Luigi De Magistris non merita l’immunità. «Mi ha messo alla gogna»

Intervista esclusiva a Enza Bruno Bossio, che ha intentato una causa per diffamazione contro l'ex pm. L'imprenditrice racconta la «terribile storia» che l'ha vista infine assolta dalle accuse di De Magistris: «Se avesse lavorato seriamente mi avrebbe evitato la gogna»

Ieri la commissione Giuridica del Parlamento Europeo ha approvato la proposta del relatore socialista tedesco Bernhard Rapkay di non concedere l’immunità al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, nella causa per diffamazione intentatagli da Enza Bruno Bossio. L’imprenditrice, coinvolta nell’inchiesta “Why Not” e assolta sia in primo grado sia in appello, spiega in questa intervista esclusiva a Tempi (in edicola da domani) le sue ragioni.

Un processo che inverte la logica della procedura penale, dove le indagini sono diventate un dettaglio strumentale a provare il teorema iniziale. Enza Bruno Bossio, ex manager calabrese della Cm Sistemi Sud (società che fornisce consulenze e prodotti informatici per la pubblica amministrazione), moglie dell’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo (Pd), è stata accusata di estorsione (oltreché di abuso d’ufficio, truffa, peculato aggravati) da Luigi De Magistris nell’inchiesta “Why not”. Poi per due gradi di giudizio è stata assolta. Ovviamente però, tra il coinvolgimento nell’indagine e l’assoluzione, la signora è finita nel tritacarne mediatico-giudiziario che tradizionalmente accompagna, in Italia, i processi che lambiscono la politica, dove indagati e imputati ormai sono sempre trattati da presunti colpevoli fino a prova contraria. È stato così anche per Bruno Bossio, come lei stessa racconta in questa intervista a Tempi, spiegando che ancora oggi «non ho capito perché sono stata coinvolta». La normale dinamica processuale naturalmente prevede condanne e assoluzioni, ma troppi procedimenti monstre letteralmente si sgretolano al primo vaglio dibattimentale perché privi dei requisiti minimi. Nel caso di Bruno Bossio, ad esempio, è stata rinviata a giudizio una persona in presenza di una prova documentale che esclude pacificamente il reato.

Enza Bruno Bossio, lo scorso 27 gennaio lei è stata assolta anche in appello nella vicenda “Why not”. Come era stata coinvolta?
In pochi lo sanno, ma addirittura l’inchiesta prese avvio con la denominazione “Bruno Bossio più altri”. Solo molto tempo dopo è diventata “Why not”, dal nome di un’agenzia di collocamento calabrese. La mattina del 5 settembre 2006 hanno bussato alla mia porta i carabinieri con un decreto di perquisizione firmato da De Magistris, nel quale si farneticava di relazioni industriali tra alcune aziende considerate come elementi di reato. Si trattava di un errore, un equivoco, e la vicenda avrebbe dovuto concludersi con proscioglimenti e scuse. Invece De Magistris, indagando sul mio lavoro, incrocia il nome di Antonio Saladino, noto esponente della Cdo calabrese e di Cl, con il “torto” di avere amicizie importanti. Anche per lui sarebbe potuta finire lì se Caterina Merante, a capo dell’azienda Why not, non avesse iniziato a rilasciare dichiarazioni appiattite su quello che De Magistris si aspettava di sentire. Così le amicizie di Saladino sono diventate «una pericolosa trama al cuore dello Stato» con protagonisti eccellenti come Prodi e Mastella. 

Che tipo di relazioni c’erano tra la sua società e la Why not? Chi è Caterina Merante? E in che rapporti è con lei?
Ancora oggi, persino nella sentenza di assoluzione, mi qualificano come titolare di Cm Sistemi, mentre io sono sempre stata solo all’interno di un rapporto di lavoro subordinato. Caterina Merante, invece, era ed è socio proprietario dell’azienda Why not, ed è molto attenta al suo profitto. I miei rapporti con lei e con la sua società erano relazioni professionali all’interno di un consorzio di imprese denominato Clic, nel quale erano presenti, oltre Cm e Why not, altre cinque aziende qualificate.

È stata imputata per una fattura da 120 mila euro. Come si sono svolti i fatti?
L’infamante accusa di estorsione era basata sulle dichiarazioni di Caterina Merante, la quale affermava che io le avevo estorto 120 mila euro (che in realtà non aveva nemmeno mai pagato) per prestazioni che, secondo lei, non avevamo svolto. In realtà la Cm sistemi aveva effettuato il lavoro per Why not ed emesso regolare fattura. La Merante non ha pagato, senza mettere però in discussione la validità del contratto, perciò Cm attivò un decreto ingiuntivo. Ma in seguito la Merante si rivolse a De Magistris e inventò l’estorsione sporgendo denuncia contro ignoti per presunta contraffazione della firma. La Cm sistemi allora controdenunciò, a seguito della perquisizione dell’ufficio di Why not fu trovato un verbale di un Cda del 22 dicembre 2005 nel quale il presidente dell’azienda faceva presente di avere stipulato un contratto con la Cm. Approvazione regolarmente registrata. Capite che vergogna? Se i pm del mio procedimento avessero fatto seriamente le indagini questo documento avrebbero potuto trovarlo evitandomi l’accusa. Invece il documento saltò fuori, casualmente, e in un altro procedimento, dopo la richiesta di rinvio a giudizio. 

Nel decreto di perquisizione si ipotizzava «la costituzione di schermi societari che consentono di spostare il denaro» e «uno scenario devastante circa la gestione di denaro pubblico e la pervicace volontà di depredare le risorse pubbliche pur di raggiungere lucrosi interessi criminali». Ma è stato davvero regolare e trasparente l’accesso ai fondi europei? Non è che la drammatica situazione occupazionale calabrese ha ingenerato in voi la convizione che tutto fosse giustificato, compresa l’opacità nella gestione dei fondi? 
L’ordinanza di perquisizione di De Magistris aveva questa ambiguità: non era citato alcun fondo pubblico depredato, perché non ce ne sono mai stati. Almeno da parte mia. De Magistris aveva un teorema che non è riuscito a dimostrare, perché era impossibile: io, in quanto moglie del vicepresidente della Regione, sarei stata avvantaggiata nello svolgimento del mio lavoro. 

Nel contesto del processo si incorre spesso nel termine “consulenza” anche per giustificarsi davanti alle accuse. In cosa consisteva la consulenza nel suo caso?
Io non ho mai ricevuto alcuna consulenza perché, come ho detto, il mio ruolo è sempre stato unicamente manageriale. 

Com’è stata gestita la teste Merante dal pm De Magistris? È vero che questa gestione ha provocato l’apertura di procedimenti penali e disciplinari?
La Merante è stata utilizzata da De Magistris e lei si è fatta prendere la mano, come si evince dalle intercettazioni e da un verbale del novembre 2007, pensando di essere lei la “Giustizia”. Ovviamente l’ho querelata già nel 2007.

È vero che lei ha fatto una richiesta di risarcimento danni a De Magistris e lui ha opposto l’immunità parlamentare?
Sì, ho chiesto il risarcimento danni a De Magistris, Santoro e Gian Antonio Stella. Visto il ruolo di eurodeputato ricoperto allora da De Magistris, non ho potuto querelarlo, ma ho potuto denunciarlo per quanto ha scritto nel suo libro (Assalto al pm) contro di me. Ovviamente, forte del suo relativismo giudiziario e politico, ha usato il suo privilegio per sfuggire alla giustizia. Oggi che per fortuna mia (ma per sfortuna dei napoletani, che però se la sono voluta) è sindaco di Napoli, non si può più opporre. Sempre che la sua ennesima casta non lo copra.

Com’è ha cambiato la sua vita questa vicenda, dal punto di vista professionale e da quello personale?
Dal punto di vista professionale è stato terribile. Mi sono dimessa per correttezza verso le aziende di cui ero manager, rinunciando a una carriera che mi ero costruita solo con il mio lavoro e le mie competenze, nonostante mio marito. Personalmente, però, forse ci ho guadagnato: il dolore fortifica, anche se invecchia.

Lei oggi è impegnata attivamente in politica, con il Partito democratico. Come è riuscita a conciliare quest’impegno verso la collettività, e quindi verso lo Stato, con tutto quello che lo Stato stesso le ha procurato in termini di danni con questa vicenda? 
Io non credo che lo Stato sia colpevole di queste vicende, soprattutto alla luce dei due gradi di giudizio che mi hanno assolta. Il tema rimane quello di una distorsione del ruolo dei pm e di una responsabilità politica, anche di influenti settori della sinistra, verso la deriva giustizialista. Faccio politica nel Pd anche per questo: provare a spostare Davide contro Golia, cioè un po’ dell’asse giustizialista e colpevolista verso un riformismo laico, libertario e costituzionale.

 

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