Mano nella mano con un mistero

Il viaggio semiserio di un linguista nell’insondabile treennità del suo Ludovico, «spingendo un invisibile carrello di pensieri incondivisi». Recensione di "Asilo Club" di Mirko Volpi

Gli uomini che hanno letto (e recensito) l’Asilo Club di Mirko Volpi si sono tutti ritrovati nella premessa, nello studio con garbato distacco della prima pancia della moglie Barbara: «Avrei voluto essere un padre all’antica, un frutto attardato negli anni dell’inserimento infinito, dei malintesi pedagogismi, della pervasiva attenzione genitoriale verso gli infanti, dei modelli educativi a me ignoti e ostili», un padre «che entra in casa con gli stivali sporchi di fango». E invece eccolo, Mirko Volpi, il dantista, il linguista dell’Università di Pavia che disarmato ogni giorno inforca la via dell’asilo, per mano il figlio di tre anni Ludovico, e domanda, mentre ogni cosa che non può ancora pensare gli sembra «stipata da qualche parte tra le ginocchia sbucciate e le dita sporche di pennarello», prova a estrarre dal figlio la vena narrativa, chiedergli come è andata oggi, che hai fatto, hai mangiato, con chi hai giocato, a cosa pensi, fai a bo...

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