Mancini-Sarri, sentenza scandalosa: urge riparazione. Eccola qua

Dopo gli incresciosi insulti, l'allenatore del Napoli si becca solo due giornate e viene punito pure il collega dell'Inter. Il Correttore di bozze propone un verdetto di appello più giusto

Ieri il giudice sportivo Gianpaolo Tosel ha deciso di punire sia l’allenatore del Napoli Maurizio Sarri sia quello dell’Inter Roberto Mancini per il deprecabile episodio avvenuto martedì sera al termine del quarto di finale di Coppa Italia, conclusosi con la vittoria dell’Inter per due a zero.

Episodio che il Correttore di bozze, sulla base delle ricostruzioni di giornali e testimoni, con il massimo della sensibilità di cui dispone riassumerebbe così: a un certo punto, a gara praticamente finita, Mancini ha avuto da ridire con il quarto uomo perché questi aveva decretato a suo dire un tempo di recupero eccessivo; il nervosissimo Sarri, ormai eliminato dalla competizione, ha pensato bene allora di dare del «frocio» e del «finocchio» a Mancini; Mancini se l’è presa e ha seguito Sarri negli spogliatoi per pretendere da lui le scuse; Sarri ha cincischiato e allora Mancini gli ha detto «vecchio cazzone, tornatene ad allenare in C»; dopodiché, non pago, lo stesso Mancini ha deciso di andare in tv a fare il cerbiatto ferito. Tutti hanno potuto seguire la polemica megagalattica che ne è seguita.

Ecco. Ieri pomeriggio è arrivato l’attesissimo verdetto della giustizia sportiva. Multa di 20 mila cucuzze e due turni di squalifica in Coppa a Sarri (o anche ‘ncopp a Sarri) «per avere, al 47’ del secondo tempo, rivolto all’allenatore della squadra avversaria epiteti pesantemente insultanti». Multa di 5 mila euri a Mancini per l’«atteggiamento intimidatorio nei confronti dell’allenatore della squadra avversaria che l’aveva insultato».

Secondo l’interpretazione della Gazzetta dello Sport, «Tosel non ha creduto che gli epiteti usati dal tecnico azzurro avessero l’intento di discriminare sessualmente il collega, anche perché, fino ad outing contrario, Mancini non è omosessuale». Trattasi insomma di semplici «insulti senza l’aggravante omofoba». Un po’ come dire “finocchio” a un peperone.

E con questo, l’intera storia si tramuta in una minchionata talmente assurda, e ha ormai assunto sui giornali dei toni talmente ciabattari, che perfino un buono a nulla come il Correttore di bozze si ritiene autorizzato a scrivere cose a caso manco fosse Severgnini.

Segue perciò la sentenza d’appello in merito al caso Sarri-Mancini firmata dal giudice sportivo Di Bozze signor Correttore.

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PREMESSO CHE

come ha scritto il sempre misurato Alessandro Pasini sul Corriere della Sera, «il Mancio (…) mai si sarebbe immaginato un simile attacco da parte di un collega», e perciò, «sospeso tra subire e esplodere, ha imboccato la seconda via, secondo carattere (impulsivo e mai malleabile), e secondo sensibilità, quella che esprime, fra l’altro, in una forte religiosità e nella frequentazione da “pellegrino” di Medjugorje»;

e dedottone quindi che da oggi chi fa la spia è figlio di Maria;

PREMESSO CHE

come ha scritto l’autorevole Severgnini ancora sul Corriere, Sarri «ha sbagliato secolo» e non ha capito che «la sensibilità pubblica cambia, come il senso del pudore», e infatti al giorno d’oggi «qualunque cosa pensiamo sulle unioni civili o il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dobbiamo rispettare le scelte sessuali altrui. Lo pretende la legge, lo chiede la società, lo suggerisce il buon senso, lo invoca la Chiesa di Francesco»;

e dedottone quindi che prima di Francesco la Chiesa dava invece di frocio a chiunque;

PREMESSO CHE

come aggiunge opportunamente Severgnini, «due allenatori cinquantenni non possono insultarsi come calciatori di vent’anni. E neppure a costoro, diciamolo, è consentito usare certe espressioni. L’insulto aggressivo incoraggia il cattivo comportamento degli stadi. Perché seppellire di fischi gli avversari appena giocano la palla? Al San Paolo accade sistematicamente. Che senso ha? Senza buoni avversari non ci sarebbero belle partite: no? Diciamolo, scriviamolo, ripetiamolo: il 2016 non è il 1976»;

e dedottone quindi che, davvero, scriviamolo, il 2016 non è il 1976; e che davvero, ripetiamolo, il 2016 non è il 1976 (ma che male gli ha fatto a Severgnini il povero 1976?);

PREMESSO CHE

come ha scritto con il giusto dispendio di metafore Luigi Garlando sulla Gazzetta dello Sport, «ciò che più sfugge a Sarri» è «la forza dell’esempio. Si può passare dal calcio dilettantistico a quello di Serie A senza cambiare tuta, ma non senza rendersi conto che è cambiato il mondo attorno», giacché «sono aumentati gli occhi, specie quelli dei ragazzi», ed è ormai ovvio che «un insulto omofobo uscito dalla bocca di un campione in prima serata finisce indirettamente per legittimare i bulli che affliggono i ragazzi gay»;

e dedottone quindi che aveva ragione Sarri quando diceva che certi raptus «sono episodi di campo e da lì non devono uscire»;

PREMESSO CHE

come lamenta correttamente il Fatto quotidiano, in Italia Sarri poteva beccarsi «un paio di giornate al massimo» mentre nei paesi civili come la Francia per una cosa del genere «si rischia fino a un anno di carcere», evviva la Francia culla della democrazia, e invece qui nell’italietta dal ventre molle «il ddl Scalfarotto, per quanto discutibile, è fermo da oltre due anni in Senato»;

e dedottone quindi che sarebbe stato meglio sbattere Sarri in galera, per quanto discutibilmente;

PREMESSO CHE

per una volta ha ragione Vladimir Luxuria quando osserva, nel solito modo strampalato, che fra tutte gli aspetti strampalati di questa vicenda strampalata il più strampalato è la giustizia sportiva che non trova omofobia in chi dice “frocio” a un etero;

e infatti lo stesso Mancini, se proprio deve, dà di “frocio” solo ai giornalisti della Gazzetta nella convinzione che almeno loro non sono sicuramente gay;

TUTTO CIÒ PREMESSO, E PREVISTO INOLTRE CHE

questa mattina tutti i giornali saranno sicuramente pieni di indignazione per il verdetto del giudice Tosel e per la sua lettura dei fatti un po’ paracula (absit iniuria verbis), mentre in questo caso bisognava assolutamente contestare al reo il “comportamento discriminatorio” che vale 4 mesi di squalifica;

IL CORRETTORE DI BOZZE DELIBERA DUNQUE

quattro mesi di squalifica a Mancini per aver detto “vecchio cazzone” a uno che, secondo i criteri della Figc, «fino ad outing contrario», è effettivamente un vecchio cazzone (con l’aggravante di avere allenato in C).

@Correttoredibox

Foto Ansa

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