Ora che l’Europeo è finito, diciamolo: la nazionale dei brutti, sporchi e cattivi siamo noi

In barba ai giacobini che invocavano la selezione degli onesti, Prandelli ci ha regalato il capolavoro di un’Italia con la nostra faccia. Un po’ viziosa, un po’ perfettina. Un po’ corrotta, un po’ perbenista

Questo è il romanzo di una nazionale per tutti, di una nazionale di tutti, di una nazionale di bravi ragazzi, ma, nell’immaginario di molti moralisti in SPE (servizio permanente effettivo), di una nazionale di brutti, sporchi e cattivi, di figli del dio minore del football e adepti del lato oscuro della forza. Ahinoi, questo romanzo si è chiuso con un unhappy end nella notte di Kiev, spazzata da un vento fresco che non abbiamo ritrovato in Italia. Troppo forte la Spagna costruita sui due grandi blocchi (Barcellona-Real Madrid) mentre noi paghiamo l’internazionalismo dell’Inter (oh, non è questione di “colpa”, un club privato fa giustamente quello che vuole, parliamo di fatti, non di responsabilità) che ha dominato per cinque anni senza italiani o quasi. Ci siamo ripresi quando è riemersa dal nulla la Juventus, con il suo “blocco”. Ma questa è un’altra storia.

Comunque sia andata, per me, per noi cinici e bari, anarco-individualisti, refrattari ai regimi moralisti e polizieschi, è stata la vittoria di un gruppo di emarginati, di appestati (almeno quando hanno lasciato il centro tecnico di Coverciano invaso da camionette della Finanza o di chi per essa), di maledetti da baraccopoli come quelli descritti dal film omonimo di Ettore Scola (1976). Il peggiore di tutti, naturalmente, era ed è Gigi Buffon-Giacinto Mazzatella, descritto come un malandrino alla vigilia dell’Europeo, mostro sbattuto in prima pagina. È stata una nazionale che è andata al di là di quello che pensavamo anche se non ha avuto la forza di sbattere in faccia un successo inaudito a giornalisti con l’amore viscerale per le manette per cui questa nazionale doveva essere ricevuta a Rebibbia e non al Quirinale, che sono arrivati addirittura a tifare contro, come se la vittoria avesse portato l’amnistia, l’indulto o il colpo di spugna (ma poi da cosa? Da chi? Non si capiscono ancora quali siano le colpe); a pm (o ex pm) che non riescono a non staccarsi da un protagonismo pernicioso che si sono ri-presentati, dopo lunghi momenti d’oblio, a pontificare sui media, impersonificazioni moderne di antichi menagramo, a pochi giorni dalla finale parlando di inchieste vecchie come il cucco ma da tenere vive: indagini forever, immagini fisse sui giornali; a comici con la vocazione da tribuni della plebe che non dicono neanche cose sbagliate (quando sostengono che la Spagna ha costruito il suo successo sulle tasse più basse d’Europa per i club di calcio e su un indebitamento mostruoso che ora verrà colmato anche con i nostri soldi), ma che mischiano partite di calcio con problemi diversi, facendo di tutte le erbe un fascio.

Ecco, a proposito di questo, la nazionale di Cesare Prandelli è stata quella che non ha separato il grano dalla zizzania, l’erba buona (ma poi secondo chi?) dall’erba cattiva (e anche qui: secondo chi?). Un noto giornalista robespierriano, che sul pc c’ha la ghigliottina incorporata e come optional perfino un gruppetto di tricoteuses, l’ha definita la nazionale «espressione delle scommesse clandestine». Beh, veramente a tutt’oggi, tra i 23 convocati, c’è solo Leonardo Bonucci con un avviso di garanzia per il fatto in questione. Però basta per fare di questo gruppo l’espressione di «un mondo marcio e corrotto». Quanta banalità. Poi ha tuonato: vorrei sapere che cosa sono quel milione e mezzo versati da Buffon a un tabaccaio di Parma! Bravo. Qui sono d’accordo, vorrei saperlo anch’io, ma chi ce lo deve dire, se c’è qualcosa di illegale? Magari magistrati e investigatori che hanno tirato fuori la faccenda. È passato più di un mese, da quando il capitano Gigi Buffon è stato svillaneggiato. Sono partite verifiche, sono state effettuate perquisizioni. Che cosa hanno trovato? Non lo sappiamo, però una cosa la sappiamo e viene dall’organo di controllo dei Monopoli di Stato. Nella famosa tabaccheria, dove il flusso di denaro sembrava sospetto, le vincite sono assolutamente nella norma, anzi, leggermente inferiori (77 per cento) alla media nazionale (81 per cento).
«Nessuna vittoria all’Europeo può cancellare lo scandalo». Madonna, con questi non servono tutti gli strumenti e le cantilene anti-malocchio di Pappagone.

Quella perversa voglia di negativo
C’è una voglia perversa, nell’Italia degli ultimi anni, esiste un desiderio di vedere sempre le cose in modo negativo. C’è voglia di sfascio, in questo paese che un po’ ci è e un po’ ci marcia. Già, perché molti, con la difesa dello Stato di polizia, del grande fratello che ascolta le nostre vite, i nostri respiri, i nostri peccati, più o meno grandi, più o meno reati e li mostra a tutti, con i brogliacci distribuiti come antiche veline, con il vedere sempre tutto sbagliato e tutto da rifare (ma mai che tentino di rifarlo loro, loro solo distruggono), con il predicare sempre le regole come definizione assoluta del vivere; ecco, tutti questi, ci campano pure, ci mantengono delle famiglie, forse anche delle fidanzate unofficial perché anche loro, segaligni, magri da far orrore, monaci guerrieri, non hanno solo la lancia in resta, ma anche altro.

C’è questa voglia perversa e utilitarista, però questa volta una cosa bisogna riconoscerla. Questa nazionale li ha spiazzati, perché è veramente lo specchio del paese, dell’Italia, della nostra cultura nazionale, della nostra way of life.

La nazionale dei brutti, sporchi e cattivi siamo noi. Questa nazionale ci rappresenta perfettamente, forse nessuna nazionale ci ha mai rappresentato come questa. Nemmeno quella del 1982, che pure fece unire il paese, lo costrinse a considerarsi una cosa sola, come non è avvenuto neanche con le posticce manifestazioni per i 150 anni dell’Unità. Invece i moralisti in servizio permanente effettivo vorrebbero, oltre alla nazione, anche la nazionale degli onesti, oltre a decidere chi sta dentro e chi sta fuori (dalle galere), oltre a giudicare chi può fare l’onorevole e chi no, chi può governare e chi no (tutto questo a loro insindacabile giudizio, degli elettori, vil razza dannata inferiore, non si curano), oltre ad autoproclamarsi detentori delle loro verità da salotto (il loro), da terrazza o da osteria, vorrebbero fare le convocazioni in base ai sospetti, agli avvisi di garanzia, agli assegni, alle loro paturnie di giudici inappellabili.

E invece, per fortuna, le convocazioni le ha fatte Cesare Prandelli da Orzinuovi, e ha messo insieme un gruppo che ci sintetizza perfettamente. Cesare è una persona fantastica, seria ma senza essere pesante, sobria ma senza risultare ingessata. Ha una grande umanità, è capace di accoglienza. Qualcuno lo definisce “democristiano”. Pensa di insultarlo, in questo modo, e invece gli fa un complimento perché la sua è proprio una nazionale democristiana, con tanti piccoli compromessi, qualche concessione qua, qualche irrigidimento là, ma che, alla fine, è riuscita nel boom calcistico di questo Europeo partendo dalle macerie. All’Italia degli onesti (o degli “onestoni” come la chiama qualcuno) non ha contrapposto l’Italia dei disonesti, come la chiama qualcuno, ma l’Italia vera, la nostra Italia del 2012, dove bisogna accettare tutti, con pregi e difetti. E se vogliamo salvarci dobbiamo farlo così, con i morali e gli immorali, con santi e peccatori.

Bravi ragazzi e bad boys
C’è un grande portiere (Gigi Buffon) con qualche vizio, come tutti noi. E chi non ne ha? Io, che tra breve mi siederò a una lauta e ricca tavola, dovrei essere il primo a tacere. A lui piace il gioco e magari ci butta tanti soldi, ma tanti, per esempio, li dà anche in beneficenza ma né lui ci tiene a sbandierarlo, né le buone notizie, da noi, valgono come le cattive. C’è un ragazzo della cantera della Juventus (Claudio Marchisio) che potrebbe andare bene al partito degli onesti perché è serio, si è sposato giovane, non dà segnali di squilibrio, è disposto al sacrificio e quando parla non dice mai cose avventate. C’è un difensore rientrato dalla Germania nel gennaio del 2011 come una sorta di emigrante che torna a casa dopo aver fatto fortuna. Solo che lui (Andrea Barzagli) la fortuna è venuto a riconquistarsela qui, alla Juventus, dove ha giocato un campionato straordinario. Ecco, anche lui potrebbe andare bene. C’è il suo collega di reparto che invece la banda dei moralisti non avrebbe voluto perché risulta indagato per scommesse dalla procura di Cremona. Vediamo come va a finire, ma questo ragazzo di 25 anni (Leonardo Bonucci) che ha pianto disperato la notte della derrota con la Spagna, non ci pare il tipo che si mette a manipolare partite. Comunque c’è anche lui, nel gruppo dei brutti, sporchi e cattivi. Al partito degli onesti piacerà di sicuro il regista silenzioso (Andrea Pirlo), quello che parla poco ma ha grandi idee, nel calcio e nella vita, che fa viaggiare il pallone e la sua vita in cui non si conoscono né vizi né virtù. Perfetto nel doppio ruolo.

Ai moralisti in servizio permanente effettivo non piaceranno per nulla i due bad boys dell’attacco. Uno viene da Bari Vecchia (Antonio Cassano), è facile alla battuta greve, all’insulto pesante (specialmente ai giornalisti). Ha rischiato la collottola per un problema cardiaco, gli piace mangiare (ahi, che dolor, lo capisco), gli piaceva l’eccesso, ma adesso si sta dominando. È l’emblema del politicamente scorretto, non chiamerà mai un omosessuale gay, ma con tutti i termini più dispregiativi, come ha fatto. Poi c’è un attaccante palermitano di nascita, cresciuto a Brescia e di colore nero (Mario Balotelli). Lui potrebbe andare bene, perché è di colore e può servire a placare una certa idea di Italia multietnica che tira molto, così, a livello di parole in libertà, anche se quelli che ne parlano spesso non sanno neanche di che cosa si tratti. Piace perché se lo insultano ci si può riempire la bocca con il “razzismo” e tirare qualche bordata qua e là, spesso a casaccio. Però piace di meno per i suoi eccessi, le sue pose da gladiatore, per i suoi difetti da ragazzo cresciuto bene e pieno di soldi, per questo suo essere una specie di lumbard con la pelle nera. Per le auto sfasciate, per le facce, per gli insulti, per i palloni persi malamente per una sorta di spleen senza senso che lo avvolge in talune circostanze. Non piace per le sue fidanzate, gratis o a pagamento, per le sue creste da gallo colorate in tutti i modi. Perché, lo vogliamo dire, è nero ma non è solo il “povero negro” che devi difendere dalla cattiveria e dal razzismo e che puoi adottare, fagocitare, condizionare. Un negro per tutte le stagioni. Eh no, Mario non ha vissuto in una baraccopoli. Non piace perché non canta nel coro dell’antirazzismo militante, ma si fa gli affari suoi e disprezza chi lo insulta ma anche i difensori d’ufficio improvvisati. Poi c’è un terzino biondo (Federico Balzaretti) con le meche, fidanzato di un’étoile. Poi c’è un centrocampista romano pieno di tatuaggi compagno di vita di un’attrice. Potrebbero andar bene?

Col moralismo si perde
Abbiamo vinto per le nostre diversità, per queste diversità. Abbiamo vinto perché questi ragazzi hanno scritto il romanzo di un’Italia che sa soffrire e peccare, divertirsi e soffrire, vincere e perdere. Un’Italia dove si affaccia la speranza e pace se avviene su un campo di calcio con degli «eroi in mutande», come li ha chiamati il Robespierre della stampa italiana. Non sono eroi, non sono santi, forse solo navigatori come tutti noi. Stanno a galla, come noi. Sono l’Italia vera che solo con tutti, maturi e immaturi, santi e malandrini, può arrivare in finale. Siamo noi, fotografia di un’Italia dove si sta tutti insieme, dove si sta tutti sulla stessa barca e dove si usano tutte le forze a disposizione per risalire la china. Pensare a una nazionale dettata dai moralismi è pensare a una nazionale perdente. Se l’Italia di Prandelli è arrivata in finale lo deve al suo essere multiculturale e multicaratteriale. Ma non multimoralista. È l’Italia di noi, brutti sporchi e cattivi, che non sopportiamo quelli con il birignao, quelli con la penna rossa, quelli che vorrebbero che fossimo come gli svizzeri o i tedeschi. Non lo saremo mai. Siamo diversi, siamo l’Italia di Buffon e Pirlo, Marchisio e Balotelli, Barzagli e Cassano. Siamo l’Italia che per arrivare ha imbarcato tutti, anche i più discussi. Ha fatto male con la Spagna? No, ha fatto bene. Riprovateci ragazzi e non curatevi di loro. Il calcio è bello perché non è mai quello che pensi. Quindi forza Azzurri e alla prossima.
E come diceva uno striscione nella notte del successo contro la Germania: “Aho, Merkel, hai visto che il rigore non serve a un cazzo?”.

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