«Non criminalizziamo le Rsa»

«Una volta che avremo terremotato le Rsa, poi cosa faremo? Quando si riaprirà, con cosa le sostituiremo?». Intervista a Michele Vietti, presidente Aiop

«Il polverone suscitato in questi giorni intorno alle Rsa è frutto di una gigantesca ipocrisia collettiva», ha scritto in un intervento apparso sul Corriere di Torino Michele Vietti, presidente Gruppo Santa Croce e presidente probiviri Aiop (Associazione italiana ospedalità privata). Vietti reagisce a certi toni e a certi titoli apparsi sui quotidiani nazionali in questi giorni e a una certa tendenza, tutta italiana, alla forsennata individuazione del colpevole. 

Vietti, quale sarebbe l’ipocrisia?

È la schizofrenia per cui le Rsa (Residenza sanitaria assistenziale, ndr) sono considerate l’ultimo anello della catena quando le cose vanno bene e il primo, per responsabilità, quando vanno male. Serve un po’ di misura.

Perché dice così?

In questa situazione emergenziale, le Rsa sono diventate un facile bersaglio per rinfocolare polemiche del tutto immotivate. Voglio dire, senza alcun intento polemico, ma solo perché è un dato di fatto, che i primi focolai sono stati gli ospedali, non le Rsa. È bene ricordarlo, come è bene ricordare un altro dato di fatto.

Quale?

Le Rsa non sono ospedali: non ne possiedono né le attrezzature né l’organico. Ospitano persone che mantengono il loro rapporto col medico di base, che possono essere autosufficienti o meno, che non possono essere costrette in camera (salvo ora per l’isolamento) contro la loro volontà. È appunto per questo che non parliamo di «ricoverati» o di «pazienti», ma di «ospiti».

Non sono «ospedali», ma «residenze».

Esatto. Non ci sono camere operatorie o di terapia intensiva e il personale è costituito da infermieri, oss (operatori socio sanitari, ndr) e fisioterapisti. Se le condizioni dell’ospite si aggravano, viene trasferito al Pronto Soccorso più vicino.

Sui giornali è in corso una campagna particolarmente accesa sulle Rsa. Il caso più eclatante è costituito dal Pio Albergo Trivulzio di Milano. Al di là di eventuali responsabilità ed errori che dovranno essere appurati, colpisce che ieri sul Giornale sia stata pubblicata una lettera dei dipendenti che si lamentano della “demonizzazione” cui sono sottoposti ormai da giorni. Scrivono: «Abbiamo fatto ogni cosa necessaria per i nostri pazienti. Qui siamo in guerra e fuori ci fanno la guerra».

Non ci sono eroi solo negli ospedali, ce ne sono anche nelle Rsa, esempi di dedizione e generosità. Criminalizzare così un’intera categoria, che conseguenze avrà? Questo è indice di scarsa lungimiranza. Una volta che avremo terremotato le Rsa, poi cosa faremo? Quando si riaprirà, con cosa le sostituiremo?

Qualche inchiesta è già stata aperta.

Ripeto, al di là di casi specifici su cui non mi pronuncio e senza voler fare il difensore d’ufficio di nessuno, faccio un’osservazione generale: questa tendenza tutta italiana a cercare sempre il colpevole è un cliché da cui non riusciamo a liberarci. Ci lamentiamo delle ingerenze giudiziarie, ma poi corriamo subito in procura a denunciare. Esistono organi di vigilanza e autorità amministrative che hanno questo compito: lasciamole lavorare. Se, dopo la verifica, riscontreranno illeciti, si rivolgeranno alla procura. La creazione del “mostro” da sbattere in prima pagina è ingiusta e non conviene a nessuno. 

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