Lo charme di Roma

A SHARM EL SHEIKH HANNO COLPITO GLI ITALIANI. E IN ITALIA E' CRESCIUTA UNA RETE DI CENTRI ISLAMICI E MOSCHEE CHE PREPARANO I ROBOT DELLA MORTE. CONVERSAZIONE CON MAGDI ALLAM

Non è soltanto un’intervista a un giornalista musulmano noto come uno dei maggiori esperti di fondamentalismo e di terrorismo islamico. è innanzitutto il day-after il massacro di Sharm El Sheik. è il giorno dopo, dopo aver letto i giornali e ascoltato le solite analisi (solo un po’ più preoccupate per via dell’ombra funerea calata sulle nostre ferie). L’ideologia della diserzione ne esce lievemente attutita, ma la morale è sempre quella (colpa della guerra in Irak, andiamocene in fretta, ce la siamo un po’ meritata, cerchiamo di ragionare con Al Qaeda, la vita continua). Almeno il Manifesto è ferocemente chiaro e coerente nel suo appello alla resa. Sostiene nell’editoriale (sabato 23) l’ultimatum dei terroristi a scappare dall’Irak, farnetica di ‘opposte crociate’ (domenica 24) e, nel bel mezzo della carneficina islamista, non trova niente di meglio che mandare in edicola una sventagliata di oscene calunnie sulla ‘storia criminale del cristianesimo’, un inserto (sabato 23, Alias) che sfoggia in copertina una Madonna intenta a sculacciare Gesù e un titolo ghignante, ‘Radici cristiane’ (fa capolino in Europa una nuova coppia diabolica dopo il nazicomunismo del secolo scorso? Ha ragione Renato Farina su Libero? «è islamocomunismo»?). In compenso Fausto Bertinotti è più fantasioso e meno lugubre dei compagni di Rossana Rossanda nel ribadire (vedi qui a pagina 18) che proprio non riesce a scegliere tra l’Occidente e i suoi nemici. Dunque, per l’ennesima volta è avvertibile un contrasto stridente tra le analisi degli opinionisti più o meno paludati e l’affondo perentorio di Magdi Allam.
Ricominciamo daccapo, cioè dai fatti. Il massacro di Sharm El Sheikh.
La scelta di Sharm el Sheikh non è affatto casuale è un simbolo di due realtà che si intersecano. La prima è la dimensione internazionale di Sharm come luogo di maggior apertura all’Occidente, ai suoi valori, al suo stile di vita e anche luogo dove si coltiva la prospettiva di pace per il Medio Oriente. A Sharm ci sono stati gli incontri di pace israelo-palestinesi. C’è stata la conferenza per la ricostruzione e la democratizzazione dell’Irak. è un simbolo di un futuro medioriente prospero e pacificato in sintonia con un Occidente che condivide valori della pace e dello sviluppo. Quindi, in primo luogo, è un attacco all’Egitto e alla sua dimensione di apertura al mondo simboleggiata da quella perla balneare. Il secondo aspetto è quello che ci interessa più da vicino come italiani, perché Sharm el Sheikh è stato nel corso degli anni individuato da un numero sempre crescente di turisti e di imprenditori italiani come una meta ma anche come un centro di investimenti privilegiato. Al punto che è stata ribattezzata come la ‘Rimini del Mar Rosso’, e vi risiedono stabilmente migliaia di italiani, dove si parla italiano, dove alberghi e negozi hanno insegne italiane. Già all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, i nostri servizi segreti individuarono Sharm come uno dei principali bersagli per colpirci. Non un bersaglio egiziano, ma italiano. E il fatto che negli ultimi giorni, a più riprese dopo gli attentati di Londra del 7 luglio, nei loro comunicati farneticanti i terroristi abbiano reiterato le minacce all’Italia deve far riflettere. Hanno voluto colpire noi.
La maggior parte delle vittime però sono egiziane e i lavoratori di Sharm el Sheikh hanno inscenato manifestazioni di protesta contro gli assassini. è un colpo duro anche per l’Egitto, non credi?
Certo. è un colpo durissimo. L’anno scorso l’Egitto è riuscito a ospitare otto milioni di turisti e a incassare sette miliardi di dollari nel comparto turistico. Sono cifre record per l’Egitto. Più in generale, il turismo è una sorta di locomotiva trainante di una quarantina di comparti industriali. Dai proventi dei pedaggi delle navi che transitano nel canale di Suez, alle rimesse degli emigrati egiziani all’estero, dalla rendita petrolifera e alle esportazioni di gas. Quando il terrorismo colpisce l’Egitto l’intera economia rischia di bloccarsi.
So che è pleonastico, ma forse non è mai abbastanza ricordare che non è una guerra di disperati, non è la violenza dei poveri, ma è, anzi, il terrorismo, guerra contro i poveri, i disperati, i diseredati.
Assolutamente. Questo è un altro caso emblematico che spiega bene come il terrorismo di matrice islamica colpisca principalmente i musulmani. Li colpisce nella loro vita – ricordiamo i 150 mila morti, massacrati dai terroristi islamici in Algeria – e nella loro economia, nei loro mezzi di sostentamento. Sono già paesi che appartengono al terzo mondo o in via di sviluppo, quando le loro economie sono colpite le popolazioni sono ridotte in povertà.
La polizia egiziana dice che gli attentatori sono arrivati dal deserto. L’intelligence israeliana però fa notare che Sharm el Sheikh non è Londra, ma un’oasi nel deserto. Un obiettivo relativamente facile da proteggere. C’è il sospetto che gli attentatori abbiano goduto della complicità di infiltrati nelle forze di sicurezza egiziane. è verosimile?
Io credo che i terroristi islamici abbiano goduto di qualche sostegno tra la polizia e i servizi segreti in loco. Perché non si spiega come siano riusciti a introdurre un quantitativo così ingente di esplosivo da danneggiare gravemente un mercato cittadino e colpire uno degli alberghi più sorvegliati di Sharm el Sheikh. D’altro canto, ricordiamoci che l’assassino di Sadat (presidente egiziano assassinato il 6 ottobre 1981, ndr) era un ufficiale dell’esercito egiziano. Un ufficiale infiltrato che militava in un’organizzazione terroristica e che uccise Sadat nel corso di una parata militare nello stadio del Cairo. Adesso (lunedì 25 luglio, ndr) ci arriva la notizia della destituzione del capo della sicurezza egiziano del Sinai e il sospetto che i tassisti sapessero…
Dopo anni di tolleranza dell’estremismo islamico, ci si deve aspettare una stretta da parte del presidente Mubarak?
Ci sarà sicuramente un’ulteriore stretta nei confronti degli ambienti integralisti ed estremisti islamici. Ma temo che sia tardi per riuscire a bonificare quello che è il terreno di coltura del terrorismo islamico. Ovvero una rete di moschee – in Egitto sono circa 90 mila i luoghi di culto islamici – che sfugge in gran parte al controllo delle autorità e che predicando in modo violento, inneggiando alla guerra santa, esaltando i kamikaze che si fanno esplodere in Israele, in Irak e altrove nel mondo, hanno finito per allevare generazioni di aspiranti terroristi suicidi islamici. Mubarak questo non lo ha fatto ed è un processo che deve esser fatto, ma che richiederà tempi lunghi.
C’è un contrasto stridente tre le tue analisi su estremismo e terrorismo islamico e gran parte di quello che si legge sull’argomento. Nel tuo libro, ‘Per vincere la paura’, segnali tra l’altro quelli che tu chiami «i presupposti concettuali di una nuova Monaco dell’Europa’. Da una parte accusi l’Europa di aver favorito per ignoranza e buonismo l’avvento, l’affermazione e la diffusione del radicalismo islamico sul suo suolo (tu dici, sulla base dei semplicistici e ingenui parametri della «comunitarizzazione, clericalizzazione e la moscheizzazione dell’islam», in pratica eccedendo in concessioni di moschee e centri islamici finanziati da centri economici al servizio del fanatismo). Dall’altra denunci i rischi di una resa dell’Europa all’estremismo islamico; resa che sarebbe favorita da un’errata percezione politica del terrorismo («si immagina che il terrorismo esista per le colpe dell’Europa e dell’Occidente», i quali «se smettessero di fare i cattivi, i terroristi diventerebbero buoni. La realtà è esattamente l’opposto». Non è reattivo il terrorismo islamico, è aggressivo, il suo obbiettivo è l’annientamento del mondo arabo moderato insieme all’Occidente). Ci sono poi questi ultimi tuoi interventi sul ‘Corriere della Sera’ che hanno un tono particolarmente accorato e drammatico. Dici che le misure di sicurezza approvate dal governo sono un passo avanti. Ma non bastano perché, scrivi, bisogna prendere atto che siamo in guerra, quindi occorre agire di conseguenza e, per prima cosa occorre sradicare la fabbrica di kamikaze in Europa. Ti senti una voce che grida nel deserto?
Credo che ci siano due cose fondamentali da affermare. Primo, in Italia non c’è ancora piena consapevolezza di cosa significhi la dimensione globale di questa guerra dichiarata dal terrorismo di matrice islamica e quali pericoli gravissimi implichi il radicamento sul territorio europeo, Italia compresa, di una struttura che è già in grado di compiere attentati suicidi. E non c’è piena coscienza di cosa voglia dire che tutto ciò non sia un prodotto di esportazione, cioè che non viene dall’estero, ma un prodotto interno europeo. Gli attentatori di Londra erano giovani nati e cresciuti a Leeds. I due kamikaze che nel 2003 andarono a farsi esplodere in un caffè di Tel Aviv erano cittadini britannici. Il 2001 ha segnato l’avvento sulla scena internazionale di kamikaze che erano diventati tali in Europa, ad Amburgo per la precisione. Ebbene l’Italia non ha ancora maturato questa consapevolezza del nemico lavorato e fanatizzato in casa propria. E il fatto che in Italia purtroppo non ci sia ancora la cultura del senso dello Stato, dell’interesse nazionale, della preminenza del bene comune su quello particolare, fa sì che si continui ad affrontare questa tematica con un approccio viziato da interessi faziosi e con l’occhio rivolto alle scadenze elettorali anziché a quello, appunto, dell’interesse generale della collettività.
Qualcuno però dice: nuove misure di sicurezza sì, ma a patto che non intacchino il sistema di garanzia delle libertà.
Anche questa obiezione è sintomatica. Ed era la seconda cosa che volevo dire: manca l’esatta consapevolezza che questa guerra del terrorismo islamico è di natura aggressiva e minaccia in modo essenziale il valore della vita e quindi la nostra civiltà che si fonda sul valore della vita. Non è in discussione la libertà, ma la vita! La nostra vita, la civiltà occidentale e direi ogni civiltà umana fondata sulla sacralità della vita. Quindi è sbagliato discutere sulla libertà nel momento in cui si tratta innanzitutto di fermare, prevenire e sconfiggere quel terrorismo che minaccia la nostra stessa vita. Il diritto alla libertà, è chiaro, non può esistere se viene meno il diritto alla sicurezza. Il problema della libertà si porrebbe qualora, dio non voglia, i terroristi dovessero prevalere. Si porrebbe – altra ipotesi che non voglio neanche prendere in considerazione – qualora questo terrorismo dovesse scompaginare il fronte interno dei paesi occidentali e indurre la gente a farsi giustizia da sé. Si porrebbe qualora dovesse esplodere il razzismo nei confronti dei musulmani perché la gente non crede più nelle istituzioni dello Stato. Se dovessero avvenire queste cose allora sì verrebbe meno la libertà. Per questo non si può discutere adeguatamente del problema della restrizione di certe libertà se non nel contesto, prioritario, della salvaguardia del diritto alla sicurezza per tutti, per il bene degli italiani e dei musulmani.
Nel tuo libro esprimi una profonda delusione per la sinistra italiana.
Sì, nel mio libro ho espresso la mia profonda delusione per una sinistra che ha tradito gli ideali che io ho sempre considerato di sinistra, a partire dalla solidarietà e dal sostegno alle istanze popolari. Quando ad esempio in Irak l’ho vista schierata non dalla parte del popolo iracheno che subiva il genocidio perpetrato da Saddam Hussein ma dalla parte di Saddam Hussein, e poi successivamente schierata addirittura dalla parte dei terroristi immaginati come dei resistenti, beh, questo è qualcosa che non posso assolutamente accettare. Più in generale mi sembra che la sinistra si sia lasciata accecare da un ideologismo antiamericano e talvolta antiebraico. Posso consigliare alla sinistra di tornare a far primeggiare gli interessi reali dei popoli, in particolar modo il diritto alla vita. Era l’atteggiamento che avevo apprezzato quando negli anni Novanta i governi di centro-sinistra decisero la partecipazione dell’Italia agli interventi in Bosnia e in Kosovo per venire in aiuto delle popolazioni musulmane represse dall’esercito serbo. Non capisco perché nei confronti del popolo iracheno che ha subito atrocità anche maggiori di quelle subite da bosniaci e kosovari, la sinistra si sia tirata indietro e abbia interpretato tutta la vicenda con i paraocchi dell’antiamericanismo.
Poi oggi a Baghdad c’è un governo legittimo. Riconosciuto internazionalmente. Gli iracheni hanno votato e sono loro le prime vittime del terrorismo. Si fa fatica a comprendere come i vari Cossutta, Diliberto, Bocca, Vattimo possano continuare a parlare di ‘resistenza’.
Certo. Non si possono invocare la Nazioni Unite quando mancava l’autorizzazione dell’Onu all’intervento anglo-americano e poi non tener conto dell’Onu quando le risoluzioni 1511 e 1546 hanno legittimato il nuovo stato iracheno del dopo Saddam, hanno legittimato le istituzioni irachene (compresi i poliziotti e i militari che vengono massacrati da Al-Zarkawi) e hanno legittimato anche le forze multinazionali americane, inglesi, italiane e tutte le altre presenti in Irak, ritenendo che queste forze siano necessarie alla salvaguardia del processo democratico che per la prima volta nella storia dell’Irak si sta sviluppando. Alla sinistra dico: affermate una cultura della legalità internazionale da rispettare fino in fondo e affermate una cultura del senso dello Stato e dell’interesse della collettività nazionale in modo che in Italia venga meno quella faziosità che non consente di avere una politica interna e internazionale credibile, seria ed efficiente.
Tu dici che occorre prosciugare il brodo di coltura in cui nuotano i kamikaze anche in Italia. In che modo?
Bisogna prendere atto che il problema va affrontato alla radice. Ciò significa arrestare fin dall’inizio quel processo che porta tramite lavaggio del cervello alla trasformazione di taluni giovani musulmani in robot della morte. Ecco perché bisogna cominciare a comprendere che la predicazione violenta non è libertà di espressione, ma apologia di terrorismo. Quindi l’apologia di terrorismo deve diventare reato nel nostro codice.
Come prevede il nuovo pacchetto antiterrorismo del governo Blair.
Esatto. Chi afferma che i kamikaze sono dei martiri deve essere sanzionato. Chi dice che la jihad debba essere considerata ‘resistenza’, deve essere sanzionato. Così come deve essere sanzionata la cospirazione contro la sicurezza dello Stato da parte di quanti promuovono iniziative, manifestazioni, ideologie che minano la sicurezza dello Stato. In questo ambito rientrano le attività di talune moschee e scuole coraniche che operano al di fuori della legalità, di istituzioni finanziarie occulte che possono avere sembianza di attività commerciali o finanziarie di cui non si sa bene dove vadano a finire i soldi in entrata e in uscita. E poi è opportuno che ci sia un consenso internazionale su un punto cruciale: bisogna affermare in ambito legale che il terrorismo suicida è un crimine contro l’umanità. Perché la vera posta in gioco oggi è proprio il valore della vita. Noi siamo a rischio perché c’è un nichilismo che tende a relativizzare tutto, ma soprattutto il valore della vita, disconoscendo la sacralità della vita propria ed altrui. Questo nichilismo è quello che sta corrodendo alla radice la civiltà umana. Perciò, affermare in ambito internazionale che il terrorismo suicida è un crimine contro l’umanità è un argine necessario per sconfiggere questo nichilismo.
Cosa pensi di un’organizzazione come i Fratelli Musulmani i cui membri hanno per regola la doppiezza – sono moderati e pacifisti in pubblico, in tv, sui giornali, sono l’esatto opposto nella loro opera di indottrinamento dei giovani musulmani – organizzazione che è fuori legge in molti paesi muslmani ma che ci risulta invece essere molto attiva in Europa?
I Fratelli Musulmani sono fuori legge nella quasi totalità dei paesi musulmani e a mio avviso devono esserlo anche in Occidente. Sarà un processo estremamente arduo, non soltanto perché sono presenti in Occidente, ma perché egemonizzano la rete delle moschee ed il pensiero dell’islam organizzato in Europa. Pensiamo soltanto al fatto che a Dublino si è consentita la creazione di un cosiddetto Consiglio della Fatwa Europea, che è presieduta dal famigerato Yussef Al Qaradawy, che è un predicatore islamico violento, che ha legittimato i kamikaze in Palestina e il massacro di tutti gli americani, compreso i civili, in Irak. Ed è questo Consiglio della Fatwa il referente giuridico europeo delle associazioni che fanno riferimento ai Fratelli Musulmani, compresa l’Ucoii, in Italia.
Come valuti la proposta del ministro Pisanu di realizzare una Consulta dell’islam italiano?
Dipende da cosa ci si mette dentro. Potrebbe esser una proposta positiva se fatta in modo da dare rappresentanza mediatica e politica alla società civile dei musulmani moderati. Sarebbe buona cosa se fosse uno strumento rappresentativo di un islam compatibile con l’Occidente, che ne condivide i valori di dialogo e democrazia, li diffonde nella sua comunità, in piena trasparenza delle moschee, impegnandosi a fare dei centri di culto vere e proprie case di vetro, con imam italiani, di cultura e di lingua italiani, che educhino alla sacralità della vita e diffondono una religiosità sostenuta da spirito ecumenico e fraterno nei confronti delle altre culture e religioni. è chiaro che da questa Consulta dovrebbero essere esclusi tutti quei personaggi, imam, attivisti islamici, che fanno riferimento a organizzazioni integraliste come l’Ucoii e i Fratelli Musulmani, che sono strumento di reclutamento, lavaggio del cervello e manovalanza dell’estremismo e che diffondono un islam fanatico che punta a costruire cellule teocratiche ostili ad ogni forma di democrazia.

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