Perché la meravigliosa allucinazione collettiva di “The First Kiss” è la prova che l’amore spontaneo non esiste

C'è del genio nel video-spot da 60 milioni di clic: viviamo in una bolla di emozioni e hashtag (#LoveIsLove), e i pubblicitari ne approfittano per piazzare il prodotto

Alla fine hanno dovuto buttarla in caciara per togliersi dall’imbarazzo di aver preso una topica. E così, una volta scoperto che il video The First Kiss altro non era che la réclame di una marca d’abbigliamento – un video visto da sessanta milioni di utenti, dico: sessanta milioni sono gli abitanti dell’Italia –, sono nate sulla rete le parodie: coi cani che si usmano il deretano, gli adolescenti imbranati che non sanno da che parte cominciare, le coppie intente nel first handjob (la traduzione la lasciamo al lettore). In fondo, anche la battutaccia smargiassa e scurrile è una forma di difesa. Difesa da che? Dall’essere stati gabbati a credere che l’amore è un sentimento spontaneo.

Un passo indietro. Qualche settimana fa su Youtube viene caricato un video in bianco e nero della regista Tatia Pilieva. Vi compaiono coppie tipificate variamente assortite: c’è il ragazzo tatuato con la signora di mezza età, la figliola con la camicetta leopardata e il giovane manager in giacca e cravatta, lui e lui, lei e lei. Sappiamo solo che sono perfetti sconosciuti cui è stato chiesto di darsi un bacio. Frasi di circostanza, sorrisi imbarazzati, convenevoli. Poi i corpi si avvicinano, le mani si sfiorano, una colonna sonora incalzante suggella l’avvinghiarsi di braccia, baci sempre più appassionati, mordicchiamenti vari.

«È la prova che il colpo di fulmine esiste», sentenziano i siti online di mezzo mondo. Condivisioni, commenti, passaparola fanno il resto. Pure il presidente Barack Obama pare abbia apprezzato. D’altronde, il video è l’esatta trasposizione dell’interpretazione maggioritaria che viene data alla parola “amore”. Ricordate? Love is love, l’amore è amore. Anzi, #LoveIsLove, tutto attaccato e col cancelletto, così che sia più facile condividerlo sui social network, farne una bandierina da sventolare, slogan che ci faccia sentire tutti aderenti alla medesima community esistenziale.

Poi si scopre che era una pubblicità. Uno spot. Sessanta milioni che pensavano fosse amore, si sono risvegliati con una marca di vestiti che cerca di piazzargli la maglietta della salute. Ma c’è del genio in questa operazione di marketing che non ha fatto altro che sfruttare l’ideologia corrente sull’amore: è spontaneità, non conta il sesso o la religione, il colore della pelle, il peso, l’altezza, che tu sia bello o brutto, che ci conosciamo o meno. Love is love, e tanto basta.

I pubblicitari non hanno fatto altro che chiedere l’assenso su quel che già raccoglie il maggior consenso. Cos’altro deve fare uno spot se non suscitare un’emozione per ingolosirci su un prodotto? E noi ci siamo cascati, come quel famoso signore che al supermercato non accettava di scambiare il suo fustino di detersivo di marca per due contenitori anonimi.

Abbocchiamo alle réclame, ma non nella vita di tutti i giorni. Chiunque di noi incontrasse per strada uno sconosciuto che ci vuole baciare, correrebbe a chiamare il 118, soprattutto in tempi di femminicidi imperanti. E la reazione normale sarebbe questa (l’avvisare la neurodeliri), non l’altra (farsi tampinare da uno che non abbiamo mai visto). Ma questo è quello che faremmo, non quello in cui diciamo di credere. Quello che professiamo online è che l’amore è un sentimento leggero, spontaneo, che va gustato nell’attimo perché non dura per sempre. E quindi non vale la pena impegnarsi, perché poi subentra la delusione e, si sa, gli amori che durano tutta la vita c’erano al tempo dei nonni, mica oggi che c’è Facebook. Così, visto che viviamo dentro questa bolla che ci fa credere che l’amore è solo un flirt, i pubblicitari ne approfittano per piazzarci il fustino in mano. E noi, come allocchi, ce ne teniamo uno anziché due, pensando che sia la cosa più ragionevole.

Ma se solo per un attimo uscissimo da Youtube e dalla prigionia dell’hashtag e tornassimo a considerare il fatto che il colpo di fulmine non basta, che l’amore è fatica e dedizione, sacrificio e conquista, il nostro bacio, all’estraneo, non lo daremmo mai. Se lo vuole, se lo deve conquistare. Perché esiste una cosa antica e preziosa che si chiama intimità. E non è a buon mercato.

(Uno degli altri video che hanno girato sulla rete, dopo la “grande delusione” che The First Kiss era una bufala, è stato “Il bacio tra sconosciuti, quello vero”. La rivista Vice ha fatto incontrare una ventina di persone che non si erano mai viste e ha chiesto loro di replicare l’esperimento. Non erano attori e fotomodelli, come quelli del video originale. Erano persone comuni, alcune anche piuttosto impresentabili. Per ogni bacio hanno intascato 23 euro. A conferma che, oltre all’amore vero, esiste solo quello a pagamento. Almeno un baratto onesto, più dignitoso di quello “spontaneo”).

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