«Mio padre Robert Doisneau, che ha mostrato tutto quello che viveva intorno a lui»

Intervista a Francine Deroudille, figlia dell'artista. «Pensava che, per osservare bene un fatto, bisognasse restare permeabile ad esso, senza avere troppe pretese aprioristiche»

È in corso, presso lo spazio Oberdan di Milano, un’esposizione di oltre 200 fotografie di Robert Doisneau, riconosciuto in tutto il mondo come uno dei più importanti maestri della fotografia. Ne parliamo con la figlia dell’artista, Francine Deroudille, che ha creato un atelier con lo scopo di conservare e ordinare i lavori del padre.
Madame Deroudille, qual è la parte più bella del suo lavoro all’interno dell’atelier Robert Doisneau? Sta trovando delle parti inedite della personalità del Doisneau-fotografo?
È abbastanza difficile rispondere a questa domanda, ma in effetti si trovano ancora degli inediti tra le sue opere. Il nostro lavoro non consiste nel privilegiare una parte piuttosto che un’altra: un’opera è un insieme di più elementi e non la si può comprendere se non si guarda alla totalità di essi. Mio padre è molto conosciuto per un piccolo numero di foto (come il celebre “Bacio dell’Hotel de Ville”, o alcune scene rubate lungo la Senna) ma altre foto stanno diventando sempre più conosciute. Nel nostro atelier si cerca di lavorare a fondo su alcune parti del suo lavoro facendo alcune selezioni, e cercando di entrare nel contesto di ogni singola foto, arrivando a una concezione globale del suo lavoro, che ci siamo accorti essere più completo di quanto potesse sembrare all’inizio.
Nell’esposizione di Milano ci sono molte foto che appartengono a mondi completamente differenti tra loro (le banlieues di Parigi, Les Halles, clochards, attori e altri personaggi appartenenti al mondo della moda e della poesia). Secondo lei, come poteva rappresentare, con lo stesso spirito, queste realtà così differenti e talvolta contraddittorie?
Lei ha completamente ragione, mi fa piacere che dica questa cosa. Lui cerca di mostrare la sua enorme curiosità nell’entrare e nel voler comprendere il mondo intero. Lui pensava che non c’era bisogno di andare troppo lontano o fare viaggi straordinari per vedere questa diversità. Aveva una grande curiosità. Per due anni ha fotografato per Vogue in ambienti straordinari, conoscendo molte personalità celebri appartenenti a un ambiente estremamente favorevole, ma dopo la fine della guerra mondiale voleva far vedere un’altra realtà. Ha fatto, in effetti, il lavoro che fa un giornalista: passava dal fotografare, con semplicità, degli amanti nei giardini pubblici di Parigi fino all’ultimo clochard della città. Si tratta semplicemente della vita degli anni che ha attraversato. Ha mostrato tutto quello che viveva intorno a lui.
In ogni caso, la vita quotidiana resta al cuore dell’opera di Doisneau. Ha detto: «Bisogna osare essere come degli animali; è così raro, in un’epoca piena di intellettuali che sanno tutto e non guardano più niente». Da dove viene il suo attaccamento alla semplicità? 
Credo che questa fosse una cosa essenziale per lui. Il suo modo di lavorare era assolutamente naturale. Pensava che, per osservare bene un fatto, bisognasse restare permeabile ad esso, senza avere troppe pretese culturali o aprioristiche. Il segreto è guardare un’opera con uno sguardo nuovo, sincero e permeabile.
Come il “senso dell’istante” di cui parlava suo padre (e che è assolutamente tangibile nelle sue foto) può convivere col fatto che molte di esse sono il risultato di un lavoro preparatorio di costruzione dello stesso artista? Ad esempio, il celebre “Bacio de l’Hotel de Ville” non è una foto che coglie di sorpresa due amanti casuali: erano due attori. 
“Il bacio de l’Hotel de Ville” era una foto su richiesta, commissionata dalla rivista Life, che aveva donato già in precedenza uno schema su cui basarsi. Mio padre lavorava come reporter fotografico. A suo avviso, un’opera è anche l’attimo che viene rubato ai suoi “lavoratori”, ai suoi complici. Un’opera può anche essere richiesta da una rivista, ma il modo con cui viene fatta è il più libero possibile. Egli voleva assolutamente andare al di là di quello che la rivista gli chiedeva. Questa foto, per prendere un esempio conosciuto pressoché a tutti, era su richiesta: i due erano attori che però si amavano veramente. Essi hanno passato una giornata a camminare per la città, ma senza che fosse presente alcuna posa. Mio padre ha colto l’attimo del bacio per scattare la foto che, nonostante fosse richiesta, rimase in un’atmosfera totalmente naturale. Non si riesce mai a distinguere tra ciò che è vero e ciò che è costruito: si tratta di un mondo ricreato. C’è sempre qualcosa di misterioso: è teatro o realtà? Si cerca di ricreare un mondo che si trova all’interno della propria immaginazione. Lui stesso diceva: «Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere». Non c’è nelle sue foto una realtà oggettiva, ma c’è un mondo che l’artista cerca di ricreare, di dimostrare, una verità che trova nella sua mente e nel suo cuore.
Suo padre ha dichiarato: «A mettermi in moto è sempre stata la luce del mattino, mai il ragionamento. D’altronde che c’era di ragionevole nell’essere innamorato di quello che vedevo?». Nelle sue foto si può trovare la chiave per vedere ogni aspetto della realtà con questa coscienza?
Credo che le sue più belle foto nascano da questo. Si trattava di guardare semplicemente attorno a sé, le piccole scene della vita illuminate dalla luce del mattino. Aveva uno sguardo di un’attività incredibile. Una delle mie amiche mi dice sempre che la cosa che le manca di più di lui è la fiamma del suo sguardo.
Doisneau è sempre stato un narratore della realtà. Anzi, molte volte ha utilizzato le sue opere per mettere al centro della discussione alcune parti della realtà che solitamente restano escluse e dimenticate. A suo avviso, oggi cosa bisognerebbe raccontare e fotografare? Che cosa ha bisogno di vedere l’uomo di oggi?
Questo è molto difficile da dire perché il mondo contemporaneo è molto differente da quello che ha lasciato mio padre al momento della sua morte, nel 1994. Molte cose sono cambiate. Credo però che oggi mio padre avrebbe la stessa attitudine che utilizzava nel suo lavoro, ossia guardare. Guardare proprio dove nessuno sta guardando. Secondo me oggi dovremmo voltarci verso cose meno spettacolari, ma più essenziali.

@giovanniferrar

Robert Doisneau, Paris en liberté
20 febbraio 2013
5 maggio 2013
Orari
martedì e giovedì h 10 – 22;
mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica h 10 – 19.30;
lunedì chiuso
Biglietti
€ 9,00 intero
€ 7,50 ridotto, minori di 18 e maggiori di 65 anni, minori da 6 a 18 anni, studenti fino a 25 anni, gruppi di almeno 15 persone, titolari di apposite convenzioni e coupon
€ 3,50 ridotto speciale scuole
Gratuito per minori di 6 anni, portatori di handicap e accompagnatori, giornalisti e guide turistiche, un accompagnatore per gruppo, due insegnanti accompagnatori per classe
http://www.doisneaumilano.it
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