telefoni sotto controllo, interrogatori, cose che non capiamo. Mi sono sentita male quando ho saputo che la mia consorella è scoppiata a piangere per la tensione durante uno di questi interrogatori. lei è la più battagliera di noi. Quella che ci fa coraggio. Io non me ne intendo di Tribunali e non so come funzionano queste cose. Stiamo pregando perchè Maria tocchi questi cuori. Sono sicura che tutto finirà bene”.

Un pm scatenato:”io parlo solo con gli atti giudiziari”
Benchè il segreto istruttorio sia caduto il 24 novembre scorso e il cronista di Tempi provi cortesemente a domandare al pm Pietro Forno le ragioni per cui ha voluto ugualmente depositare la richiesta di rinvio a giudizio nonostante la ritrattazione della ragazza, il magistrato preferisce glissare, “prechè la materi è delicata e ogni parola rischia di venire tirata da una parte e dall’altra”. Dichiara il pm Pietro Forno a Tempi:”io preferisco parlare con gli atti giudiziari”. E infatti la materia è così delicata che, il pomeriggio la richiesta di rinvio arriva sul tavolo di Grigo, la sera stessa Patelli è già sui Tg…

Un magistrato provato dalla specializzazione
E la ragione di tanta prudenza anche in un circuito messmediatico notoriamente molto disponibile a dare il massimo risalto ai casi di violenze, specie se compiute su minori, è la seguente: il pm Pietro Forno non è nuovo a scandali giudiziari rivelatisi una bolla di sapone. Anzi, nell’ultimo anno, anche a seguito di sentenze che hanno smontato i suoi impianti accusatori e di inchieste che hanno avuto scarsi risultati e lasciato un pesante strascico di polemiche sui massmedia, i metodi di indagine utilizzati da Forno sono stati duramente stigmatizzati dal giudice Guido Salvini. Ora nei corridoi del Tribunale di Milano ci si comincia a chiedere se dieci anni alla guida di un pool specializzato solo nella persecuzione dei reati di natura sessuale non siano troppi anche per un magistrato che un tempo era stimato per competenza ed equilibrio. Oggi il pm antipedofili appare stanco e provato da una professione interpretata come una sorta di missione religiosa al servizio di una purificazione dell’etica e dei costumi della società.

E infatti, l’unico magistrato che, in termini di anzianità nel pool antiabusi, poteva competere con Forno, è la dottoressa Laura Borgonovo, che però ha preferito trasferirsi in altra sezione di indagini. E questo anche perchè si dice che la Borgonovo non condividesse i metodi di un pm che fa ricorso ad un sistema molto rodato, ma poco garantista, nella raccolta e verifica delle prove, e che utilizza sempre gli stessi periti senza mai confrontare le loro tesi con quelli di specialisti esterni al pool. Il pm Pietro Forno è inoltre il solo pm dei tanti transitati dal pool antiabusi, che sia rimasto tanti anni ininterrottamente ad occuparsi di pedofilia e violenze sessuali esclusivamente in ambito familiare. Ed è anche il solo, se si esclude il pool Mani Pulite, che grazie a un accordo con la Questura di Milano, ha ottenuto che la Polizia gli mettesse a disposizione decine di uomini che lavorano solo per lui.
 
Il curriculum di un grande inquisitore
Pietro Forno ha definitivamente conquistato gli onori delle cronache nel 1985, dopo il caso Armando Verdiglione, lo psicoanalista piu’ amato dalle signore della Milano salottiera, accusato di avere sottratto a una paziente 200 milioni e condannato nel 1989 a quattro anni per estorsione e circonvenzione di incapace. Da allora Forno ha collezionato altre celebri inchieste, come quella sullo scandalo degli “aborti terapeutici” – eseguiti dopo il terzo mese di gravidanza – alla clinica Mangiagalli di Milano (dicembre 1988) e sulla chiesa di Scientology (marzo 1989, processo rinviato in appello nell’ottobre 1997). Ma dopo che per anni e’ stato considerato un’autorita’ per i reati a sfondo sessuale, da qualche tempo il Grande Inquisitore di pedofili e violentatori, ha inanellato un’impressionante serie di veri e propri errori giudiziari.
 
Quando il giudice Salvini censurò Forno: “indagini inutili e pervasive”
Si comincia nel 1995, con l’assoluzione di un padre di famiglia, arrestato su richiesta di Forno con l’accusa di sevizie sessuali sulla figlioletta di quattro anni. In questa occasione la corte stigmatizza la “propensione accusatoria” del pm e critica la “drammatica esperienza processuale” imposta alla piccola. Seguono la storia di Nikolin Ndreka, albanese di 31 anni che nel 1997 trascorre 9 mesi in carcere per violenza sessuale, prima di essere assolto dall’accusa; quella di Vito Cangialosi, accusato nel maggio 1998 di aver violentato la figlia e riconosciuto in seguito innocente; di una mamma e uno zio di Lissone rimasti un anno agli arresti domiciliari per presunta violenza ai danni di un bambino di cinque anni, assolti nel maggio 1999 con formula piena (per quest’ultimo caso, contro Forno è stato inoltrato un esposto al CSM).

Si è concluso nel luglio di quest’anno il calvario di Maria, anziana signora accusata di non aver impedito al figlio (la cui pericolosità era stata provata dal pm citando una sua frase pronunciata qualche anno addietro: “mi piacciono le bambine”) di violentare la nipotina, e per cui il pm aveva pure richiesto una perizia psichiatrica. Il gip Guido Salvini ha emesso la sentenza di non luogo a procedere sottolineando le irregolarità delle indagini. È una censura durissima quella di Salvini nei confronti del pm Forno: “Consulenza psichiatrica inutile e invasiva” e poi “l’accusa si basava su un dato estremamente fragile, cioè sulle dichiarazioni rilasciate dalla bambina agli agenti. A quell’interrogatorio non erano presenti psicologi né altri tipi di figure specializzate nel trattare con i bambini (…). Si aggiunga che assai scorrettamente la donna è stata sentita in qualità di testimone quando già erano state acquisite dal personale della Squadra Mobile ed erano pervenute all’ufficio del pm le dichiarazioni che il pm aveva poi utilizzato per la richiesta di rinvio a giudizio (in pratica una persona indagata interrogata come testimone senza avvocato, ndr). Sono state peraltro mosse dal funzionario delle domande curiose …) in particolare se le figlie ormai adulte della donna, da piccole (cioè 30 anni or sono) “si toccassero il pube”, circostanza questa che non si comprende cosa abbia a che vedere con gli abusi ascritti al fratello”.
 
I casi artico e Valerio
Ma le storie più conosciute dal grande pubblico sono quelle di Lorenzo Artico e William Valerio. Il primo condannato a 13 anni di carcere (l’accusa ne chiedeva 18) per abusi su sette bambini di una comunità di recupero dove lavorava come educatore. Un processo incominciato nel 1997 e proseguito per 40 udienze nel corso delle quali quattro dei giovani accusatori hanno ritrattato. Dopo alcuni mesi di carcere Artico è passato agli arresti domiciliari, mentre nel suo quartiere si costituiva un comitato in sua difesa, formato dagli amici e dalle mamme che da anni affidavano a Lorenzo i propri figli. In suo favore sono intervenuti anche alcuni personaggi politici, come Luca Manconi, che ha criticato l’accanimento, quasi persecutorio, della pubblica accusa.

Oggi il giovane è in libertà con l’obbligo della firma due volte la settimana. Il processo di appello è atteso a fine anno. Per William Valerio (vedi Tempi n. 29/30) accusato di aver violentato, minacciandola con una pistola, una ragazza minorenne, il pm Forno aveva chiesto una condanna esemplare: 10 anni. Così a 21 anni il giovane si è ritrovato in una cella del carcere milanese di S. Vittore, insieme ad altri 6 pedofili. Poi ha trascorso più di un anno agli arresti domiciliari. Finchè il gip Italo Ghitti ha emesso la sentenza di assoluzione per un delitto senza movente, senza alcun riscontro oggettivo e basato soltanto sulle dichiarazioni di una ragazzina rese sotto l’effeto di sostanze allucinogene.
 
Il “problema” di Forno. E quello dei suoi indagati.
“Il problema è che voi giornalisti pubblicizzate solo le assoluzioni”, ha dichiarato Forno prima di annunciare che contro Valerio ricorrerà in appello. Lui i suo indagati li conosce bene, ha perfino fatto intendere di non credere nell’efficacia degli interrogatori: “Il verbale tipo – ha dichiarato in un’intervista – potrei anche scriverlo prima di sentire l’imputato”. Niente male per la giustizia che, fino a eventuali sentenze definitive di condanna emesse da un tribunale, in uno stato di diritto, dovrebbe agire nei confronti del citadino indagato nel massimo rispetto del principio della “presunzione di innocenza”.

Exit mobile version