Marcelo Cesena, il pianista che ritrovò l’ispirazione fino a scrivere per lei: Emily

Storia del grande artista e compositore brasiliano che suonerà il 17 dicembre a Milano. Il rapporto tormentato con il pianoforte, il lavoro coi tossicodipendenti e "quel modo di parlare della bellezza"

Pianisti si nasce, volenti o nolenti non lo si potrà metterlo a tacere. La storia di Marcelo Cesena, pianista italo brasiliano a Milano il 17 dicembre per un concerto al teatro Rosetum, è sempre stata scandita da questa melodia, ma solo adesso che ha 43 anni lo capisce compiutamente. Quando, da piccolo, in famiglia, gli facevano ascoltare per ore l’opera lirica, ecco, lì aveva qualche dubbio che avrebbe mai amato la musica. «Abitavo in una via stranamente piccola di San Paolo, di quelle residenziali. Dalle finestre aperte delle villette arrivavano gli strimpellamenti dei ragazzini che imparavano a suonare. Questo contribuiva ulteriormente a farmi associare la musica a qualcosa con cui non avrei avuto niente a che fare». Poi, un pomeriggio, accadde l’inspiegabile. «Un’amica dei miei genitori venne a casa nostra a trovarli, con il figlio quindicenne. Quando videro che anche in casa nostra c’era un piano, che, se non altro, era un bel pezzo di arredamento, la madre del ragazzino lo pregò di suonare qualcosa per noi. Lui andò a sedersi davanti allo strumento con fierezza, posò le mani sui tasti con serietà e convinzione, nonostante quello che poi ci propose fosse brutto e dimenticabile. E non so perché, ma in quel momento, capii che avrei dedicato la vita alla musica. Fulminato dal pianoforte, chiesi ai miei genitori di iscrivermi al conservatorio. E quelli, pensando fosse solo il desiderio momentaneo di un bambino, cercarono di dissuadermi».

UN “QUESTIONAMENTO”. Al conservatorio, a San Paolo, Marcelo imparò tutto ciò che bisognava imparare, tra i programmi fitti, le lezioni di storia della musica, i saggi, le gare. In breve tempo, i professori iniziarono a puntare sulla sua capacità interpretativa. Ma fu allora che iniziarono anche le difficoltà. «Dentro di me cominciò un “questionamento”», spiega con un termine di brasiliano italianizzato. Un male oscuro, inspiegabile, un rigetto, un rifiuto. Tanto che Marcelo smise di suonare, chiudendo il coperchio dei tasti bianchi e neri. Partito dal Brasile, arrivò fino in Europa, fino a Medjugorje di cui aveva sentito parlare da alcuni amici. Nemmeno quello gli servì, l’ispirazione continuava a non tornare. Così iniziò a lavorare a Saluzzo per la comunità per i tossicodipendenti di suor Elvira. «Ho fatto i lavori più umili e quotidiani: pulire la stalla, riparare oggetti. Alla fine ho anche fatto un corso di educazione musicale basilare. Ma nemmeno allora sentivo di poter essere in grado di tornare a suonare. È successo molto dopo».

LA STORIA DI EMILY. L’amore per la musica tornò lentamente a farsi chiaro in Marcelo e, oggi, scrive musiche di accompagnamento per film. Ma è nella composizione libera che Marcelo rinnova ogni giorno la sua vocazione di pianista: «Compongo nello stesso modo in cui i cantanti scrivono i testi per le loro canzoni. Rendo musica qualcosa o qualcuno di vero, qualcosa di cui è stata fatta esperienza, un fatto reale. Ed è successo così anche per uno dei miei brani più amati, “Emily”».
La storia di questo brano è particolare. Marcelo avrebbe dovuto tenere una lezione per parlare della bellezza, della musica classica, eseguendo dei brani. Quel giorno un amico gli telefonò e gli raccontò del triste incidente capitato a una bambina di tredici anni, morta in un incidente stradale sotto le ruote di un automobile. L’uomo che la investì stava tentando il suicidio. Lui sopravvisse, lei morì sul colpo. Scioccato da questo fatto di cronaca, Marcelo annullò la lezione e trascorse la notte insonne sul pianoforte, «cercando di mettere su spartito quello che Emily era in vita. Nonostante non la conoscessi neppure, il mio cuore voleva raccontare la sua storia. Il mattino dopo, con il brano ultimato, chiamai gli organizzatori di quell’incontro e dissi che avevo trovato il modo di parlare della bellezza. Perché il fatto che fossi riuscito a scrivere qualcosa di così bello da una storia che parlava di dolore ne era testimonianza».
Cesena esegue sempre “Emily” nelle sue esibizioni dal vivo: «Dopo un anno e più che molti ascoltatori in tutto il mondo avevano sentito la storia di “Emily”, trovai il contatto i genitori della bambina cui, ignari, racconta l’epifania della sua opera. «mi scrisse padre e ci conoscemmo. Proprio quel giorno, lui e la moglie avevano dovuto affrontare il processo per l’omicidio della loro adorata bambina».

CHOPIN. Marcelo suona anche pezzi del repertorio classico. Fryderyck Chopin in particolare: «In tutte le sue opere c’è sempre un dualismo, una parte più delicata e una più forte, e entrambe si alternano per raccontare una storia. La malinconia, la nostalgia del paese d’origine, Varsavia, da cui si era dovuto allontanare, è presente nelle sue melodie. Per questo lo sento molto simile a me, e facile da interpretare. Perché io sono partito da San Paolo e ora sto a Los Angeles. Giro il mondo per suonare. Sono un apolide come lui».

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