LUCE NATURA

D’estate è più facile che il discorso cada sulla natura, il suo stato, il nostro rapporto con essa. Anni fa, due poeti amici che si stimavano, ebbero uno scambio su queste cose. Erano Pier Paolo Pasolini e Attilio Bertolucci. Al primo che diceva che ormai l’unica cosa che l’uomo può fare in rapporto alla natura è sopravvivere in una situazione ormai completamente artificiale, il poeta che viveva a Roma ma anche nei boschi dell’appennino parmense rispondeva così, con versi struggenti e stupefatti: «Sopravvivenza, la nostra terra ? Ma durano e lungo / questi crepuscoli, come d’estate che mai, mai / viene l’ora della lampada accesa, di quella / falene irragionevoli che vi sbattono contro, / attratte e respinte dal chiarore che è vita / (eppure vita era anche il giorno che muore). / Soltanto ci sia dato, in un tempo incerto / di trapasso, ricordare, ricordare per noi / e per tutti, la pazienza degli anni / che i lampi dell’amore ferirono – e si spensero».
Nei giorni scorsi invitato dal critico bertolucciano (e citatiano) Paolo Lagazzi, ho percorso con altri poeti quel bosco di Bertolucci. Aveva ragione, la luce ha un tempo diverso dai nostri lampeggianti amori o ire o furori. E nella natura c’è un segno di vita promessa che non finisce mai. Mentre tutto il mondo sembra preda di convulsioni e violenze, il sole torna a battere esattamente nel punto della meridiana disegnata da Cassini in san Petronio a Bologna cinquecento anni fa. Si può parlare tanto di natura, di naturale, e non vedere queste cose, che inquietano il cuore, e però lo rendono più vasto.

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