Perché i cristiani nel mirino

Rendere impossibile la rinascita irakena, creare un conflitto religioso, attizzare lo scontro fra civiltà: sono questi gli obiettivi delle bombe contro i cristiani in Irak. E a perseguirli non sono solo gli estremisti

«Sono state attaccate cinque chiese a Baghdad e una a Mosul; ci sono stati 11 morti e decine di feriti. A Mosul hanno fatto esplodere due autobomba contro una chiesa caldea. Nella stessa giornata a Kirkuk è stato ucciso un poliziotto cristiano, invece a Baghdad la polizia ha sventato uno degli attentati». La voce di monsignor Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk, trema di emozione al telefono mentre risponde dalla sua città natale di Mosul all’indomani degli attentati contro le chiese cristiane in Irak. Nelle sue parole accorate ci sono note di biasimo per tutti, a cominciare dagli anonimi aggressori: «Sono atti puramente terroristici, che non hanno nulla a che fare con la religione. È probabile che questi terroristi vengano da fuori, perché l’Irak è diventato un terreno fertile per il terrorismo internazionale. Non comprendiamo perché gli americani continuino a trascurare il controllo delle frontiere. I paesi vicini forse anche loro ci mettono lo zampino, perché non vogliono che abbia successo il processo di un Irak nuovo, pluralista, democratico e moderno. E allora fanno di tutto: attacchi a chiese, moschee, persone innocenti, bambini». Sako ce l’ha con tanti, ma non coi musulmani irakeni: «Sono molto turbati. Ho ricevuto imam locali che ci hanno fatto le condoglianze, alla televisione nazionale l’ayatollah Sistani ha condannato gli attentati, e anche a me e al patriarca di Baghdad la televisione irakena ha dato l’opportunità di intervenire. I musulmani dicono che tutto questo è male, che non giova a nulla, non è resistenza perché la resistenza ha delle regole, ma è terrorismo».

Anche i Fratelli Musulmani condannano
In effetti la condanna degli attentati è corale in tutto il mondo islamico. La conferma pure Esam El Eryan, il portavoce ufficioso dei Fratelli Musulmani, l’organizzazione madre di tutti i gruppi islamisti odierni, fuorilegge nella maggior parte dei paesi arabi, che raggiungiamo telefonicamente al Cairo: «Condanniamo questi attacchi. Riteniamo che siano opera di elementi non irakeni, perché in secoli di convivenza in Irak non ci sono mai stati conflitti fra cristiani e musulmani. Dietro gli attacchi ci sono delinquenti di qualche specie». El Eryan esclude che degli islamisti abbiano preso parte agli attentati: «Tutti i gruppi della resistenza, sia nazionalisti che islamisti, dirigono le loro armi contro l’occupazione e in una certa misura contro i collaborazionisti dell’occupazione anglo-americana. Nessun resistente, nazionalista o islamista, si sognerebbe di prendere a bersaglio chiese o altri luoghi di culto». I punti di vista divergono quando dalla diagnosi del male si passa alla prescrizione della cura: «Fanno questo – dice monsignor Sako – per spaventare la gente, per spingere gli stranieri a lasciare l’Irak. Ma noi abbiamo bisogno di maggiore presenza internazionale, anche l’Europa ha dei doveri, non deve lasciare soli gli americani; la comunità internazionale deve agire e non solo per i cristiani: la maggioranza delle vittime è musulmana, in Irak la situazione è peggiore che nel Darfur. È un dovere internazionale mettere fine a questo terrorismo, a questo disordine in Irak». I Fratelli Musulmani, che simpatizzano con la “resistenza irakena”, la pensano molto diversamente: «Bisogna – ci dicono – mettere fine all’occupazione, poiché è essa la causa dello spargimento di sangue. Gli irakeni devono poter costruire il loro paese da soli, senza interferenze. Le eventuali truppe straniere dovrebbero essere caschi blu Onu o truppe della Lega araba, ma americani e inglesi devono ritirarsi il prima possibile, perché loro sono i responsabili dello spargimento di sangue in corso».
Sul perché i cristiani siano diventati per la prima volta nella storia dell’Irak bersagli di attacchi i giudizi degli osservatori sono abbastanza concordi: «Il significato politico di questi attentati è chiaro, – dice Gian Micalessin, inviato de Il Giornale in Irak per lunghi mesi –, quello a cui punta l’ala più terroristica dell’insurrezione irakena è dividere il più possibile la popolazione. Colpire i cristiani è instillare un’altra divisione all’interno del paese, creare una contrapposizione tra i cristiani e gli islamici che in passato non c’era. Instillare inimicizia tra loro significa rendere più difficile il lavoro del nuovo governo. La comunità cristiana è sempre stata un simbolo di unità in un Irak diviso fra curdi, sciiti e sunniti. Anche se la comunità cristiana non si è mai distinta come oppositrice del regime di Saddam, sostanzialmente è sempre rimasta integrata all’interno della popolazione curda nel nord, o all’interno della popolazione sunnita nel triangolo sunnita. Non è mai stata percepita come un elemento estraneo». «La carta che si vuol giocare – spiega Massimo Introvigne, studioso delle religioni e direttore del Cesnur di Torino (Centro studi nuove religioni) – è quella dello scontro interreligioso: perché in Irak tra l’altro i cristiani non sono pochissimi, quindi non si tratta della persecuzione di una piccola minoranza, come nel caso pakistano. In Irak, se si dà fuoco alle polveri, si può ottenere un vero e proprio scontro. In passato in Irak, agli inizi del Novecento, ci sono state anche formazioni armate cristiane. Ma trovo difficile che l’operazione riesca: ci sono stati in passato momenti di tensione tra cristiani e musulmani del paese, ma mai perché i cristiani sono cristiani, semmai perché i cristiani sono stati visti come collaboratori di altri poteri. Per esempio gli sciiti, che secondo me non c’entrano nulla con le bombe di domenica, a lungo hanno visto i cristiani come amici di Saddam Hussein e, prima ancora, come collaboratori degli inglesi. Però la loro avversione ha avuto sempre ragioni politiche estrinseche, anche perché il motivo anticristiano nell’islam sciita è abbastanza assente».
Secondo padre Bernardo Cervellera, missionario Pime già direttore dell’agenzia di stampa vaticana Fides e oggi direttore di AsiaNews, i cristiani irakeni sono entrati nel mirino dei terroristi perché «Al Qaeda sta cercando da tantissimo tempo di fare esplodere una guerra religiosa tra l’Occidente cristiano e l’Oriente musulmano. Per farlo deve creare una spaccatura, e questa spaccatura la realizza attaccando i cristiani. Inoltre Al Qaeda non vuole che l’Irak rinasca, e anche questo è un motivo per colpire i cristiani, perché sono un ganglio, un nucleo importante della rinascita del paese. In giro per il mondo ci sono molti cristiani irakeni emigrati: essi, di fatto, sono il collegamento con tutto il resto della comunità internazionale. I cristiani sono anche le personalità più evolute, più moderne del paese, sono quelli che possono far maturare la popolazione irakena, mettendola a contatto con le problematiche attuali».
Meno gettonata è la spiegazione “escatologica” degli attentati. Dice Introvigne, un’autorità in materia: «È una prospettiva letteraria, che si ritrova negli scritti di Bin Laden. Ma non l’ha inventata lui: l’idea del grande scontro apocalittico tra religioni lui la ricava dall’apocalittica popolare musulmana, soprattutto egiziana, che sin dal Medioevo circola nel mondo islamico e che oggi è stata riscoperta dopo un periodo di oblìo. Contro questo genere di romanzi popolari l’Università di Al Azhar in Egitto ha emanato delle fatwa, già prima dell’11 settembre 2001. Però è comunque un tipo letteratura che nei bazaar vende molto e si conosce».
Resta il fatto che i cristiani irakeni sono entrati nel mirino del terrorismo di matrice islamista.

E il peggio deve ancora venire
«Quello che è successo domenica – spiega Micalessin – era da mesi nell’aria. Ci sono stati attentati e minacce contro i negozi che vendono liquori, rapimenti di bambini cristiani… C’era grande paura, soprattutto perché la minaccia gradatamente s’è fatta più politica: verso Natale si sono verificati i primi attentati a Karada, che è il quartiere cristiano di Baghdad. Da lì ha cominciato a diffondersi la paura che potessero essere messi a segno attacchi diretti come quelli di domenica. Questi attentati sono il segnale che un’altra linea rossa è stata passata: da questo momento in poi anche le autorità ecclesiastiche sono a rischio. Da questo momento in poi sia il nunzio apostolico che diversi vescovi sono veri e propri obiettivi sensibili». Monsignor Sako, uno dei diretti interessati, conferma: «Io penso che adesso cominceranno ad attaccare le persone, non soltanto gli edifici cristiani. Io ed altri ci sentiamo personalmente in pericolo». Gli domandiamo: «Ha ricevuto minacce esplicite?». Risponde: «Non io, ma ci sono vescovi e sacerdoti che hanno ricevuto minacce personali». «Sanno da parte di chi?». «No, sono minacce anonime». Insomma, i cristiani sono vittime, ma non di fondamentalisti irakeni, e soprattutto come pedine di un grande risiko: «Gli sciiti irakeni – dice Cervellera – vogliono un governo laico perché sanno benissimo che non è possibile creare modernità e sviluppo con un governo islamico. A chi dà fastidio tutto ciò? All’Iran, perché il governo degli ayatollah di Teheran vorrebbe per il vicino Irak un regime islamico simile al proprio; all’Arabia Saudita, perché un governo laico che benedica la convivenza tra diverse religioni rischierebbe di mettere in crisi l’integralismo di Riyadh; e dà fastidio un po’ anche alla Siria, perché alle dittature non fa comodo avere accanto governi democratici».

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