L’occasione (negoziale) persa dall’Unione Europea

Anziché inviare armi, la Ue avrebbe dovuto offrirsi come mediatrice. Un ruolo che ora potrebbero assumere la Cina, Israele o, addirittura, gli Usa

La decisione della Ue di finanziare invii di armi letali alle forze armate dell’Ucraina invasa dalla Russia fa venire in mente una frase attribuita ad Anwar el Sadat, il presidente egiziano che firmò la pace separata di Camp David, ma più probabilmente riconducibile a qualche commentatore delle guerre fra arabi e israeliani: «Gli arabi sono decisi a combattere Israele fino all’ultimo egiziano».

Nel nostro caso sono gli europei che appaiono decisi a combattere Putin – ma di fatto la Russia – fino all’ultimo ucraino. Al riparo dell’ombrello Nato – Putin non può attaccare i paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica che forniranno gli armamenti a Kiev, perché in tal caso scatterebbe l’articolo 5 del Trattato e la Russia si troverebbe in guerra coi 30 paesi che fanno parte della Nato, e d’altra parte nessuno può seriamente credere che il presidente russo scateni una guerra nucleare per rappresaglia a un po’ di mitragliatrici e missili terra-aria che non cambieranno l’esito del conflitto – la Ue conduce la sua operazione di “regime change” a Mosca per interposti patrioti ucraini.

Le certezze europee

La Ue sembra davvero convinta che una Russia senza Putin cesserebbe di condurre politiche di potenza, e accetterebbe la progressiva annessione al sistema politico-economico-militare occidentale (la Nato è solo un fattore del prodotto complessivo) di tutti i paesi che fecero parte dell’Unione Sovietica. Quello che è successo in Libia dopo l’eliminazione di Gheddafi, in Iraq dopo quella di Saddam Hussein e nei Balcani – depressi, inquieti, divisi e tuttora sul punto di esplodere – dopo la cattura di Slobodan Milosevic sembra non aver insegnato che le grandi crisi geopolitiche non si dissolvono come la nebbia al calore del giorno solo perché il cattivo di turno viene chiuso in gattabuia o in una bara.

L’andamento della globalizzazione – che sta avvantaggiando Cina, India e Russia e indebolendo l’egemonia occidentale – non sembra scalfire le certezze apodittiche dell’establishment europeo.

Sanzioni economiche

In discussione non è la legittimità morale di fornire armi a chi sta difendendo la propria terra aggredita in violazione del diritto internazionale e in ogni caso con un uso della forza sproporzionato rispetto all’oggetto del contendere rappresentato dallo statuto delle cosiddette repubbliche del Donbass, ma la saggezza politica di una mossa del genere e il cristiano attaccamento al sacro rispetto per il valore delle vite umane.

Si può obiettare che le sole sanzioni economico-finanziarie non sono una misura sufficiente a dissuadere il governo russo dalla sua fosca intrapresa; e che chiunque, al di là della Russia, abbia intenzione di aggredire un paese europeo deve vedere nei fatti che pagherà un prezzo in lacrime e sangue.

Finlandizzare l’Ucraina

Fatto sta che mentre l’Europa e i suoi leader assumono una postura guerresca (ma senza imbarcarsi sulla tradotta che conduce al fronte) altri paesi e altri statisti cominciano a fare quello che avrebbe dovuto fare in prima battuta la Ue: la Cina fa sapere che l’Ucraina non deve essere oggetto di contesa, ma diventare un ponte fra Oriente e Occidente, lasciando intendere il ruolo negoziale che è disposta a svolgere; Israele si candida come mediatore per una soluzione della crisi, e il suo primo ministro Bennett diventa l’unico leader occidentale disposto in questo momento a parlare con Putin; in una lettera aperta al Financial Times l’ex ministro degli Esteri britannico Lord Owen e l’ex ambasciatore britannico in Russia sir Anthony Brenton ricordano la proposta di Henry Kissinger risalente al 2014 di “finlandizzare” l’Ucraina e precisano: «Una “finlandizzazione” permanente dell’Ucraina sarebbe irrealistica. Ma dovrebbe essere possibile alla Nato, in stretta associazione con l’Ucraina, avanzare dettagliate proposte per negoziare un nuovo trattato con la Russia che non generi ostilità istituzionale. Esso riguarderebbe: il ritiro verificabile di tutti i missili con capacità nucleare; dettagliate misure di confidence-building militare che limitino le quantità di armi e il loro dispiegamento; e un accordo internazionale sui confini attualmente contestati fra Russia e Ucraina».

Pechino, Gerusalemme, Washington

La prima cosa che la Ue ha fatto è stata stanziare fondi per inviare armi in Ucraina al fine di far pagare cara alla Russia la sua invasione di un paese europeo; mentre invece avrebbe dovuto fare quello che hanno fatto Cina, Israele e Lord Owen, cioè offrirsi come mediatrice della crisi con una posizione molto netta e molto chiara.

Avrebbe dovuto offrirsi come garante della neutralità dell’Ucraina in cambio del rispetto della sua assoluta indipendenza da parte di Mosca; armi negoziali nelle mani della Ue sarebbero stati nei confronti dell’Ucraina il rifiuto dell’accettazione della sua adesione all’Unione Europea se si rifiutava di rinunciare all’ingresso nella Nato, e nei confronti della Russia la fornitura di armi e assistenza militare all’Ucraina se Mosca non accettava la neutralità di Kiev garantita da Bruxelles.

Così non è stato, l’Europa si è chiamata fuori da qualunque ruolo negoziale, e quello che alla fine succederà sarà che una soluzione negoziale – precaria o solida vedremo – si troverà, ma non sarà targata Bruxelles, bensì Pechino, Gerusalemme o addirittura Washington.

Foto Ansa

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