P4, nuove sconfessioni alla tesi dei pm napoletani. «Congetture»

Il Riesame smentisce le accuse del pm Woodcock ad un carabiniere: per i giudici «non superano la soglia della congettura». Intanto, nel processo ad Alfonso Papa emergono le pressioni dell'accusa sui testimoni. Il deputato a tempi.it: «È colpa dello squilibrio di poteri nella fase preliminare»

Ieri sono state depositate nuove motivazioni dal tribunale del riesame sulla vicenda P4: questa volta il tribunale (che in passato aveva già demolito alcune parti dell’inchiesta, relativamente al deputato Pdl Alfonso Papa) si è espresso sulla vicenda del maresciallo del Ros Enrico La Monica, dichiarato latitante dopo l’ordinanza d’arresto spiccata dalla procura e dal gip di Napoli il 13 giugno 2011.

Per il tribunale del riesame, però, sarebbe stato ingiusto l’arresto di La Monica, che già dal febbraio 2011 si trovava in Africa. Per il riesame, il carabiniere era assente dal servizio per un giusto motivo sanitario, date alcune crisi depressive di cui aveva sofferto: è questa la prima sconfessione alla tesi accusatoria del pm John Woodcock, secondo cui il militare non si era presentato all’autorità militare dopo un periodo di malattia «senza far pervenire comunicazione e comunque senza giusto motivo».

Per il riesame non ci sono nemmeno le prove, sempre contrariamente all’accusa del pm, che La Monica avesse ottenuto dei certificati medici falsi per la sua lunga permanenza in Africa, dove vivono la moglie e i figli: l’ipotesi sarebbe solo una congettura accusatoria. Dal 13 giugno 2011 La Monica è stato sospeso dal servizio (sempre per l’ordine di carcerazione preventiva emesso dalla procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta P4). Cassazione e poi riesame hanno demolito anche le accuse in questo senso. Non c’è per il riesame quello «stabile apparato organizzativo e indipendente» che la procura ipotizzava fosse costituito da La Monica con il deputato Pdl (ed ex magistrato) Alfonso Papa e non ci sarebbe quindi l’associazione per delinquere di cui tanto si è letto sui giornali. Anche l’accusa di concussione a La Monica per aver fatto pressione su un imprenditore socio di Luigi Bisignani, Giuseppe De Martino, perché non denunciasse Trenitalia per presunte gare truccate: per il riesame queste tesi dei pm «non superano la soglia della congettura».

PRESSIONI DEI PM. Tutto ciò si somma alle bocciature della tesi accusatorie raccolte in relazione alla vicenda di Alfonso Papa. Con l’ordinanza dello scorso 3 agosto, il riesame ha fatto cadere anche nei confronti di Papa le accuse di associazione per delinquere e di concussione sul De Martino, proprio come oggi avviene per La Monica.

Nelle motivazioni depositate ieri, il riesame ricostruisce bene ciò che è accaduto dietro le quinte delle accuse. De Martino è stato convocato più volte dai pm e spinto a “ricordare” dati che dovrebbero poi riguardare la presunta concussione, dato che nelle prime occasioni l’uomo non faceva cenno né a Papa né a La Monica, che ai pm ne parla per la prima volta solo dopo l’arresto di Papa, e che per di più, in un secondo tempo, ha sconfessato le sue accuse. Il riesame esprime ora contrarietà «In ordine alla genuità della ricostruzione di De Martino, palesemente sollecitato a ricordare condotte induttive degli indagati, alle quali l’imprenditore non aveva mai fatto cenno in precedenza».

D’altra parte, un fatto analogo è già emerso in passato con il teste Lorenzo Borgogni, ex responsabile delle relazioni istituzionali di Finmeccanica (altra inchiesta portata avanti da Woodcock). Borgogni è stato interrogato due volte dai pm napoletani. Una prima volta il manager ha smentito ai pm che Papa gli abbia dato notizie riservate o fatto pressioni. Nella seconda occasione (intanto è già scoppiata l’inchiesta che coinvolge direttamente lo stesso manager Finmeccanica), nella primavera 2011, Borgogni ha dichiarato al contrario di aver subìto pressioni da Papa e per la procura è divenuto una delle vittime della P4.

Borgogni lo scorso gennaio è stato ascoltato come testimone anche al processo ad Alfonso Papa che si tiene a Napoli: e in aula il manager ha ritrattato pubblicamente le accuse a Papa. Quando i pm gli hanno ricordato le passate dichiarazioni, ha replicato che lui quelle cose non le aveva mai dette: le avevano dette i magistrati. Una situazione analoga si è verificata in aula anche con un’altra testimone.

Tempi.it ha raggiunto telefonicamente Alfonso Papa, per commentare con lui gli sviluppi della vicenda. «Mentre ero ancora agli arresti – racconta il parlamentare – , il 7 novembre 2011, la Cassazione per la prima volta prese visione di tutti gli atti dell’inchiesta, e annullò tutta la mia ordinanza di custodia cautelare, rinviando gli atti al tribunale di Napoli per il riesame. Per la Cassazione non c’erano i pressupposti del mio arresto. Così come oggi per La Monica emerge che non c’è stata affatto latitanza e non c’erano pressupposti per arrestarlo».

Nelle motivazioni del riesame sul caso di La Monica si legge che tutto si è basato sulla «congettura». È possibile che si emettano ordinanze di custodia cautelare in base a mere ipotesi?
Questo caso ripropone il grande problema della carcerazione preventiva in Italia, che riguarda il 43 per cento della popolazione del carcere. È per questo che ho presentato una proposta di legge per ridurre la carcerazione preventiva, che è un abuso. Ho conosciuto un altro caso, nel corso delle mie visite alle carceri italiane, quello dell’ex assessore lombardo Antonio Simone che ho incontrato personalmente. Simone da mesi fa accuse molto gravi, dice di essere in carcere perché lo vogliono spingere a parlare e a muovere accuse verso altri. È quello che è accaduto anche a me, e che accade a migliaia di altre persone senza notorietà.

Che spiegazione si dà, nel caso dell’inchiesta sulla P4, di queste numerose congetture accusatorie, e delle pressioni emerse nei confronti di alcuni testimoni?
Ho denunciato in varie sedi questo accanimento nei miei confronti, che nasce da risentimenti dei pm. Ma per non aggiungere congetture a congetture confido nella giustizia, so che il tempo ci dirà come stanno le cose veramente. Il mio processo è in pieno svolgimento, partecipo a tutte le udienze: confido che si possa concludere nei tempi più brevi possibili.

La sua vicenda non è l’unica in Italia, in cui durante il processo in aula emergono fatti completamente diversi da quelli ipotizzati nella ricostruzione accusatoria delle indagini preliminari: presunte “prove schiaccianti” a processo si riducono a congetture. Com’è possibile secondo lei che avvenga questo?
In Italia purtroppo nella fase delle indagini esiste un potere eccessivo del pm e un grande squilibrio sia dei poteri di controllo del Gip sugli atti del pm che dei diritti della difesa e uno dei risvolti principali di questo squilibrio è l’uso della carcerazione preventiva che lede grandemente il diritto di difesa. Il Gip oggi esercita solo un controllo formale degli atti proposti dal pm: anche il Gip di fatto non ha il potere di avere una visione complessiva dei fatti, ma controlla solo le carte che il pm ritiene di trasmettergli, carte sulle quali non c’è alcun controllo. Per questo nella mia proposta di legge ho proposto che il Gip partecipi sempre agli interrogatori del pubblico ministero. Sono molto dispiaciuto perché la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno evidentemente è alle prese con altro e non ha alcun interesse a far camminare la proposta di legge, che pure è stata firmata da 200 parlamentari, bipartisan: speriamo che a settembre riprenda l’iter.

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