Mettete della letteratura nelle fiabe dei vostri bambini. Un programma per genitori avventurosi

Si possono far leggere Puskin e Grazia Deledda ai bambini? Sì, se i genitori sanno cosa cercare. Le ultime novità Lindau sono una sfida al coraggio dei grandi e un detonatore per la fantasia dei piccoli

Mettete della letteratura nelle fiabe dei vostri bambini. È un programma per genitori avventurosi. Quanto ai bambini, per loro l’avventura non è un proposito ma una condizione. Non si può fare altrimenti quando c’è un mondo intero da scoprire. A sei, sette mesi ogni oggetto, sia un cibo o un gioco, è un banco di prova per i denti che devono spuntare. Poi, una volta cresciuti, ci vuole pane per quei denti. Così è per i libri, perché arriva un tempo in cui i bambini smettono di tentare di mangiarli e pretendono che qualcuno glieli legga o gli insegni a farlo. Ecco, per restare nella metafora, la collana di libri da poco lanciata da Lindau e che si è appena arricchita di tre nuovi titoli, propone uno svezzamento letterario coi fiocchi. Roba per palati fini. Per chi vuole andare avanti a storie banalotte e molli come le pappette dei semilattanti, c’è un mercato pieno di storie che trasformano la realtà a misura di bambini per poter fargliela digerire. Ma il presupposto di questo tipo di approccio sembra essere che i primi a dover digerire una realtà fondamentalmente indigesta sono i grandi. È in fondo per questo che Annalena Valenti (la Mamma Oca che leggete tutte le settimane su Tempi), insieme alle amiche e madri Adriana Rocchi e Raffaella Carnovale, ha messo la propria esperienza e il proprio gusto al servizio di un esperimento editoriale ed educativo.

Si può far leggere della letteratura ai bambini? Si può farlo senza bisogno di stravolgere e ridurre i capolavori dei grandi autori in pillole orrendamente semplificate, ovvero senza rendere poltiglia informe ciò che è opera compiuta e piena? Si può, è la risposta, se si da dove cercare. Così sono nati gli ultimi libri della collana “Grandi avventure seguendo una stella”. Non capolavori di letteratura riadattati ai bimbi, ma opere che gli stessi autori hanno pensato come fiabe. Magari anche in rima. Perché niente è affascinante e facile da ricordare come una storia che si appoggi alla musicalità dei versi. È il caso della bellissima Fiaba dello Zar Saltan, del suo figlio glorioso e possente eroe principe Guidon Saltanovic e della bella principessa cigno di Aleksandr Puskin. Tutto comincia con tre bimbe povere che sognano d’essere zarine. Il sogno che si avvera per una di loro, l’invidia delle sorelle, la nascita di un bambino bello e coraggioso, l’inganno che allontana mamma e figlio dallo Zar. E poi il principe che cresce, un’isola deserta che magicamente si ripopola, lo struggimento di quel figlio per il padre mai conosciuto. E ancora l’amore della principessa Cigno e la magia del suo esserci. La storia di Puskin è corale ed epica, c’è quell’attenzione asciutta e solida ai dettagli che caratterizza il modo russo di vedere e descrivere la realtà. È una storia in grado di catturare i genitori e rapire i bambini. Lindau propone questa fiaba in una versione davvero di alto livello. Si è scelto infatti di riproporre la traduzione di Ettore Lo Gatto, grande slavista e promotore della cultura e della letteratura russa in Italia che amò Puskin in modo particolare e ne tradusse l’intera produzione poetica e in prosa. La sua traduzione della Fiaba dello Zar Saltan, oltre a rispettare la struttura in versi originale, è ancora oggi insuperata per ricchezza e armonia del canto.

La storia è corredata dalle immagini del grande illustratore russo Ivan Jakovlevic e dalle fotografie di Sergej Michajlovic Prokudin-Gorskij. Le immagini sono di una finezza e di una poeticità a cui non sono abituati né i grandi né i piccoli. Le onde del mare ricordano la poetica del giapponese Hiroshige che tanto piaceva a Van Gogh. E cosa dire dell’immagine dello Zar ritratto in mezzo alla neve con il suo cane al fianco. Il cielo dorato in fondo in cui s’immerge una falce di luna, la neve che vira all’indaco nella luce che immaginiamo del tramonto. E poi il mantello regale, prezioso nei colori. E la morbidezza delle linee e un patchwork di colori finemente accostati che fanno venire in mene la casa viennese di Hundertwasser.

Dalla Sardegna alle luci di Milano
Estrema sintonia tra parole e immagini anche nel Dono di Natale di Grazia Deledda. Qui ogni scelta iconografica è un omaggio alla Sardegna, è la trama grossa dei teli, la raffinatezza popolare degli scialli, l’attenzione dei ricami. Il dono di Natale è una storia veracemente familiare, dove ci sono bambini svegli, giovanotti innamorati, vecchi nonni che vengono fatti sedere a tavola nel posto migliore e che ricambiano tanto onore con il vestito della festa, con l’eleganza austera dei grandi vecchi.

Il terzo titolo (I segni del Natale di Cristina Arrondini e illustrazioni di Elena Fabi) esce dall’offerta letteraria dei grandi classici ma senza perdere di qualità. Qui c’è una bambina, Anna, otto anni che mentre il papà legge il giornale e i fratelli più grandi si fanno gli affari loro riesce a farsi portare fuori dalla mamma. Il Natale è dietro l’angolo e Milano, dove è ambientata la storia, è in fermento. Ci sono le luminarie sul Naviglio («ma perché le mettono solo per Natale?» chiede la bambina mentre la mamma è troppo indaffarata a trascinarsela dietro per finire le sue commissioni per risponderle). La mamma non ha tempo ma Anna è inflessibile e insistente come si può essere solo a otto anni: perché c’è tutto questo? Avanti così fino a che la mamma non si decide a tornare a casa, sospende i suoi mille traffici e si ferma a spiegare di cosa sono segno quei segni. Sono il segno della nascita di Gesù. Le domande dei bambini sono più rumorose del fermento metropolitano.

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