Margherite pechinesi e boysattle

La contestazione è un ottimo diversivo per le anime belle che non hanno il problema di far quadrare i bilanci familiari e non possono occuparsi di problemi molto prosaici (lavoro, scuola, tasse) che coinvolgono il cittadino

La contestazione è un ottimo diversivo per le anime belle che non hanno il problema di far quadrare i bilanci familiari e non possono occuparsi di problemi molto prosaici (lavoro, scuola, tasse) che coinvolgono il cittadino. La sinistra pretende dar lezione su ogni materia, ma è nei fatti che poi anche le margherite si rivelano tutt’altro che profumate. Ricordate ad esempio le commoventi trasmissioni televisive, le migliaia di candele in piazza, le proteste (anche formali) contro il tremendo governo Usa che non estradava la Baraldini e che applica ancora la pena di morte? Ci hanno messo molto tempo i giornali e rotocalchi nostrani ad accorgersi che in Cina ( e in Corea del Nord, a Cuba, in Sudan…) è tutto molto peggio, dai diritti umani alle esecuzioni capitali, dal commercio di organi espiantati, ai carcerati, alla persecuzione religiosa, dall’imperialismo in Tibet al commercio di armi in tutto il pianeta, e ciò nonostante è con timidezza, quando non senza un malcelato rispetto per il suo glorioso esercito popolare, che si parla di Cina, giochi olimpici, e si sciogono urrà per la festa dell’amicizia dei popoli. Ora è chiaro che nessuno pretende il lancio di crociate contro un Paese di un miliardo e passa di abitanti, nessuno auspica dichiarazioni di guerra. Ma di qui alla spudoratezza politica e culturale con cui la sinistra (in specie quella antigiottina europea) finge di non sapere e di non mettere in cima all’agenda della critica allo “stato di cose presenti” l’internazionalismo comunista è un fatto ragguardevole. In Italia, sporco paese capitalista e berlusconiano, ma libero, i comunisti hanno due quotidiani e un’infinità di sigle e movimenti, per così dire che si richiamano a quella storia, con ostentato orgoglio e presunzione. Domani marceranno su Genova contro “i padroni del mondo” e da settembre ci affliggeranno con contestazioni e tentativi di bloccare le riforme di quello Stato che temono ridimensioni la vita alla greppia a cui sono stati abituati in nome di una “superiorità retorica”. Loro stanno con i poveri (che opprimono), con le donne (che reprimono), con i diritti umani (che hanno calpestato ovunque e a suon di centinaia di milioni di morti). Eppure godono ancora di una certa buona stampa e sono sostenuti da buoni borghesi che, stando in Occidente e non a Pechino, la settimana la passano nella critica del capitalismo, il week-end a Parigi o sulla barchetta che varca il Mediterraneo in soccorso del popolo del multiculturalismo. Hanno una cultura della subalternità che vorrebbero imporre al mondo e seguitano a indurre nei giovani la propaganda dei miti falsi e bugiardi con cui hanno lastricato il pianeta di inferni. Non vedrete mai nessuno dei loro giudici osar chiedere di portare in giudizio per crimini contro l’umanità (do you remember la strage di studenti sulla Tienanmen?) uno solo di quei leader cinesi, oggi saldamente al potere, a cui l’università di Pisa, all’epoca dell’Ulivo, voleva regalare lauree ad honorem. Non li vedrete marciare contro la pena di morte, la riduzione alla fame di interi popoli, la feroce repressione della dissidenza, i commerci illegali di droga, armi e organi umani, di un regime comunista. Non li vedrete perché un po’ hanno ancora il complesso della “giusta causa” e della “omelette venuta male” (il socialismo reale), un po’ sognano ancora la rivoluzione primigenia, cioè di riuscire a fermare il mondo e a convincere tutti i suoi abitanti a scendere (come ci provò, seriamente, Pol Pot). Perché, infine, credono che non loro, ma il mondo sia sbagliato. E non sanno, invece, che in realtà sono anche loro il mondo sbagliato.

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