Per certi giudici la lapidazione non è un reato. Esilarante bestiario della giustizia italiana

"Quando il diritto va a rovescio" è il titolo del libro di Antonello e Marco Martinez: rassegna semiseria sui codicilli e le sentenze più comiche del nostro paese

C’è almeno un settore in cui l’Italia vanta un indiscusso primato che niente e nessuno riesce a mettere in crisi: il numero delle leggi e dei cavilli burocratici. A norme noi li seppelliamo tutti: il corpus giuridico italiano raggruppa ad oggi 200 mila disposizioni. Quello francese ne ha solo 7.000, il tedesco 5.500, la Gran Bretagna è fanalino di coda con appena 3mila norme. Ma ciò che impressiona di più è il contenuto delle suddette leggi, tanto che forse sarebbe meglio seguire il consiglio dello statista prussiano Otto von Bismarck, che di burocrazia se ne intendeva: «Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte».
Gli avvocati Antonello Martinez, fondatore dello Studio Martinez & Novebaci di Milano e Consigliere giuridico parlamentare (ma anche presidente dell’Associazione italiana degli avvocati d’impresa) e il fratello Marco, del foro di Oristano, il consiglio di Bismark lo hanno riportato ad incipit del loro libro, ma non lo hanno seguito: basta dare un’occhiata al titolo per capirlo, Quando il diritto va a rovescio. Riflessioni semiserie sull’involontaria comicità della legge (Sperling&Kupfer, in libreria dal 22 gennaio). Si tratta infatti di un prezioso bestiario, senza precedenti, tanto dei codicilli che della giurisprudenza nostrane.

IL DNA PER LA PUPU DEL CANE. La prima ad esser passata in rassegna è “l’idiozia del legislatore”. Qualche assaggio. Per legge, pure nel caso di morte, al cittadino italiano spetta pagare balzelli, dato che il decesso deve essere obbligatoriamente certificato da una Asl, al costo di 35 euro più bollettino postale. «Chi abbia deciso di trovare l’eterno riposo sottoforma di ceneri – scrivono i Martinez – lascia ai parenti un debito di circa 300 euro, tra imposta di bollo, provvedimento di autorizzazione e domanda di dispersione delle ceneri (e relativo provvedimento di autorizzazione)».
I proprietari italici di animali domestici sanno che devono prestare attenzione a raccogliere la pupù del loro cane, pena salata multa comunale: ma è interessante scoprire che la regione Toscana ha aumentato la pena, per dare al cittadino la possibilità di difendersi. Infatti, chi volesse dimostrare che lo sterco non appartiene al proprio cane, può chiedere un esame del Dna: la Regione per legge ha stabilito pure un tarifarrio dell’esame dello sterco, con analisi del dna a partire da 51 euro, Iva esclusa. Consoliamoci, siamo comunque in buona compagnia. Nel libro è citata una rassegna delle più assurde norme internazionali. Apprendiamo così che a San Francisco «si può girare con un elefante, purché al guinzaglio» e che alle Hawaii «è vietato infilare monetine nelle orecchie altrui».

IL RUTTO E LA CONDANNA. La palma del bestiario più esilarante spetta tuttavia alla giurisprudenza, ovvero alle decisioni assunte dai giudici della corte di Cassazione, che in Italia acquisiscono valore di leggi. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ad esempio è stato condannato un marito che, in crisi con la moglie, le ha rinfacciato il passato turbolento, ricordandole che l’aveva salvata dalla strada, dove la coniuge esercitava il più antico mestiere del mondo. Nella foga l’uomo aveva usato il termine riassuntivo: «Sei una…». La Cassazione lo ha condannato, e nelle motivazioni ha fatto presente che lo avrebbe assolto se invece il marito l’avesse apostrofata con un bel: “Peripatetica!”.
Un datore di lavoro è stato invece condannato per aver licenziato un dipendente assenteista, pur avendo dimostrato, con una ripresa video di più giorni, che quest’ultimo timbrava il cartellino e poi usciva dal garage dell’azienda, per rientrarvi dopo molte ore. Per la Cassazione le prove erano nulle, perché le telecamere «privano di ogni forma di riservatezza» il lavoratore.
Assolti invece quei padroni di casa che, dopo diversi mesi di morosità dei loro affittuari, erano andati sotto casa degli inquilini e li avevano presi a pietrate: per i supremi giudici la lapidazione in questo caso non era reato.
La Cassazione ha condannato un contadino «per aver offeso il vicino di casa, in quanto sfinito dai potenti e terribili rutti che lo stesso emetteva in modo quasi animalesco a qualsiasi ora del giorno». L’episodio scatenante la denuncia era stata un pranzo tra amici organizzato dal contadino nella veranda di casa, quando una serie impressionante di rutti aveva investito i presenti, lasciandoli basiti. Il contadino allora aveva urlato al vicino «Sei un maiale!». Scrivono i Martinez: «Il ruttatore, persona evidentemente sensibile e raffinata, risentito dall’accostamento della sua persona al suino, ha denunciato il contadino. Il quale appunto si è visto confermata in via definitiva la condanna».

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