Ma non è una guerra di religione

Il vescovo di Dili e l'agenzia stampa della Congregazione per l'evangelizzazione dello stesso avviso

Con l’uccisione di suor Maria Cazzaniga e dei suoi sei compagni di viaggio domenica scorsa continua ad allungarsi la scia di sangue del personale cattolico trucidato nell’isola di Timor dalle milizie anti-indipendentiste con la complicità dell’esercito indonesiano. Eppure in àmbito cattolico si moltiplicano le voci che mettono in guardia da un’interpretazione del conflitto timorese in termini di guerra di religione. Nell’editoriale del 24 settembre scorso di Fides, agenzia di stampa della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il direttore padro Bernardo Cervellera puntualizza che “il conflitto timorese non è un conflitto islamo-cristiano”, e si appoggia sull’autorevolezza di mons. Belo, vescovo di Dili e premio Nobel per la pace, per ribadire il punto.

Effettivamente nell’intervista rilasciata la settimana prima alla stessa Fides, come pure in quella televisiva del 16 settembre a Sat 2000, il presule non ha esitato a dare una risposta negativa alle domande sull’eventuale origine religiosa delle violenze. Limitandosi ad aggiungere, nel caso dell’intervista televisiva, che gli dispiaceva l’assenza di voci musulmane in difesa di Timor Est. Le quali però si sono finalmente levate proprio quel 16 settembre: a Giakarta un gruppo di uomini politici di diversi partiti di orientamento musulmano ha diffuso una dichiarazione congiunta chiedendo che l’esercito fermi le violenze fomentate in diverse regioni, fra cui Timor Est.

Ma se l’odio religioso non è la prima causa, perché allora un’offensiva così sistematica contro la Chiesa? “Perché la Chiesa cattolica timorese viene identificata col movimento indipendentista. Questa è soprattutto la ferma convinzione dei capi delle milizie”, spiega padre Cervellera. I quali d’altra parte ostentano nomi apparentemente cattolici: Domingo De Deus, Caitano Da Silva, Eurico Guterres. Apostati, come in tutte le guerre di religione? La spiegazione è più semplice: “Nel 1967, al tempo dei portoghesi, i timoresi cattolici erano il 27 per cento”, spiega spiega la salesiana suor Paola Battaglini. “Quando arrivarono gli indonesiani, chiesero a tutti di dichiarare la loro appartenenza a una religione monoteista, come richiesto dalla legge indonesiana. E tutti si dichiararono cattolici, anche quelli che non sapevano neanche cosa fosse la fede”. La stessa cosa è successa in Indonesia, dove molti si sono dichiarati musulmani solo per conformismo. E infatti la comune identità islamica non impedisce i massacri da parte dell’esercito nella provincia secessionsita di Aceh.

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