Mia giovinezza

Per la cronaca è solo un “pluriergastolano nero restituito alla libertà”. Per noi è un caro amico incontrato nel carcere di Voghera, anno 1996, grazie ad un’iniziativa pro-detenuti voluta dal governatore della Lombardia, Roberto Formigoni. Ecco cosa ci scrive, Mario Tuti, della sua “vita nova”

Caro Direttore,
quei “semi di libertà” di cui avevo parlato a te ed ai lettori di Tempi nella scorsa primavera – quando uscii dal carcere in semilibertà dopo più di ventinove anni – hanno cominciato a germinare ed a mettere le prime radici e foglioline…

In liberta’ (e laurea con lode)
E proprio ieri (15 dicembre, ndr) è cominciato forse anche un nuovo periodo della mia vita. Ti ricorderai che nelle nostre chiacchierate nel carcere di Voghera ti avevo spiegato che, pur avendo da tempo completato i corsi di Scienze Forestali e la stessa tesi, ero intenzionato ad “addottorarmi” solo da libero. E ieri infatti sono venuto a Firenze per discutere finalmente la mia vecchia tesi su “L’Immagine e l’Immaginario della Foresta nel Teatro Espressionista Tedesco”, e ti confesso che l’emozione è stata forte, non tanto per la prova accademica (eh, eh, probabilmente i professori erano più impazienti di me di liberarsi dello studente Tuti, e per non darmi pretesti per eventuali ricusazioni mi hanno licenziato con il massimo: 110 e lode, abbraccio accademico e proposta di pubblicazione, godendosi anche la goliardata messa in atto da alcuni miei vecchi amici al momento della proclamazione, con tanto di imposizione della feluca, investitura a “Gran Forestaro di Toscana e Tuscia”, tocco rituale sulla testa e le spalle con un enorme corno di cervo, eh, eh, e avresti dovuto vedere lo stupore e lo sconcerto degli altri laureandi e neolaureati…).

Commosso da un incontro
L’emozione però, come ti dicevo, era nella consapevolezza, nella decisione di cominciare a considerarmi libero.
Una libertà ritrovata grazie anche ad una serie di incontri e circostanze “fortunate”. Come stamani, quando sono tornato in facoltà per ritirare l’attestato della laurea, e nel cortile alcuni ragazzi, allegri e sorridenti, attorno ad un banchetto con biscotti e caraffe mi hanno chiesto se volevo fare colazione per contribuire ad un progetto nelle favelas brasiliane. E mentre sorseggiavo il caffè, leggendo i manifesti sul banchetto ho visto che si trattava di un’iniziativa di Comunione e Liberazione. Gli ho allora detto che ti conoscevo e che qualche volta ho anche scritto su Tempi, mentre loro mi raccontavano di aver tante volte venduto il giornale all’università, e delle difficoltà a essere presenti in una “roccaforte rossa” come la facoltà di agraria… Puoi immaginarti il mio stupore, anche se a dire la verità mi ero accorto che lì ad agraria c’era qualcosa che non andava, e ne avevo parlato anche coi miei amici, commentando che mentre all’università della Tuscia si vedeva della bella gioventù, ragazzi allegri, sorridenti, attivi, pronti allo scherzo sì, ma anche interessati a mille iniziative e pronti ad impegnarsi in progetti, corsi, seminari, in facoltà a Firenze avevo trovato solo gente cupa, chiusa, seriosa, scontenta di tutto e di tutti… E ho detto di questa mia impressione anche ai ragazzi di Cl, accennando poi al mio passato e all’impegno ora coi ragazzi della Comunità Mondo Nuovo, e così siamo stati un bel po’ a chiacchierare, parlando dell’università e dei giovani oggi in confronto a trenta-quaranta anni fa, e alla fine questi ragazzi mi hanno invitato ad andare con loro a recitare l’Angelus e poi in mensa, a pranzare insieme. Credimi, è stato come tornare giovane, tornare ai vecchi tempi dell’università, ma senza più gli errori e le colpe di allora. E poi, nel salutarmi, una di queste ragazze mi ha voluto donare il manifesto per il Natale, augurandomi, con le parole di Pavese, di cominciare non tanto una nuova vita, ma a vivere in un modo nuovo, cominciando a fare quello che di bello e di buono per trenta anni mi è stato precluso… Mi sono davvero commosso.

L’eccellente universita’ della Tuscia
E un altro incontro fortunato è stato quello con l’università della Tuscia a Viterbo. Avevo chiesto di poterla frequentare un giorno alla settimana per aggiornare appunto la mia vecchia tesi, e subito sono stato coinvolto dal clima di amicizia coi professori, gli studenti, i ricercatori… E dall’originalità dei progetti portati avanti da quella facoltà di agraria, come il master sull’Agricoltura Etico-Sociale – cioè sulle attività agricole finalizzate alla cura, alla riabilitazione ed all’inserimento lavorativo di persone con varie forme di disagio: minori a rischio, tossicodipendenti, detenuti, anziani e disabili fisici, psichici e mentali. Un master per il quale è stato previsto anche un impegno sul campo, con lo studio di fattibilità per un’azienda agrituristica con il coinvolgimento di soggetti svantaggiati, per conto della Misericordia di Siena. Praticamente lo stesso progetto, o forse allora solo un sogno, che stavo coltivando anch’io per dare una possibilità di reinserimento sociale e lavorativo alle ragazze che escono dal carcere. Ragazze in genere colpevoli solo di reati minimi, legati alla tossicodipendenza, alla prostituzione, alla clandestinità: più vittime che colpevoli insomma. Vittime delle circostanze, dei loro compagni, della loro stessa condizione femminile… E soggette in carcere ad una durezza inutile e crudele che, nella disperazione dei giorni e delle ore, finisce col rendere vano ogni impegno, personale e delle stesse Istituzioni, perché la pena non sia più e solo strumento di punizione e di esclusione dalla società ma possa portare a quella presa di coscienza da cui dipende ogni speranza di reinserimento e liberazione. Una presa di coscienza dei propri limiti e dei propri errori che è anche facile per chi, più che la “malavita” ha conosciuto solo una vita mala, fatta di abusi, droga, violenza, miseria materiale e morale, ma che da sola non può bastare se manca poi quella rete di relazioni personali, familiari e sociali in grado di dare sostegno e prospettive una volta fuori dal carcere, e impedire che proprio la ricerca di un appoggio, di un incontro, possa inevitabilmente ricondurre ai vecchi modi di vita, ai vecchi comportamenti sbagliati ed autodistruttivi – e poi di nuovo al carcere, più disperate e devastate nel corpo e nella mente, con nuove e più gravi condanne, con situazioni affettive e familiari sempre più compromesse…

Un’opera di accoglienza per le detenute
Il progetto allora di una struttura di accoglienza per le detenute uscite dal carcere – a fine pena o con misure alternative – dove imparino ad esercitare e gestire un’attività di agriturismo, impegnandole non solo nelle coltivazioni, nella ristorazione e nell’accoglienza, ma avendo anche in mente l’apertura di adeguati laboratori artigianali ed artistici insieme alla possibilità di completare o intraprendere gli studi secondari e universitari, facendo loro conoscere i piaceri, e i doveri, di una vita più sana e genuina, e con l’opportunità di stabilire nuove e più valide relazioni personali e sociali, utili per il futuro rientro nella società. Aiutando queste ragazze a raggiungere, con la rinnovata fiducia in se stesse, negli altri e nelle proprie capacità, quella necessaria elaborazione del vissuto che, insieme all’adeguamento alle regole della società, è condizione e premessa di una vera autonomia personale, sociale e culturale. Un sogno che forse si sta realizzando, grazie al gruppo di professori, studenti e ricercatori coinvolti nel master sull’Agricoltura Etico-Sociale, e che secondo me dovrebbe essere anche portato ad esempio di quello che di positivo la riforma dell’università consente…
E allora caro Luigi, anche questa laurea che ho preso ieri può essere considerata come una delle prime foglie di quei “semi di libertà” di cui tutti abbiamo bisogno. Una speranza certo, e una promessa in questi giorni dell’Avvento. Un abbraccio a te, ai tuoi cari ed a tutti gli amici di Tempi.

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