Storia di Mario Trematore, le «mani della Provvidenza» che salvarono la Sindone dall’incendio

Intervista al vigile del fuoco che 17 anni fa salvò il Sacro Telo dalle fiamme.

L’uomo che ha salvato la Sindone si chiama Mario Trematore. Era la notte tra l’11 e il 12 aprile di 17 anni fa quando nel Duomo di Torino scoppiò un incendio. Allora Mario lavorava per l’unità dei vigili del fuoco di Torino, e abitava poco lontano dalla Cattedrale. Non era di turno quella notte ma, quando dalla finestra di casa scorse la colonna di fumo, non esitò un attimo. «Ricordo di aver parlato con mia moglie – racconta a tempi.it -, di aver telefonato in centrale per sapere qual era il luogo di origine dell’incendio e poi di essermi precipitato in Cattedrale. Lì trovai i miei colleghi che cercavano di spegnere l’incendio all’interno della cappella del Guarino Guarini, capolavoro dell’arte barocca, che sovrasta la Cattedrale. Anche io, all’inizio, avevo pensato soprattutto a come preservare la cappella, ma una volta lì dissi ai miei colleghi senza troppi giri di parole: “Se non facciamo qualcosa, saremo ricordati come quelli che hanno fatto perdere al mondo la Sindone”».
Il pericolo era grande e Trematore non nega che il rischio di morire era alto. «I marmi e gli stucchi, lambiti dalle fiamme, si sbriciolavano come croste di pane duro, e cadevano a pezzi sul grande crocifisso, che, come incurante del pericolo, voltava le spalle all’incendio, sull’altare del Duomo».
In verità, il Sacro Telo, prosegue il vigile, «non è stato mai minacciato dal fuoco ma, piuttosto, dal possibile crollo della cupola della cappella. Le fiamme erano lontane e la temperatura intorno alla teca non superiore ai 50 gradi. Non sono un supereroe, anzi».

L’INCONTRO CON GIOVANNI PAOLO II. «Quando stavo per uscire dalla cattedrale, con la Teca tra le mani, ho sentito il pianto di un neonato. Mi sono interrogato quasi quindici anni sul significato di quel pianto. Poi ne ho capito il suo senso profondo leggendo Sant’Agostino, che parla delle lacrime di Gesù. Recandosi alla tomba di Lazzaro, Cristo piange, è preso dalla tristezza del momento. Poi sappiamo che con l’avvicinarsi del compimento del suo destino, ha paura, chiede al Padre perché è stato abbandonato. Ho collegato quel pianto che ho sentito a questo, visto che la Sindone è il segno tangibile di quella sofferenza, quella che ha provato per noi».
Qualche anno dopo quell’indimenticabile notte, Mario incontrò papa Giovanni Paolo II: «Quando sono arrivato al suo cospetto, non riuscivo a smettere di baciargli entrambe le mani, inginocchiato. Lui mi ha fatto alzare dicendo “Mario, cosa hai fatto”. Io, nel rispondergli spontaneamente, gli ho detto una cosa che ritengo molto vera anche oggi: “Santità, non ho fatto nulla di particolare. Gesù il giorno delle palme è entrato in Gerusalemme su un asino. Io sono stato quell’asino che sulle spalle l’ha portato fuori dalla chiesa”. Il Papa mi ha risposto dicendomi: “Le tue sono state le mani della Provvidenza”».

UNA VITA SEGNATA. Quella di Mario è stata, fin dal principio una vita segnata dalla Provvidenza: «Mia madre stava portando avanti una gravidanza rischiosa, sia per lei sia per il bambino che aspettava. I medici le avevano detto che l’unico modo per salvare la sua vita sarebbe stata quella di abortire, perché comunque anche il bambino che portava in grembo non sarebbe sopravvissuto. Ma lei non ha ceduto e io sono nato, sano, grazie a un medico di cui porto il nome in segno di riconoscenza».
La Sindone non è uscita dalla vita di Mario. «Con vari amici ho fondato un gruppo di aiuto, chiamato “Mandylion” (nome greco originario della Sindone, ndr). Ogni mese aiutiamo qualche famiglia in difficoltà, per esempio visitando gratuitamente chi ne ha bisogno. Se non si aiutano gli altri, allora anche il messaggio della Sindone è vano. Il “Verbo si è fatto carne” proprio sia proprio questo».

COI PELLEGRINI. Mario si reca spesso in Cattedrale: «Per me è come andare a trovare un amico. La Sindone è sempre chiusa in una teca, e non è visibile a tutti se non nei periodi delle Ostensioni. Ma io sento lo stesso il bisogno di andare lì. Mi sono già recato, da comune fedele, all’odierna Ostensione 2015. Sicuramente la mia emozione è diversa rispetto a quella degli altri pellegrini, ma non perché io sia un privilegiato, è solo una questione di esperienza. Consiglio a tutti di recarsi a vedere la Sindone, lo consiglio ai credenti, per rendere più forte la propria fede. Ma lo consiglio sopratutto ai non credenti, perché possano vedere con i propri occhi quanto è raccontato nei Vangeli. Laddove viene descritta una corona di spine, una ferita del costato o sul volto, il Sacro Telo lo racconta. Non c’è da dubitare, c’è solo da guardare».

Foto Mario Trematore: Credit Foto Patrizia Benedetti

Foto Sindone Ansa

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