Non si lasci cadere nel vuoto la confessione di Palamara

Nel libro "Il Sistema" l'ex pm dice che molte sentenze sono state «politiche». Tanto basta per sottoporle a revisione

Caro direttore, ho finito di leggere il libro Il Sistema, che contiene l’intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara. Sono letteralmente allibito per il fatto che, a fronte delle parole eversive pronunciate da Palamara e che nessuno ha messo in dubbio, stia già calando il silenzio su tale libro sia da parte dell’opinione pubblica sia da parte di quelle istituzioni che dovrebbero porre immediato rimedio ad una situazione che viola in modo clamoroso la tanto decantata Costituzione, che definisce la distinzione tra i poteri di parlamento, di governo e di magistratura.

Non mi riferisco tanto allo spettacolo indecente descritto da Palamara, che ha messo in luce il gioco di potere tra le correnti nelle quali è divisa la magistratura. Questo spettacolo è simile a quello che investe anche gli altri poteri e, a dire il vero, l’intera società, i cui membri portano tutti in sé quello che il cristianesimo chiama peccato originale. L’indecente “lotta per il potere”, infatti, avviene a tutti i livelli, compreso quello privato (chissà cosa avviene in una società quando deve essere nominato un Ceo). Quindi, gli ipocriti non si scandalizzino troppo per le lotte senza quartiere che avvengono quando la magistratura deve provvedere ad una nomina. Certo, lo spettacolo è molto brutto, ma il vero problema non è questo.

Il vero problema viene già svelato nell’incipit del libro, quando Sallusti cita questa frase di Palamara:

«Sono consapevole di avere contribuito a creare un sistema che per anni ha inciso sul mondo della magistratura e di conseguenza sulle dinamiche politiche e sociali del Paese… Tutti quelli che hanno partecipato con me a tessere questa tela erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo». Il che significa che la parte dirigente e influente della magistratura ha operato con precisi scopi “politici”, violando così la Costituzione, che impone ai magistrati di essere «soggetti soltanto alla legge» (articolo 101) e non ai propri orientamenti politici. Invece, Palamara ha affermato più volte che parte importante della magistratura ha agito per scopi politici, per attaccare soprattutto il centrodestra e anche Matteo Renzi, quando cominciò a dare  fastidio. Molti sono i passaggi del libro che confermano questo andazzo, ritenuto quasi naturale.

Ne faccio alcuni esempi.

«Quello di cui parliamo (cioè i rapporti con alcuni politici, ndr) non è un traffico illecito, tanto meno opaco, ma una questione politica e di interlocuzione tra poteri dello Stato» (pag. 16).

«Capisco che c’è un nuovo blocco in grado di tagliare fuori all’interno della magistratura la sinistra giudiziaria legata al vecchio Pd, quella, per intenderci, che nel campo delle inchieste stava alle calcagna di Renzi» (pag. 18).

«La magistratura segue le stesse logiche della politica, a volte addirittura le anticipa» (pag. 39).

«È l’ammissione che la magistratura ha il dovere, anzi l’obbligo, nella testa di chi è su quelle posizioni, di fare politica per plasmare la società, insieme ad un partito di riferimento – in quel caso il Pci – ma se necessario anche senza o addirittura oltre» e nella stessa pagina, rispondendo ad una domanda sul collateralismo, Palamara risponde: «Esatto, solo che se sei collaterale al Pci-Pds-Pd sei un sincero democratico e un magistrato libero e indipendente; se sei collaterale a Renzi, a Berlusconi o a Salvini, allora sei un traditore dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e devi essere cacciato come un infame» (pag. 58).

«Io ero il protettore del sistema correntizio che a maggioranza era ed è su posizioni politiche e ideologiche di sinistra, in conflitto con la destra» (pag. 67).

«Le cose poi nella realtà sono più complesse, se un magistrato si mette contro la sinistra. Perché il nemico è la “non sinistra”» (pag. 81).

«Non tollereremo un’opposizione blanda al berlusconismo» (pag. 90).

Caro direttore, in una semplice lettera non posso citare tutte le frasi che confermano quanto fin qui esposto. Basti sapere che in un libro di 276 pagine, mediamente ogni 10 pagine vi è almeno una frase di Palamara che conferma che una certa magistratura ha costantemente agito con criteri politici, per colpire alcuni “avversari” che lavoravano nelle istituzioni. Concludo queste citazioni con questa ammissione di Palamara che si trova a pagina 255: «Come presidente dell’Anm prima e consigliere del Csm poi, non ho mai detto una parola contro i colleghi le cui inchieste sono state al centro di clamorose fughe di notizie che hanno pilotato l’attacco giudiziario e mediatico della magistratura a un sistema politico avverso».

Capisci, allora, perché sono stupito che queste devastanti parole stiano cadendo nel vuoto. Ma io penso che qualcosa si possa fare. Provo a spigarmi.

Le parole di Palamara, a quanto so mai smentite, dimostrano che molti Pm hanno dato vita a delle inchieste sulla base di una valutazione strettamente politica. Palamara ha anche dimostrato che in parte della magistratura esiste un clima (un “ambiente”) tale che non è fuori luogo ipotizzare che anche talune sentenze derivate da tali inchieste siano state viziate da criteri “politici” e non giuridici. Dopo la pubblicazione del libro in questione, si può dire che questo è un dato di fatto difficilmente discutibile. Ma allora si può anche ipotizzare che, almeno in alcuni casi, si possa ricorrere a quanto previsto dagli articoli 629 e 630 del codice di procedura penale. Il primo di tali articoli prevede che sia ammessa la revisione delle sentenze di condanna definitive. L’articolo 630 prevede i casi in cui la revisione può essere richiesta e, in particolare, il punto d) di tale articolo dispone che la revisione può essere richiesta «se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». È stato detto e scritto che per «ogni altro fatto» si può pacificamente «considerare la corruzione in atti giudiziari o l’abuso d’ufficio».

Senza, naturalmente, volere generalizzare, appare evidente che se una sentenza è stata determinata dal desiderio di abbattere l’avversario politico e non dalla legge vigente (l’unica a cui il magistrato è assoggettato), ci troviamo di fronte ad un caso palese di abuso, derivante dal fatto che si approfitta di una posizione autorevole per raggiungere, attraverso un uso deviante della legge, obiettivi diversi da quelli connessi con l’atto. Una volta provato, ciò dovrebbe comportare la revisione della sentenza di condanna, perché si tratterebbe di atto comunque illecito. Il problema può essere visto anche a proposito del termine “corruzione”, in quanto il vantaggio derivante da una ingiusta sentenza non si tradurrebbe in aspetti economici, ma nel vantaggio di abbattere un avversario politico con mezzi impropri. Mi rendo conto, naturalmente, della complessità della problematica in questione, ma mi rendo anche conto che “il sistema” descritto così puntualmente da Palamara deve pur avere prodotto qualche ingiusta sentenza di condanna. Se ingiustizia c’è stata, appare ovvio potere ricorrere all’istituto della revisione.

Caro direttore, in diritto tutto si può discutere, anche queste mie considerazioni, naturalmente. E spero che nasca una discussione in proposito. Ma, sempre in diritto, non è possibile lasciare cadere nel vuoto le parole di Palamara. O lo si querela per falso oppure occorre che a tutti i livelli si reagisca con forza e con urgenza. Quanto ti ho scritto costituisce una parziale ma significativa parte del problema, cui mi induce la mia passata professione. Ciascuno ci metta del suo. L’importante è non rimanere fermi.

Peppino Zola

Foto Ansa

Exit mobile version