Meno fisco più figli

Reddito minimo familiare. È l'idea bomba lanciata dal popolo del Family day. Ed è già una petizione. Ne parla la pasionaria presidente del Sidef

«E se io a rottamare il frigorifero e iscrivere i miei figli in palestra non ci penso proprio?». Al posto del matterello da signora dei fornelli, la petizione per Un fisco a misura di famiglia. Il tavolo da pranzo ingombro di ritagli di giornale, riviste di ortodonzia, occhiali da vista di ogni gradazione. A due passi dal mare freddo dell’Adriatico mandare avanti la famiglia vuol dire anche questo per Caterina Tartaglione, madre di quattro figli, ortodonzista, consigliere comunale a Pesaro, nonché “brambilleggiante” presidente del Sindacato delle Famiglie (Sidef). Spiega con pazienza e dovizia di particolari le pieghe della legge italiana in cui si annida la discriminazione per chi sceglie di mettere al mondo uno o più figli e si scalda come l’infuocata paladina dei circoli della libertà quando vengono al pettine i nodi di uno Stato che dei nuclei familiari si ricorda solo quando c’è da elargire qualche contentino sotto forma di bonus per la rottamazione dei frigoriferi, per l’assunzione di baby sitter o badanti, per l’iscrizione in palestra. Bè, un assegnino male non farà, no? «Ma questo non significa aiutare la famiglia!». Il problema per la Tartaglione è «che possa decidere io se prendere la baby sitter o stare a casa con mio figlio, non essere obbligata a usufruire di un bonus, cioè, in un’ultima analisi, di un’elemosina. È lo stesso principio del buono scuola: la scelta spetta alla famiglia, non allo Stato». Non per nulla il primo firmatario della petizione promossa dal Forum delle famiglie (di cui il Sidef è un pezzo importante) è quel Roberto Formigoni che da sempre si batte per la libertà di scelta delle famiglie in materia di educazione e per la sussidiarietà.
La proposta della petizione Un fisco a misura di famiglia, in effetti, vuole rappresentare un punto di svolta nel panorama delle politiche fiscali e sociali del nostro paese. L’uovo di colombo si chiama Basic income familiare (Bif), ossia reddito minimo familiare. Si tratta di tassare il reddito realmente a di-sposizione delle famiglie, deducendo a monte una quota fissa per le spese di mantenimento di ogni membro, in particolare dei figli. Oggi il sistema funziona con questa logica: tu singolo (perché nel nostro paese il soggetto fiscale è il singolo, non la famiglia) paghi le tasse sulla base del reddito che generi, lo stesso reddito con cui provvedi alle spese delle persone che hai a carico; successivamente lo Stato ti consente di detrarre una parte di quelle spese, ma questo non cambia l’imponibile. La proposta del Forum è di invertire i termini. Prima deduciamo una cifra per la prole (6-8 mila euro per figlio), poi tassiamo quel che resta. Cioè: a mangiare la torta lo Stato si deve sedere solo dopo che sono state tolte le consistenti fette di spesa per il mantenimento e l’educazione dei figli.
Il sistema di bonus e detrazioni verrebbe così accantonato in favore del ritorno alla sovranità del soggetto famiglia. Luca Antonini, vicepresidente della Fondazione per la sussidiarietà, spiega infatti che la spesa per educare e mantenere un figlio fino alla maggiore età è quantificabile tra i 140 e i 170 mila euro, ossia da 7 a 9 mila euro all’anno. Oggi invece la detrazione è di 800 euro all’anno per ogni figlio per redditi bassi. E soprattutto la pressione fiscale nei confronti delle famiglie è applicata come se avessero in tasca tutto il loro reddito. Ma qui casca l’asino.
«Quella di riequilibrare il prelievo fiscale in base ai carichi familiari – spiega la Tartaglione – è una proposta nata su un’idea del compianto professor Marco Martini, che del Sidef, 25 anni fa, fu uno dei fondatori. Oggi quell’idea ha trovato un’applicazione concreta nella petizione che ha subito avuto il pieno sostegno del Forum». Tanto più che il governo Prodi – e le associazioni che hanno organizzato il Family day lo sanno bene – ha spazzato via uno dei passi avanti nella tutela della famiglia compiuti dal precedente governo. E cioè non tanto l’iperpubblicizzato bonus per il primo figlio (comunque sparito pure quello), ma il passaggio dal sistema delle detrazioni a quello delle deduzioni. Come se l’Italia, col suo bassissimo tasso di natalità, non ne avesse di strada da fare per recuperare il terreno rispetto ai vicini europei. È vero, infatti, come esemplifica Paola Soave, vicepresidente del Forum delle famiglie, che «in Italia, per una famiglia di quattro persone (coniuge e due figli a carico) con un reddito di 25 mila euro, l’aliquota media è del 6,9 per cento, pari a una imposta di 1.725 euro. Mentre in Francia è dello 0,2 con un’imposta di appena 52 euro. Per 50 mila euro di reddito, poi, l’aliquota media in Italia sale a 26,4 per cento con un’imposta di oltre 13 mila euro, mentre in Francia si passa al 5 per cento (appena 2.518 euro di imposta)».

«Obiettivo un milione di firme»
Il popolo che il 12 maggio si è ritrovato e riconosciuto affollando le strade di Roma si chiama di nuovo alle armi. Ma sarà di nuovo piazza? «Vedremo. Per adesso l’idea è di arrivare a un milione di firme in quattro mesi», promette la Tartaglione. Certo è che la macchina è già in moto: «Incontri in tutta Italia, nelle parrocchie, nei comuni, insieme agli amici del Forum. Continuiamo sulla strada che il Sidef percorre da 25 anni: vivere in amicizia la vocazione di famiglie». Il che vuol dire incontri di aiuto e formazione ai genitori in tutto il paese, sportelli di consulenza gratuita («Anche qui a Pesaro ce l’abbiamo. Una grande conquista»). Una conquista. Perché tra un apparecchio ai denti, una seduta in Consiglio comunale e la laurea di un figlio, in Italia una donna deve anche combattere per la libertà di sposarsi e fare dei figli.

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