Ma la chiesa non ha abbandonato gli uomini

Ecco il passaggio - di cui riferiscono anche le lettere dei nostri amici detenuti - dell'intervento pronunciato lo scorso 22 maggio dal Presidente della Cei Cardinale Camillo Ruini. Riprendendo l'auspicio formulato da Giovanni Paolo II in un discorso del 31 marzo, il porporato sollecitava le autorità italiane a compiere quell' "atto di clemenza, secondo criteri di equità" citato nelle lettere dei nostri amici detenuti

Con la questione della sicurezza, ma anche con problematiche di più ampia portata, che toccano i gangli più delicati della vita civile, ha a che fare l’amministrazione della giustizia, che in Italia rappresenta da molto tempo un problema assai acuto, come costantemente ripetono anzitutto i più alti esponenti della Magistratura. Il Papa, nell’udienza del 31 marzo all’Associazione Nazionale dei Magistrati, ha proposto una sintesi di rara profondità ed efficacia dei principi e dei criteri che devono reggere, in un Stato democratico e di diritto, l’azione della Magistratura ed i suoi rapporti di indipendenza e al contempo di rispetto reciproco e di non prevaricazione con gli altri poteri dello Stato. In particolare il Papa ha opportunamente richiamato come sia contrario ai diritti della persona il ricorso ad una detenzione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo; quanto sia importante assicurare la celerità dei processi stessi; come il rapporto dei Magistrati con i mass media debba guardarsi dal rischio di ledere il diritto di riservatezza e la presunzione di innocenza degli indagati. Ha inoltre sottolineato l’esigenza, nei Magistrati, di una totale libertà da pregiudizi ed ha messo in guardia dai rischi di una supplenza della Magistratura rispetto alle omissioni del potere legislativo, soprattutto nelle materie di maggiore rilievo etico. Quanto più queste sottolineature, oggettivamente incontestabili, troveranno riscontro concreto nell’amministrazione della giustizia, tanto più né trarrà giovamento il Paese ed aumenterà l’autorevolezza della stessa Magistratura.

Le recenti accuse di violenze contro i detenuti mosse ad agenti della Polizia penitenziaria, la loro incarcerazione, le vibrate reazioni di protesta, le successive scarcerazioni e quindi le proteste di detenuti pongono interrogativi molto gravi che non si fermano alle carceri ma toccano la situazione del nostro apparato statale: gli episodi di poco precedenti, e assai spiacevoli, che hanno interessato l’Arma dei Carabinieri e il suo rapporto con la Polizia di Stato sono un altro segnale che va in analoga direzione. Da questa amara vicenda della Polizia penitenziaria siamo però aiutati e stimolati a non chiudere ulteriormente gli occhi sulle condizioni di vita all’interno delle carceri, che riguardano evidentemente anzitutto i detenuti ma pesano molto anche sugli agenti di custodia. La pubblica amministrazione non può sottrarsi al dovere di impegnare le risorse necessarie per sopperire alle gravissime carenze strutturali delle carceri italiane. Ma, proprio nel contesto di questo Anno Santo nel quale celebriamo le grandi opere della misericordia divina e anzitutto ad essa affidiamo i destini umani, ci sentiamo spinti dal profondo a chiedere altri provvedimenti che valgano a rendere più umana la vita nelle carceri, in particolare consentendo effettivamente ai detenuti di svolgere attività lavorative che li sottraggano alle conseguenze disumanizzanti dell’ozio forzato. Dovrebbe risultare meno difficile, così, anche l’impegno per il loro reinserimento, al termine della pena, nel mondo del lavoro e nella vita civile. Di più, compatibilmente con la doverosa attenzione a non peggiorare la già precaria sicurezza sociale, avvertiamo forte l’esigenza, etica ma a sua volta anche sociale, di misure di clemenza che valgano ad abbreviare, secondo criteri di equità, i tempi della pena.

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