Masterpiece, il talent degli scrittori? No, X Factor dei narcisisti

«Tv e scrittura sono l'una il contrario dell'altra», dice lo scrittore Paolo Bianchi. Il vero autore «non appare in televisione, si mostra attraverso la sua opera»

«Masterpiece, X Factor dei romanzieri? Non credo. Al massimo dei narcisisti. Non lo seguirò. E poi sono mesi che non guardo la televisione». Paolo Bianchi, giornalista e autore di Inchiostro antipatico – Manuale di dissuasione dalla scrittura creativa, dubita che possa esistere un format capace di valorizzare il mestiere, come invece tenterà di dimostrare, a partire da domenica, il talent-show di Rai3 (i giudici sono Giancarlo De Cataldo, Andrea De Carlo e Taiye Selasi). «Magari guarderò la prima puntata, ma solo per curiosità. Voglio vedere come mettono insieme scrittura e televisione».

Perché è così scettico? Magari il programma potrebbe valorizzare l’amore per la letteratura, come dicono i suoi sostenitori.
Non scomodiamo la letteratura. Parliamo di scrittura. Televisione e scrittura usano linguaggi diversi, anzi sono l’una il contrario dell’altra. Si parla di valorizzare l’arte? Ma come hanno selezionato i concorrenti? Ai provini hanno promosso i bravi o i fotogenici? Sicuramente saranno “personaggi” che possono giocare un ruolo nello show.

I concorrenti sono casalinghe, disoccupati, pensionati che lottano per emergere come scrittori. In comune hanno un “romanzo nel cassetto”.
Avrebbero fatto bene a tenerlo nel cassetto. Non esiste nulla di più distante da uno scrittore di una persona che vuole apparire, che vuole “emergere”. Non si scrive per narcisismo. E ciò che ti porta ad andare in televisione è il narcisismo. Il vero scrittore non appare in televisione, si toglie di mezzo, si mostra attraverso la sua opera.

Però agli aspiranti scrittori lei suggerisce di chiudere il romanzo nel cassetto e, magari, buttare la chiave.
Per la precisione penso che non dovrebbero nemmeno scrivere un romanzo. Nella maggior parte dei casi è soltanto fame di essere autori. Si scrive, o meglio si vuole essere pubblicati, per celebrarsi. È un cosa ridicola che non c’entra nulla con il mestiere di scrivere.

Come si fa a capire se uno è bravo?
Uno scrittore è tale perché vuole dire qualcosa. Perché ha talento. Dal manoscritto si vedono le sue potenzialità. Oggi però non esistono più i manoscritti e purtroppo con la nuova tecnologia è molto facile sentirsi “autori”. Chiunque può riempire di parole un file di word e dire “sono un autore”. È molto facile.

La facilità non ha nulla a che vedere con il mestiere?
No, nulla. Il mestiere dello scrittore non è mettere insieme le parole.

Non vede di buon occhio gli esordienti?
Il problema è l’aumento di questi anni: ci sono sempre più aspiranti scrittori, e vengono pubblicati di più non perché scrivano meglio ma per ragioni di marketing. Le case editrici, specialmente quelle grandi, hanno bisogno del giovane, della promessa. E poiché alla fine ciò che viene lanciato dalle grandi catene viene anche comprato, si crea un circuito che si autoalimenta.

Cosa intende dire?
Entrando in libreria si sa qual è la classifica. La classifica corrisponde alla proposta della grande catena, ai libri segnalati in vetrina. Le classifiche coincidono con le proposte dei megastore. Tutto ciò che viene proposto viene anche comprato. Ormai non funziona quasi più nemmeno il passaparola.

Non ha una buona opinione nemmeno del lettore italiano.
La lettura è sempre stata una passione di élite e non di massa. E rimarrà sempre di élite. La maggior parte dei lettori non sa riconoscere i libri buoni. Inoltre nei paesi consumisti il libro è diventato un gadget, un bene di consumo, uno status symbol. Lo è sempre stato, oggi lo è di più. Conta più il titolo, l’autore, del contenuto. La natura umana tende al conformismo. Si adegua alla moda.

Una visione pessimistica. Non c’è un modo perché le cose cambino?
Bisognerebbe rivoluzionare tutto, a partire dall’educazione, ma è impossibile. Il sistema che abbiamo è contro la lettura. C’è qualche intelligenza individuale, c’è la curiosità intellettuale, ma nulla di più.

Però i classici sopravvivono. Anche quelli più estremi, come Viaggio al termine della notte di Ferdinand Céline.
Sono sopravvissuti perché c’è sempre qualcuno che li legge. Ma quanti sono quelli che li leggono? Non c’è mica Celine in cima alle classifiche.

No, c’è Fabio Volo.
E, dopo Volo, Agnello Hornby. Confesso di non aver mai letto un suo libro. So però che parla di una Sicilia che non esiste, piena di stereotipi e di cliché come quella di Camilleri. Niente di nuovo, insomma: in cima alle classifiche ci sono i loro libri costruiti a tavolino, non i classici.

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