Nasce in Italia un Osservatorio per la libertà religiosa. Intervista a Introvigne

Parla Massimo Introvigne, nominato coordinatore del nuovo Osservatorio nato a Roma. «L’unico modo di risolvere i problemi legati alla libertà religiosa è credere che esista una legge naturale che la ragione può conoscere»

Settimana scorsa è stato insediato e presentato in pubblico il primo Osservatorio della Libertà Religiosa italiano di rilevanza istituzionale, promosso dal ministero degli Affari Esteri (Mae) e da Roma Capitale. In base allo statuto il ministro degli Esteri e il sindaco di Roma nominano quattro membri e un coordinatore. Attualmente ricoprono le cariche in questione il diplomatico Diego Brasioli, ministro plenipotenziario con esperienza presso la Direzione generale affari politici multilaterali e diritti umani del ministero degli Esteri, il diplomatico Roberto Vellano, capo dell’Ufficio per i diritti umani del Mae, Attilio Tamburrini già direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre e Roberto Fontolan direttore di Oasis, rivista internazionale promossa dall’allora Patriarca di Venezia Angelo Scola. Come coordinatore il ministro degli Esteri Giulio Terzi e il sindaco di Roma Gianni Alemanno hanno scelto il sociologo torinese Massimo Introvigne (in foto), da anni attivo sui temi della libertà religiosa e fino allo scorso anno Rappresentante per la lotta al razzismo e alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). A lui abbiamo chiesto di spiegarci le attività dell’Osservatorio e la tematica più generale della libertà religiosa.

Cosa può fare per monitorare e contrastare le violazioni della libertà religiosa nel mondo, l’Osservatorio della libertà religiosa di Roma di cui lei è stato nominato coordinatore? Di quali strumenti dispone l’Osservatorio per attuare il suo mandato? Che tipo di attività privilegerà?
L’Osservatorio è stato istituito dal ministero degli Esteri, in collaborazione con Roma Capitale, in un momento di grave crisi economica. Le sue risorse per il 2012 sono modestissime, mentre per il 2013 si deve attendere l’esito della spending review in corso. Allo stato, dunque, le attività che possiamo mettere in calendario riguardano una serie di conferenze stampa e tavole rotonde a Roma, con cui fare sentire la voce dell’Osservatorio sulle questioni più preoccupanti su scala internazionale, e un paziente lavoro di raccordo con la diplomazia italiana, peraltro già molto attiva su questi dossier, e con la stampa.

Lei ha già al suo attivo una carica simile ricoperta all’Osce, quella di Rappresentante per la lotta al razzismo e alla discriminazione contro i cristiani e membri di altre religioni. Quali sono stati i punti di forza e i punti di debolezza di quell’esperienza?
Anche nell’anno (2011) trascorso all’Osce ho avuto il problema delle scarse risorse economiche, a sostegno di cariche i cui titolari – è bene precisarlo – non percepiscono alcuno stipendio, e questo vale anche per l’Osservatorio italiano. L’Osce tuttavia poteva contare su una vasta struttura di funzionari esperti e competenti assegnati a occuparsi a tempo pieno di queste problematiche. E naturalmente un’organizzazione internazionale può appoggiarsi di volta in volta su diversi paesi. Questo ha permesso iniziative di notevole respiro, come il vertice del 12 settembre 2011 a Roma sui crimini di odio contro i cristiani, molto lodato anche in documenti ufficiali della Santa Sede e che costituisce un precedente ormai ineludibile in cui per la prima volta una conferenza internazionale ha rilevato ufficialmente la presenza della cristianofobia anche in Occidente e in Europa e non solo in Asia e in Africa. Debbo dire che ho potuto contare sul sostegno della presidenza di turno nel 2012, lituana, e su un appoggio particolarmente caloroso della diplomazia italiana e di quella della Santa Sede. Ma anche altri paesi, fra cui la Russia, hanno preso a cuore il problema delle discriminazioni contro i cristiani. Tra i punti di debolezza segnalerei il minore attivismo sui queste vicende, rispetto a qualche anno fa, degli Stati Uniti. E la posizione dell’Irlanda, che nel 2012 ha assunto la presidenza dell’Osce, concentrata sul problema dei preti pedofili e qualche volta, direi, ossessionata da questo problema.

Quali sono i limiti della libertà religiosa? Ci sono culti e credenze che implicano la pratica o l’accettazione di cose come la poligamia, mutilazioni sessuali, l’emarginazione sociale di intere categorie di persone (sistema delle caste), rigide forme di separazione sessuale, ecc. Fin dove va rispettata la libertà di costoro e fin dove no?
Penso che il problema sia impostato da Benedetto XVI in un modo corretto e che anche un non cristiano o un non credente può condividere. L’unico modo di risolvere questi problemi molto complessi è credere che esista una legge naturale che la ragione può conoscere. E la ragione di per sé non è cristiana né buddhista né atea – sui risultati dell’indagine della ragione tutti possono convenire, e fissare regole del gioco comuni. Da questo punto di vista, una volta rimosse, come si sforza di fare Benedetto XVI, le sue false e abusive interpretazioni relativiste, si dimostra molto utile anche nei rapporti internazionali la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II. Questo testo fonda la richiesta della libertà religiosa per i cristiani perseguitati non sul fatto che il cristianesimo sia vero – del che sono convinto, ma di cui avrei qualche difficoltà a persuadere capi di Stato musulmani o buddhisti – ma sui diritti naturali della persona umana, su cui in tesi è possibile trovare un accordo con tutti. Naturalmente le due fondazioni della richiesta di libertà religiosa non si escludono a vicenda. È un po’ come per l’aborto. Si può essere contro l’aborto perché è contrario alla legge di Dio o perché è contrario alla retta ragione. Tutte e due le affermazioni sono vere. Ma sulla prima si troverà il consenso solo di chi crede alla legge di Dio, sulla seconda forse anche di altri. Così, se chiedo libertà per i cristiani in nome della verità del cristianesimo, difficilmente posso ottenere il consenso di chi crede che la vera religione sia un’altra, o che nessuna religione sia vera. Mentre se la chiedo in nome di un diritto inalienabile della persona umana in quanto tale posso aprire un tavolo cui possono sedersi anche non cristiani e non credenti, che in enormi aree del mondo – quasi tutta l’Asia, per esempio – sono in maggioranza. Naturalmente non si tratta di mera tattica, né nel caso del rifiuto dell’aborto né in quello della libertà religiosa. La loro fondazione in termini di diritto naturale è razionalmente vera.

Nelle società moderne continua ad essere molto forte la tendenza a espellere la religione dallo spazio pubblico e a confinarla nel privato, cosa che si traduce nel tentativo di imporre ai credenti comportamenti pubblici omologati all’insegna del secolarismo. Come va difesa la libertà religiosa in un contesto del genere?
Si tratta anzitutto di approfondire la nozione di libertà religiosa. Molti la riducono alla libertà di pregare chiusi nei luoghi di culto. Questa però non è la libertà religiosa ma solo una sua componente, la libertà di culto. La libertà religiosa comprende la libertà di predicare, di convertire, di convertirsi (senza finire processati per apostasia o blasfemia, come avviene in alcuni paesi musulmani), di partecipare alla vita politica, di aprire scuole e ospedali e di gestirli in conformità alle proprie convinzioni religiose. Anche in Occidente ci sono esempi di un riduzionismo che riduce la nozione giuridica di religione al culto. Abbiamo aperto le attività dell’Osservatorio con una conferenza stampa a Roma dell’arcivescovo di Baltimora monsignor William Lori, il principale critico delle norme della riforma sanitaria del presidente Obama che impongono anche ai datori di lavoro religiosi – a meno che la loro attività si riduca, appunto, al culto – di sostenere la contraccezione o l’aborto dei loro dipendenti. La stessa logica – per cui una parrocchia gode di certe protezioni garantite dalla libertà religiosa, ma una scuola cattolica no – la ritrovo nei nipotini di Obama dell’Agenzia delle Entrate, che vorrebbero far pagare l’Imu alle scuole cattoliche in Italia. È una visione arcaica e riduzionista della religione, quasi che il gestire scuole ispirate ai propri valori non facesse parte della missione tipica delle religioni.

@RodolfoCasadei

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