Qual è l’unico giornale italiano intercettato dai pm per aver pubblicato notizie riservate? Panorama

Il direttore di Panorama Giorgio Mulè racconta l'incredibile vicenda che lo ha portato, insieme ad alcuni colleghi, ad essere indagato per uno scoop di due anni fa

Si può mettere un settimanale sotto intercettazione telefonica per uno scoop? Si può farlo contestando un reato evidentemente inesistente al fine di tendere una trappola agli intercettati e carpire le loro confidenze? Non è tremendamente ragionevole temere che migliaia di conversazioni private possano presto finire in mano a giornalisti pronti a pubblicarle? Oggi il direttore di Panorama Giorgio Mulé racconta in un editoriale pubblicato all’interno del settimanale (e nel Foglio) l’incredibile storia di cui è protagonista, insieme ad alcuni colleghi della testata edita da Mondadori, e che suscita questi e molti altri interrogativi. Secondo il direttore, la vicenda rende evidente che «la riforma della giustizia non è un pericoloso argomento usato dall’insurrezionalista Silvio Berlusconi per sistemare i suoi processi ma una necessità ineludibile per questo paese».

LO SCOOP SU LAVITOLA. Tutto, racconta Mulè, comincia due anni fa, quando, grazie al lavoro di un cronista di Panorama, il settimanale rivela che la procura di Napoli ha concluso un’inchiesta nei confronti di Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini per una presunta estorsione ai danni dell’allora premier Silvio Berlusconi. «Si trattava di una notizia riservata – scrive Mulè – esattamente come altre centinaia che vengono pubblicate da qualsiasi organo di informazione». Del resto, insiste il direttore, il lavoro del giornalista è proprio quello di violare segreti e scoprire verità che ritiene interessanti per i propri lettori. Ma torniamo ai fatti. Pochi giorni dopo la pubblicazione dello scoop di Panorama, il gip emette ordini d’arresto per Lavitola e Tarantini, ma il primo si rende latitante. Pochi giorni dopo il latitante Lavitola, collegato da una località sconosciuta, si fa intervistare da Enrico Mentana al quale («con il contributo speciale del “procuratore Marco Travaglio”» nota sarcastico Mulè), racconta la propria versione dei fatti.

L’INCHIESTA SU PANORAMA. In quegli stessi giorni la procura di Napoli avvia un’indagine a carico del giornalista di Panorama e che da almeno un anno coinvolge anche Mulè, realizzata da decine di poliziotti e coordinata da ben quattro magistrati. I primi di luglio al direttore del settimanale viene notificato un invito a comparire nel quale gli si contesta il reato di corruzione: avrebbe pagato qualcuno per ottenere lo scoop su Lavitola. «Quell’invito a comparire nei miei confronti – scrive Mulè – che contempla un’ipotesi di reato folle somiglia a un’esca». Infatti è lo stesso giudice per le indagini preliminari a scrivere, nel provvedimento datato 22 giugno, che non ci sono elementi per ravvisare l’ipotesi di corruzione. Eppure la procura emette comunque l’invito a comparire. «E sapete il perché di tanta urgenza?», scrive Mulè. «Perché i miei telefoni erano sotto controllo dal 20 giugno».

«UN’OPERAZIONE DI SPIONAGGIO». Le utenze “controllate” dalla procura di Napoli sono 24 e comprendono anche vicedirettori e giornalisti di Panorama. «Si è trattato – scrive Mulè – di una gigantesca operazione di spionaggio nei confronti del vertice di Panorama, che è stato intercettato per almeno 15 giorni. Numerosi agenti di polizia hanno trascorso il loro tempo ad ascoltare e trascrivere migliaia di conversazioni fatte o ricevute da giornalisti non indagati come il mio vice e il capo della redazione di Roma. Anche loro raggiunti da un provvedimento-esca mentre già i loro telefoni erano sotto controllo: esche costituite da convocazioni della Procura di Napoli in veste di testimoni tra il 25 e il 28 giugno». In pratica: dopo due anni dai fatti vengono convocati giornalisti per essere interrogati, ma è più che altro una scusa per origliare al telefono se dicono qualcosa che può interessare l’indagine dei magistrati. «Cari lettori questo non è più uno stato di diritto: è, da tempo, uno stato di polizia, come invano ripete il prigioniero politico Silvio Berlusconi»

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