L’edizione di Norma che andrà in scena domenica 21 febbraio al teatro San Carlo di Napoli, avvolta per settimane nel più fitto mistero sulla drammaturgia e sull’allestimento scenico, si svolgerà nel mondo fantastico di immagini televisive e cinematografiche recenti (ad esempio Il Signore degli Anelli o Il Trono di Spade. Ce lo dice il regista Lorenzo Amato, uno dei registi più promettenti della giovane generazione.
Perché? A mio avviso, in molti casi Norma ha finito per diventare un’opera, che, scenicamente, si è cristallizzata. Non credo fosse quello che Vincenzo Bellini e Felice Romani immaginassero nel 1831. All’epoca Norma fu un’opera rivoluzionaria. Ne è un esempio il finale del I atto, anomalo come scrittura per l’assenza del Coro e per la presenza in scena di soli tre personaggi. È il momento in cui il privato irrompe prepotente nel mondo dell’opera: in scena una “famiglia” e il suo disfacimento. Fondamentale è stato quindi recuperare, nei limite del possibile, tutta l’umanità, la verità dei personaggi e delle loro relazioni. Norma si muove su un binario universale e senza tempo, quello della lotta tra la ragion di stato, il potere religioso e il privato che si sovrappongono, prima di tutto nella musica e di pari passo nel libretto; ciò significa lavorare su personaggi molto complessi e su continui corti circuiti. Altrettanto complesso il ruolo de il Coro. Personaggio o insieme di personaggi veri e partecipi che, a volte, però, assume anche quell’identità che era propria di quello greco: ad esempio, nel delicato momento della cabaletta di Norma, quando, davanti a tutti (una situazione scenicamente assai poco credibile), la protagonista evoca e rivive il suo amore per Pollione.
Suggestionato – aggiunge Amato – anche da immagini televisive e cinematografiche recenti, ho chiesto ad Ezio Frigerio e Franca Squarciapino di collocare la vicenda in un contenitore fantastico, da leggenda, senza una connotazione storico/geografica precisa; siamo più verso la mitologia: dei Druidi si sa molto poco, è tutto avvolto nel mistero, e dunque di evitare soprattutto i luoghi comuni, quali la classica dicotomia Romani contro Galli.
Una Norma, quindi, in cui la natura, i boschi, le foreste sono molto presenti? Certo, non solo per riportare la storia in un tempo fantastico, ma anche perché, di quel poco che sappiamo dei Druidi, siamo a conoscenza che avessero il culto degli alberi e che i romani, come manifestazione di prepotenza colonizzatrice avessero l’abitudine di incendiare i loro boschi sacri. Una foresta carica di vita e di misteri che insinuano nei romani superstizioni e paure, e che contribuisce a conferire anche quel clima di misticismo e magia che percepisco fortemente all’ascolto della partitura.
L’attesa per questa nuova produzione di Norma è anche per gli interpreti che scendono in campo: Mariella Devia (che ha superato i 65 ed accetta un ruolo impervio) con accanto a sé due giovani già affermati come Luciano Ganci (Pollione) e Laura Polverelli (Adalgisa), nonché Carlo Colombara (Oroveso) e due Premi Nobel (Ezio Frigerio e Franca Squarciapino) per scene e costumi. E sul podio un direttore come Nello Santi in una delle sue ormai rare direzioni d’orchestra in Italia.