Lo stupore è più sapiente dei numeri

Senza ombrello, sotto il temporale

“God is dead”: questo titolo campeggiava sul fondo nero dell’ultima copertina di Newsweek. Niente di nuovo, poiché la morte di Dio è già transitata da decenni dalle pagine dei libri, agli slogan di piazza, ai testi delle canzoni. Ma l’inchiesta del settimanale americano si supporta su cifre, neppure queste propriamente inedite, che parlano con la drammatica icasticità dei loro istogrammi. Esclusa l’Italia, le colonnine che indicano la percentuale di partecipazione alla Messa nei paesi europei sono sempre più vicine allo zero. Sono numeri che feriscono il cuore di chi è credente come di chi non lo è (e questa rubrica rappresenta ambedue le anime) e hanno l’implacabile ineluttabilità di chi annuncia una fine prossima ventura. Sono numeri che, nella nostra assoluta piccolezza, lasciano muti. Possibile che sia così? E se è così, perché all’interno della chiesa c’è così poca coscienza di questo dramma? (la coscienza la si misura dai volti più che dalle parole: e dopo Paolo VI si sono visti pochi volti segnati dalla tragica consapevolezza di quanto sta accadendo della e nella chiesa). È vero che se la Francia, il Belgio, l’Olanda sono tra lo zero il 5 per cento, ci sono paesi del nuovo mondo che rimpolpano alla grande queste percentuali. Ma la storia insegna che il mondo oggi è globale e che le tendenze vincenti, dal punto di vista sociologico, alla fine sfondano ovunque: è solo questione di tempo. Questo diciamo non per sostenere una tesi piuttosto che l’altra, ma per dire che oggi ci sembrano molto più interessanti le posizioni e le parole di chi porta su di sé la ferita di una simile consapevolezza rispetto a chi semina entusiasmi e euforie. Del resto per smentire il fatalismo di tante statistiche servono cose molto semplici. Sul penultimo numero di 30Giorni (un giornale che chi ha cuore il bene della Chiesa non può non leggere) c’era un’intervista a Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, massima autorità della chiesa Ortodossa. Quell’intervista verteva tutta su una frase di Gregorio di Nissa che dallo scorso anno a molti di noi è stata ripetuta un’infinità di volte (mai troppe, mai troppe!): “I concetti creano gli idoli solo lo stupore conosce”. L’intervista è stupenda e dimostra quanto quella frase sia cruciale per capire e amare la chiesa. Ma non sono le parole che contano. Conta che nell’ipersecolarizzato anno 1999 un qualcuno, con una faccia e con una storia, abbia avuto l’intelligenza, l’amore e l’umiltà di far tesoro di quella frase creando, su quella frase, una rete imprevista di rapporti nuovi. Un fatto così accende di umile stupore. E lo stupore è più vero dei concetti. E anche dei numeri.

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